Memoria collettiva

Il teatro salva dalle pareti di vetro delle convenzioni, dal “fare come si deve fare”. Il teatro comporta uscita, da sé e da cosa si vuole di sé; comporta spostamento, esteriore ed interiore.

Il teatro è luogo d’alterità. Il riconoscimento del diverso, del fuori concorso, delle risorse non contrattuali, non potenti. Il teatro è chiarificazione del mondo. Quello non immediatamente visibile. Il vero, o il falso. Oltre le mascherate. Oltre le strutture. Il mondo sotterraneo, intestino, ideale, silenzioso. Il mondo reale.

A Teatro della Tosse ne sapranno qualcosa… da 40 anni (44 esattamente). Il tempo di una vita a metà, al largo tra le coste della giovinezza e della vecchiaia – parlando di umano – quando si comincerebbe ad essere ascoltati, considerati (paradosso della nostra forma mentis culturale di italiani senili e gerontocratici).

Quarant’anni di un teatro, di una attività teatrale, sono radici di un albero grosse insinuate attorno per la terra da cui succhiano, attorno per così tanto altro luogo da riemergere in nuove fioriture, spaccando le strade.
Quarant’anni di teatro sono memoria. Memoria collettiva. Memoria di una città, profondamente incisa dal suo Teatro, il Teatro della Tosse, il palcoscenico dei “genovesi, uomini diversi d’ogne costume e pien d’ogni magagna” (Dante, dal volume celebrativo 40 anni di… – Teatro della Tosse 1975-2015, Sagep Edizioni).

In questo tempo, da cinque edizioni, prende vita Resistere Creare – Rassegna di danza internazionale. Diretta da Michela Lucenti e Marina Petrillo. Materiale Umano, il diktat nominativo dell’edizione attuale appena conclusa. Nel manifesto, l’icona di Marta Moretto: fotografia di un abbraccio meticcio, una donna bianca portata in grembo da una donna nera: il significato dirompente pregiudizi e barriere misere di pensiero; l’atto creativo, fermato (contrariamente al movimento, carattere prominente del linguaggio di danza) ma in potenza. La potenza dell’espressione, riflessologia cerebrale, del moto a luogo. Il potere politico della grammatica silente.

E di un paradigma dissoluto, non stretto da rigori di codici, ma ben raffinato di tecniche e puntellature, non lasciato al caso (in fedeltà al processo semantico degli allestimenti spettacolari) si conforma l’opera Versus, di Balletto Civile in scena in Sala Trionfo, in primo studio. Un paradigma frammentato, individuato: l’individuazione dionisiaca dello smembramento incorporata dalle soggettività riorganizzate coreograficamente. Dodici danzattori e radicalizzare il concetto, a partire dal testo Re Lear padri, figli, eredi di Massimo Cacciari. Meditare sull’idea, sovrapposta all’accadere, e riformularla inspiegata, mossa, in moto, in arte. La comprensione di sé tramite l’origine, l’eredità, il sanguineo. Ricerca sull’uomo e sulle proprie azioni e ridefinirne in linguaggio universale cominciando dal piccolo.

L’apparentemente piccolo di esistenze anonime, invisibili, ma pregnanti dell’intera fenomenologia del fare comune.
Una scena vuota su fondale mancante; il teatro scoperto, guardato fino allo scheletro, disvelare; la scenografia simile ad una pista d’atterraggio convergente verso un apicale e concentrico fondo di scena d’una parete di luce abbagliante, metafora d’una gigantesca radiografia. Segni essenziali, immediati, d’indicazione semiotica subitanea, atte all’instaurazione di un legame/patto confidenziale, per cui orientarsi ma di cui disfarsene. Per empatizzare con le singolarità, esposte in poetiche diversificate riecheggiando stilemi drammaturgici fisici e vocali. Costruzioni in batailles attoriali di movimenti tribali e soliloqui evitando protagonismi (sulla scena lo sguardo può porsi ovunque e trovare gesto). Le tracce del come l’umanità comunica per segni visivi, dialettici, di costume. A testimonianza di una lucida veggenza sull’andare contemporaneo in termini non di mode ma di socialità, di aggregazione, di espressione. Ritmi ondulati, modulati dal percettibile appena (l’incipit: una danza romantica tra due settantenni, padri) e un incalzare nevrotico e distruttivo di giovani e giovanissimi “parricidi” e “fratricidi”. L’inanellarsi di scene non immediatamente conseguenti ma incastrate in un unus di fondamento, rende alta l’accessibilità non ingessando lo spettatore in suggerimenti stretti, allargando piuttosto la predisposizione all’ascolto intimo, profondo. Verticalizzare l’atto ma estenderlo per trasferirlo.
Meravigliosa potenza.

A destra del boccascena un attore prepara un pasto per tutto il tempo dell’opera, un’ora circa.
A corolla dello spettacolo, nel foyer della Sala Trionfo, Natalia Vallebona destina le sue “pillole” a un pubblico informale, non ancora pronto a mutarsi in theatís. Costruzioni fisiche sull’idea del limite, dell’inascoltato, dell’uguaglianza in difformità e in impossibilità. Astrazioni corporee dall’efficacia cutanea e subliminale, prova d’una creatività incisiva, non mediata, istintiva.

Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito della Rassegna Resistere/Creare – Materiale Umano:
Teatro della Tosse
piazza Renato Negri, 6 – Genova
sabato 30 novembre 2019
(codirezione Michela Lucenti e Marina Petrillo)

Versus
Nel nome del padre, del figlio, della libertà
ideazione Michela Lucenti
creato e interpretato da Attilio Caffarena, Michele Calcari, Maurizio Camilli, Ambra Chiarello, Loris De Luna, Abdelaziz El Youssoufi, Maurizio Lucenti, Michela Lucenti, Alessandro Pallecchi Arena, Matteo Principi, Emanuela Serra, Giulia Spattini
disegno sonoro Tiziano Scali
loop violoncello Stefano Cabrera
realizzazione installazione luci Giovanni Coppola
assistenza alla regia Eleonora Papapietro
consulenza costumi Daniela De Blasio
una produzione Balletto Civile / Resistere e Creare 2019 / Fondazione Luzzati Teatro della Tosse
con il sostegno di MIBAC

Foto di Donato Aquaro