La sofisticata arte dell’eccesso

Globe-TheatreAl Globe Theatre di Roma, è in scena uno dei capolavori di Shakespeare, ovvero il Re Lear, confermando ancora una volta la difficoltà di rappresentarlo.

Re Lear è la tragedia shakespeariana dell’eccesso, dove il precipitare tragico degli eventi si determina a partire dall’annientamento del confine e dalla volontà titanica che fagocita se stessa capovolgendosi in follia. Tra tutte le opere shakespeariane, è forse quella che più risente, da un punto di vista narrativo, di questa dimensione dell’eccesso, perché quest’ultimo arriva a scompaginare persino la costruzione del racconto, lasciando insoluti numerosi risvolti e sacrificando la coerenza fin dalle prime battute. Ma il tesoro che il Re Lear serba con sé e che continua a nutrire di spirito la nostra storia è altrove: è nella profondità abissale della sua verità, nell’intramontabile e sempre attuale riflessione sul rapporto tra natura e personalità, tra libertà e dovere, tra ragione e follia. Tutto viene compreso a partire dal tema dell’eccesso, dell’oltrepassamento dei limiti: limiti del linguaggio rispetto alle emozioni e i sentimenti, limiti della razionalità alle prese con il delirio di onnipotenza dell’ego che vuole sottomettere tutta l’esistenza a sé. Si tratta dello scardinarsi impetuoso di ogni punto di riferimento, in un mondo dove gli dei sono scomparsi o si divertono con le nostre vite come fanno i bambini con le mosche. Per queste ragioni, Re Lear è un gigante difficile da domare e, nello specifico, proprio per la centralità che l’eccesso assume, probabilmente uno dei classici può complicati da portare in scena, come se tutto il Re Lear fosse impregnato di un’essenza metateatrale che ne mette in questione la possibilità stessa di rappresentazione: come figurare l’illimitata violenza della furia umana? Come narrare la senile ira di un vecchio re maltrattato dalle figlie? Se il tema è quello dei limiti del linguaggio e del corpo, cosa deve fare un regista che intendesse restare fedele a Shakespeare?

Probabilmente, non dovrebbe fare quello che ha fatto Daniele Salvo nella sua messa in scena al Globe di Roma: si tratta di un approccio assai inflazionato nella tradizione registica del Re Lear negli ultimi anni, ovvero rappresentare l’eccesso attraverso l’eccesso stesso. Così, in un’opera che ha una durata significativa, si assiste a ore e ore di urla, rumori, attori che sbraitano come indemoniati quando non dovrebbero, quasi a dimostrare la necessità di dover mantenere il registro del tono e dell’interpretazione costante per tutto lo spettacolo. La trasposizione presta il fianco a facili ironie e parodie, quando non dovrebbe essere così e, soprattutto, quando tutti gli attori sono obbligati a recitare con una voce rauca da film horror (compresa la povera Cordelia), come nel caso di un Duca di Cornovaglia vestito da SS e da una Goneril e una Regan depravate e lascive oltre ogni misura. Altra tendenza diffusa negli ultimi anni è quella di aggiungere un elemento erotico al testo del Re Lear, perché si suppone faccia coppia con la smania di potere e dominio, la virulenza dello spirito al quale il corpo e l’intelletto non sono sufficenti; però anche qui si gioca con l’eccesso, che, quando non viene giostrato con cura, in un attimo si capovolge in parodia.

Completamente fuori luogo, infatti, una serie di effusioni gay e lesbo assenti nel testo, come fuori luogo e mal coniugate col copione sono alcuni suoni (anch’essi da film horror) in bassissima frequenza che cozzano a volte con alcune venature comiche dei personaggi. Scenografia, luci, recitazione sono appropriati all’idea di fondo dello spettacolo, perciò coerenti e in linea, ma il problema dello spettacolo risiede proprio nell’idea, che, forse, se non si fossero allineati a tal punto avrebbero potuto far venir fuori qualcosa di più stimolante e originale. Invece, il risultato sono urla e pandemonio per tre ore e mezza, vortice cui contribuisce Graziano Piazza. Anche lui, seppur il protagonista sia incarnazione dell’eccedenza, potrebbe stancare perché l’interpretazione è estremamente scolastica, accademica persino, però si riscatta (non a caso) quando interpreta il re definitivamente condannato alla pazzia, disinvolto nei doppi sensi e nell’ironia; meno convincente l’altro grande personaggio del Lear, ovvero il fool: quanto ancora, nel corso della nostra vita da spettatori, saremmo costretti a vedere un fool uguale a sbirulino? Anche lui, non c’è che dire, è perfettamente coerente con la sciarada complessiva, perché esagitato, con la voce stridula, iperattivo nei movimenti e nelle battute; ma d’altronde, come sosteneva il filosofo Adorno, spesso la coerenza è sinonimo di limite e, per essere coerenti, il risultato può essere uscire dal teatro con un grosso cerchio alla testa e tremendamente affaticati.

Lo spettacolo continua
Silvano Toti Globe Theatre

Parco di Villa Borghese, P.zza di Siena – Roma
fino a domenica 2 agosto
ore 21.15, lunedì riposo

Re Lear
di William Shakespeare
regia Daniele Salvo
traduzione Emilio Tadini
con Ivan Alovisio, Francesco Biscione, Marco Bonadei, Mimosa Campironi, Simone Ciampi, Clio cipolletta, Elio D’ Alessandro, Pasquale Di Filippo, Marcella Favilla, Alessio Genchi, Francesca Mària, Selene Gandini, Graziano Piazza, Silvia Pietta, Tommaso Ramenghi, Giuliano Scarpinato, Francesco Brunori, Ruggero Cecchi, Nicola De Santis, Giuseppe de Siato, Piero Grant, Rocco Maria Franco, Francesco Silella