Palpitazioni tenui

Momento clou dell’interessante esperimento di contaminazione tra le arti – promosso da Fondazione Teatro di Pontedera, Spazio Nu ed Era dei Libri – che ha caratterizzato questa edizione del Festival Internazionale di Teatro, Danza e Letteratura di Pontedera, Ko Morobushi con Quick Silver si esibisce con un solo sul palco del Teatro Era.

Quick Silver è uno spettacolo complesso da decifrare nonostante sia in scena in Italia già dal 2006, quando venne invitato alla Biennale di Venezia. Breve e intenso, potrebbe essere definitivo un evento che esiste in un rapporto paradossale con quello che la razionalità dialettica occidentale considera, dal punto di vista logico e temporale, reciprocamente esclusivo ed escludente: la contrarietà degli opposti e dei diversi.

Grazie a riusciti effetti di luce e ombre (il Butoh è la danza delle tenebre), «una forma informe, che non conosce paura né gioia, […] cresce nel plasmarsi dell’estasi», è attraversata da una fisicità estrema ed eccede i confini tanto della rappresentazione concettuale o mimetica, quanto supera l’inganno della deformazione grottesca, per cui i fantastici contorsionismi di Morobushi daranno piuttosto l’impressione di un rinnovamento della figura, non della sua scomparsa.

Il suo corpo imponente e fragile viene scosso da spasmi ritmati come se fosse incapace di resistere alla tentazione di alzarsi. È «mercurio che ha disperso la sua forza, una forma di vita errante che invade l’ignoto in molteplici direzioni», a tratti, anche un fantasma nudo bianco «che ha spento il suo fuoco, esaurito la sua forza fino all’ultima goccia, una forma informe che invade l’ignoto in molteplici direzioni».

Accompagnata da una costante sensazione di impossibilità che non è impotenza ma, al contrario, momento stesso di un sforzo perennemente teso al tentativo di ri-sorgere, nonché da uno strenuo attaccamento alla terra (ambiente espressivo, estetico e morale di un essere per la morte che, secondo Martin Heidegger, aprirebbe a una temporalità autentica per l’esistenza dell’essere umano), a occhi occidentali la performance potrà risultare irrimediabilmente imbrigliata tra gli eccessi dell’intellettualismo o ridotta al localismo di una sapienza – ancora oggi – percepita come radicalmente esotica. Di una danza fuori dai canoni classici, figlia di una cultura che non ci appartiene e, di conseguenza, ingiudicabile. Tra riflessi luminosi creati da una lastra di metallo, utilizzata anche come strumento sonoro e che, abbagliando gli spettatori, squarcia le tenebre e la frenesia di gesti che intramezzano la lentezza dei movimenti, si compie l’esperienza di un protagonista – nella prima parta del solo – completamente dipinto di argento e bardato in viso, quindi privato di ogni connotazione soggettiva e del proprio sguardo sullo spazio scenico circostante, ossia del principale strumento – la visione – di controllo del mondo; nella seconda parte, spogliato (quasi) d’ogni veste, alla continua e naturale ricerca di un centro di gravità permanente.

Tuttavia, il rapimento ipnotico a cui non di rado ci destina la visione di Quick Silver non può essere semplicemente attribuita al fascino misterico dell’ignoto o a un rapimento estatico-mistico. Se è pur vero che la comprensione e l’emotività non riescono a imporsi, la danza che diviene pura esperienza, con il suo svolgersi apparentemente lento, i continui riferimenti alla posizione fetale e l’impercettibile ma assordante alternanza tra il totale silenzio – piacevolemente spezzato dal crepitìo della pioggia all’esterno della struttura – e il frastuono delle registrazioni, ci impone con urgenza tanto la necessità della domanda fondamentale, quanto il piacere dell’assenza della risposta.
Un’urgenza – esemplarmente e con sconcertante parallelismo – rappresentata da Paul Gauguin con Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo? e che non sarà arduo riconoscere sia nelle figure del quadro, sia nelle diverse posizioni archetipe assunte dal maestro di Butoh.

Assistiamo, allora, alla messa in coreografia del percorso lungo quel sentiero interrotto che, privo di fondamento o meta finale pre-stabilita, condurrebbe a una condizione di erranza drammatica, disperata e in grado di legittimare la validità di ogni ricerca personale, di squarciare quel velo di Maya, oltre al quale starebbe non la sofferenza ontologica (per questo ineluttabile), ma lo specchio nel quale cercare di ricomporre i frantumi di un significato che – perduta ogni violenza e intolleranza etnocentrica – necessita di essere continuamente ricostruito.

Uno spettacolo epocale, di chi, parafrasando Camus, ha perso ogni speranza nel futuro e, proprio per questo, riesce a esserci pienamente nel presente.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno del Festival ERA
organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro, in collaborazione con Era dei Libri e Spazio NU
Teatro Era

venerdì 26 ottobre, ore 21.00
Ko Murobushi
Quick Silver
Butoh performance di Ko Murobushi
(durata 50 minuti)