La voce della memoria

Un monologo sull’importanza del ricordo dei crimini che hanno costellato il Novecento e sulla necessità di tramandarlo.

In un atto unico, l’attrice Debora Mancini porta in scena col suo monologo l’esperienza e la testimonianza degli internati nei campi di concentramento nazisti, degli infoibati della Venezia Giulia e dell’Istria e dei loro familiari. Attraverso la lettura di brani di documenti, di saggi e di romanzi, proiettati anche sullo schermo, la voce dell’interprete funge da cassa di risonanza per tramandare una memoria minacciata dal trascorrere del tempo e dall’oblio.
L’attrice, accompagnata da un pianista e da un fisarmonicista, racconta le sofferenze di chi ha subito le persecuzioni razziali nel secolo scorso e talvolta si cala nei panni delle persone di cui racconta, dando loro voce; talaltra sono invece i familiari delle vittime o degli ex internati a rivelare la propria difficoltà di superare il dolore della perdita e quella dei loro cari a riprendere a vivere normalmente dopo l’esperienza tragica dell’internamento, indelebilmente fissata nella memoria. Il proposito, quello di rammentare i genocidi del secolo scorso (non solo quello ebraico e dei nostri connazionali venetogiuliani, istriani e dalmati, ma anche quello degli armeni perpetrato dall’Impero ottomano fra il 1915 e il 1916), è in sé lodevole, ma è la forma adottata a non convincere. Una recitazione sovraccarica, marcatamente teatrale, priva di spontaneità e di naturalezza, che si affida a una gestualità esasperata ed enfatica e un accompagnamento musicale che orecchia sonorità gitane da Europa orientale (con tanto di fisarmonica) non paiono gli strumenti più idonei a veicolare l’assunto dell’opera. Proprio in quanto smaccatamente costruito e artefatto, nella concezione e nell’esecuzione, lo spettacolo tiene a distanza lo spettatore, impedendone il coinvolgimento e raffrenando l’empatia con gli individui di cui racconta la triste e spesso tragica vicenda. Se il monologo inizia evidenziando l’etimo latino del verbo italiano ricordare, che funge anche da titolo, (recordari, da cor, secondo la concezione antica che individuava appunto nel cuore la sede della memoria), si rivela tuttavia incapace di toccare le corde profonde dell’animo dello spettatore: il suo cuore, dunque. Trattare temi di notevole complessità come lo sterminio di un popolo non è impresa facile, ma il linguaggio qui scelto non giova appunto per la sua esteriorità, per il suo qualificarsi come manierato e posticcio, esemplificazione – non in positivo – di ciò che lo spettatore si attende da uno spettacolo teatrale e che potrebbe dissuaderlo, nella maggior parte dei casi, dal frequentare i teatri. Lontano dalle abitudine di fruizione del pubblico, e incapace di aprirsi un varco, di far breccia nella sensibilità dello spettatore, il monologo non sa abbattere la famigerata quarta parete che separa gli attori sul palcoscenico dal pubblico seduto in platea e non bastano gli improvvisi sbalzi di volume della musica suonata dal pianoforte e dalla fisarmonica e gli altrettanto repentini cambi di tono della voce dell’attrice a scuotere lo spettatore dalla sua estraneità alle vicende che si svolgono sulla scena. Non sembra questo dunque il modo più idoneo ed efficace di affrontare temi tanto ardui e complessi: non con l’enfasi e la maniera, non offrendo al pubblico un’immagine stereotipa del teatro e del suo linguaggio, non adottando una forma solipsistica che non comunica e finisce con l’allontanare lo spettatore, specialmente quello più giovane che più degli altri potrebbe forse giovarsi della conoscenza dei lutti che hanno travagliato il secolo scorso.

Lo spettacolo continua
Teatro Libero

via Savona 10, Milano
dall’8 al 14 maggio 2017

Recordari – Per il passato ed il presente da non dimenticare
con Debora Mancini, attrice
Simone Zanchini, fisarmonica
Daniele Longo, pianoforte
installazioni di luce e regia audio-luci Andrea Pozzoli