La performance dell’oppresso

In scena al Teatro Alfieri di Asti non attori (e attrici), bensì agiti artaudiani, sciamani votati in tutto e per tutto all’azione, alla ricerca di una verità totale, che si perde nella violenza sistemica di un pubblico vittima di se stesso.

In un intervista al Los Angeles Times del 1972, lo scrittore, critico letterario e glossopoieta britannico Anthony Burgess, commentava così il tema per lui centrale della sua opera forse più famosa, Arancia meccanica: «da un punto di vista teologico, il male non è misurabile. Eppure io credo nel principio che un’azione possa essere più malvagia di un’altra, e che l’atto ultimo del male sia la disumanizzazione, l’assassinio dell’anima – il che ci riporta a parlare della possibilità di scegliere tra azioni buone e cattive. Imponete a un individuo la possibilità di essere solo e soltanto buono, e ucciderete la sua anima in nome del bene presunto della stabilità sociale». Il dibattito filosofico fondamentale che avanzava, dunque, si incentrava sullo scontro tra la libertà individuale senza freni e la pressione (quale che sia) che lo Stato moderno ingenera su questa libertà. «La mia parabola e quella di Kubrick vogliono affermare che è preferibile un mondo di violenza assunta scientemente – scelta come atto volontario – a un mondo condizionato, programmato per essere buono o inoffensivo», concludeva Burgess.

Questo stesso discorso sul libero arbitrio trova spazio al centro della scena ideata con zelo dal coreografo, danzatore, regista e attore Marco Chenevier nel suo Questo lavoro sull’arancia, dove si indagano appunto le potenzialità e libertà individuali all’interno di un sistema chiuso quale il teatro nella sua accezione più generale. Rifacendosi per senso estetico allo squisito Latte+, al frutto arancione per eccellenza e al bianco candore della violenza kubrickiana, la “performance interattiva” di Chenevier scardina le dinamiche di potere precostituite all’interno dello spazio scenico, dando l’opportunità al pubblico, non più passivo, di scegliere liberamente se vivere in un «mondo di violenza» o se, per contro, di «essere buoni o inoffensivi». Stimolo, compagno e faro di questa arte spietata, imperniata sull’essere umano nella sua totalità pulsionale, non poteva essere che il vil denaro, una «trappola sorniona» nonché una forma di condizionamento in questa sorta di terapia del disgusto al contrario.

Una volta condotto il pubblico «su un [teorico] terreno di fiducia e condivisione, di empatia», infatti, il duo Chenevier/Pinto, ponendosi in una relazione consapevolmente sadomasochistica con gli spettatori (i quali scherniranno, colpiranno e tortureranno la performer imbavagliata e denudata), offre una versione capovolta del trattamento a cui viene sottoposto Alex ne l’Arancia meccanica per superare la sua indole ultra-violenta: sul palco, invece di creare collegamenti subconsci tra immagini orrorifiche e la piacevole Nona sinfonia di Beethoven con lo scopo ultimo di rieducare la mente al bene, viene intessuta una fitta tela di ricatti etici e pecuniari che pongono il singolo osservatore davanti al dilemma del guadagno personale che scaturisce dalla sofferenza altrui, lasciando così libertà di scelta e, una volta operata quella scelta, di godimento della violenza. Non si tratta quindi di un tentativo di rieducazione, bensì dell’offerta di uno specchio nel quale vedere tutta la propria bruttezza d’animo – offerta da molti non recepita.

Vuoi per la giovane età della maggior parte degli astanti, infatti, vuoi per il contesto provinciale decisamente borghese (e quindi voyeuristico) in cui è andata in scena la performance, vuoi per una più generica anestesia emotiva (figlia dei nostri tempi) di fronte al male, la rimessa in scena astigiana di Questo lavoro sull’arancia (proposta in una geniale versione COVID-free all’interno dell’iniziativa “Recuperiamo il teatro perduto” della rete Patric) sembra confermare l’individualismo galoppante della società contemporanea, dove l’autoreferenzialità da selfie e la luce barbagliante di mammona hanno la meglio su questioni morali come la compassione, l’empatia, la giustizia e il rispetto per il valore intrinseco del benessere e della vita altrui, trasformando di fatto l’opera da “messaggio sociale” a mera pornografia, da riflessione su di sé a riflessione del sé, da performance a intrattenimento.

Parafrasando la recensione dello spettacolo scritta per questa stessa testata nel 2017, quattro anni dopo, siamo veramente ridotti alle brioche. Non ci resta che giudicarci.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Alfieri
via Teatro Alfieri, 2 – Asti
giovedì 24 giugno 2021
ore 21.30

Questo lavoro sull’arancia
di Marco Chenevier

interpreti Marco Chenevier e Alessia Pinto
scene e disegno Luci Andrea Sangiorgi
mentore Ing. Roberta Nicolai, Roberto Castello
in collaborazione con la Fondazione Piemonte dal Vivo
produzione Aldes e Tida (2017, con il sostegno di MIBACT e Regione Autonoma Valle D’Aosta)
con il sostegno di MIBACT sezione generale Spettacolo Dal Vivo, Regione Toscana/Sistema Regionale dello spettacolo
sostegno In Residenza Twain Residenza di spettacolo dal vivo della Regione Lazio
Residenze Spam! (2017)
creazione Selezionata nell’ambito del progetto Permutazioni Di Zerogrammi e Lavanderia a Vapore 3.0 / Piemonte Dal Vivo (2017)