Il gioco del tempo e della finzione

Arriva a Teramo il Re Lear – per la regia di Michele Placido e Francesco Manetti – con una magistrale interpretazione da parte dell’intero cast.

Shakespeare è un grande classico, si sa. Ed è stata anche fin troppo ribadita la grande modernità di questo autore, l’intramontabile verità nascosta nei suoi versi. In particolare, però, nelle tragedie quali Re Lear emergono, senza pietà, gli ossimori dell’esistenza umana, la grande dicotomia tra essere e voler essere, tra desiderio e fato, mentre si è sospinti dall’infausta concatenazione di eventi che smaschera le trame occulte – o celate dai potenti.

In un palcoscenico adorno di rovine, detriti e oggetti disposti in maniera disordinata, Re Lear in vestaglia rossa dà inizio al dramma assegnando il proprio regno in eredità alle tre figlie. L’abdicazione, però, non avviene in base a leggi prestabilite o a criteri di uguaglianza, bensì a una specie di capriccio: sarà infatti regina colei che, a parole, esprimerà meglio l’amore che prova per il padre. Inizia così il dramma della follia di Lear e il disvelamento progressivo – oltre il detto – dell’infida natura delle due figlie alle quali il re cede il potere: Goneril e Regan – escludendo l’ultima, Cordelia, che, seppure animata da sincero amore, per troppa onestà intellettuale si rifiuta di concorrere con le sorelle in un’ipocrita gara alla lusinga verbale.

Da questo nodo tematico si dipana la tragedia di un uomo che, prossimo alla vecchiaia, decide di concedersi le ultime velleità: la disposizione dell’autorità e l’adulazione come premio al suo amore paterno e alle sue doti regali. Ma dietro le parole si nasconde la verità, ed è proprio questa a schiacciarlo e a costringerlo alla follia (una follia, per inciso, più che ordinata e giustificata nell’alveo della trama). Così, se le figlie incarnano l’egoismo e l’alterità giovanile, Lear fa tenerezza, con la sua puerile illusione di conoscere il mondo quando non conosce nemmeno “il frutto dei suoi lombi”, mentre l’unica figlia sincera, Cordelia, è emarginata sin quasi alla fine del dramma, quando riprende in mano la situazione e arma un esercito per difendere il padre e il regno. E anche quando il Matto (Brenno Placido) suggerisce a Lear crudeli scampoli di verità, quest’ultimo si ostina a voler vedere il mondo con i propri occhi, a voler applicare all’esistenza il suo punto di vista invece di rassegnarsi all’evidente crudeltà delle figlie, all’egoismo innato nell’essere umano.

Il tragico shakespeariano emerge in tutta la sua maestosità in quest’opera che, alla storia di Lear e delle tre giovani, incrocia quella del conte di Gloucester, alle prese anche lui con il tradimento del figlio legittimo (Edmund, che vuole ucciderlo) e l’esilio, volontario e addolorato, dell’illegittimo (Edgar: uno strepitoso Francesco Bonomo), sinceramente affezionato al padre. Alla questione filiale – tematica centrale anche in tutti i romance di Shakespeare – con la contrapposizione del passato (il padre) al futuro (i figli), si affianca un altro soggetto: la passione erotica che anima entrambe le figlie di Lear nei confronti del traditore Edmund – che porterà tutti alla rovina.

Dice lo stesso Placido: «Lear non è un testo, Lear è un mondo, è il Mondo, è la distruzione del Mondo, l’Apocalisse e infine la successiva, appena possibile, rinascita». Non a caso, l’opera si chiude con il riscatto di Edgar, che sale al trono, e con la sua esortazione a dire, nonostante tutto, ciò che sentiamo e non ciò che dobbiamo dire. Frase che chiude il cerchio dell’opera rimandando all’iniziale equivoco “linguistico” (il certame di lusinghe che Lear pretende dalle figlie, come se le parole rappresentassero sempre la verità); e alla stessa finzione teatrale (se le figlie avessero detto quel che sentivano la tragedia non avrebbe avuto luogo); ed è, non ultima, un’esortazione a guardare e sentire la verità delle cose, oltre le illusioni giovanili e prima della follia senile.

 

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Comunale
via Ignazio Rossi, 9 – Teramo

Re Lear
di William Shakespeare
traduzione e adattamento Michele Placido e Marica Gungui
regia Michele Placido e Francesco Manetti
con Michele Placido, Gigi Angelillo, Margherita Di Rauso, Federica Vincenti, Francesco Bonomo, Francesco Biscione, Linda Gennari, Giulio Forges Davanzati, Brenno Placido, Alessandro Parise, Peppe Bisogno, Giorgio Regali, Gerardo D’Angelo e Riccardo Morgante
scene Carmelo Giammello
musiche originali Luca D’Alberto
costumi Daniele Gelsi
aiuto costumista Roberto Conforti
disegno luci Giuseppe Filipponio
aiuto regia Andrea Ricciardi