Il dramma del buffone, dal genio del maestro

Serata unica al Teatro Vascello, dove un’Opera Concerto trasporta il pubblico nella meraviglia del capolavoro di Verdi.

Giuseppe Verdi non ebbe vita facile con la censura delle autorità imperiali, soprattutto quando tentava di trasmettere messaggi ritenuti sovversivi in maniera quasi subliminale nei suoi melodrammi; spesso non era aiutato nemmeno dalla critica, che non riconobbe immediatamente il genio del compositore parmense, trovando le sue opere spesso troppo audaci e stravaganti. A questo destino fu condannato anche Rigoletto, opera lirica entrata a pieno titolo nel repertorio internazionale di tutti i tempi, e soprattutto nel cuore e nell’immaginario del popolo italiano ormai da centosessant’anni. Nel 1851 al Teatro La Fenicie di Venezia si tenne infatti la prima rappresentazione del capolavoro verdiano, e il Teatro Vascello decide di rendere omaggio al maestro con un’Opera Concerto proprio del Rigoletto intitolata Da Verdi a oggi: un salto lirico di 150 anni. Evento prodotto dall’associazione Musica & Arte, col contributo della Regione Lazio e il patrocinio delle altre istituzioni della capitale, lo splendido allestimento a cui il pubblico assiste è una selezione delle arie più importanti, intervallate dalla voce narrante di Sara Borsarelli, per l’adattamento e la riduzione di Simone Veccia, direttore della piccola ma magistrale orchestra che regala una serata da incorniciare.
Il merito è ovviamente della musica del grande Verdi, sempre attuale e stupefacente, moderna ancora oggi per la sua sagacia e per le sue intuizioni rivoluzionarie, in grado di avvicinare l’arte lirica al gusto popolare come mai nessuno (eccetto Mozart) era riuscito a fare prima di lui. Ma parte del merito va distribuito anche altrove: la struggente e shakespeariana (seppur ispirata a Hugo) storia scritta da Francesco Maria Piave, questa soprattutto ritenuta fin troppo estroversa narrando delle abitudini licenziose e lascive dei nobiluomini delle corti. Uno dei protagonisti, un donnaiolo spietato e ipocrita, è persino il Duca di Mantova, figura fantastica che sembra però ammiccare a Vincenzo I Gonzaga; ci sono poi Rigoletto e la bella figlia Gilda, coinvolti in una maledizione che li porterà alla tragedia, alla morte per la seconda e all’inferno del rimorso e del compianto per il primo, per il quale la figlia era tutto il suo mondo.
Una storia di amore nefasto e problematico, di una fanciulla ingenua e inesperta che resta infatuata di un uomo spregevole e opportunista (È il sol dell’anima); ma Rigoletto è soprattutto la storia di un povero buffone di palazzo, un servo disgraziato condannato alla derisione dei cortigiani, alle loro angherie e ai loro torti ingiustificati (e si sente nell’aria un accenno di rivoluzione). Quando per gioco gli rapiscono la figlia, Rigoletto inveisce contro di loro nella grandiosa Cortigiani, vil razza dannata, ma la novità e la genialità dell’opera sta nel profilo drammatico di questo ripugnante servitore, che scoppia d’ira (Vendetta, tremenda vendetta), ma che poi resta schiacciato dalla consapevolezza della propria subordinazione e chiede persino perdono. È la furia maldestra senza riscatto, che sarà causa dell’assassinio della figlia; ma non è solo il cogliere il lato drammatico del buffone (splendida dialettica incarnata nella disperazione di chi è condannato a far ridere gli altri, che tornerà ne I Pagliacci di Leoncavallo), ma soprattutto rendere questa dimensione negli arrangiamenti, nelle composizioni che passano dal registro energico, cupo e espressionista, a uno più canzonatorio, ritmico, quasi fosse lo stesso compositore a inveire e prendersi gioco del disgraziato. La musica è come se interloquisse col povero Rigoletto, ricordando a lui e allo spettatore chi sia, che la sua speranza è destinata a infrangersi, che la vittima della crudeltà e della maledizione del mondo sarà lui per quanto dimostri un amore senza limiti per la figlia (Figlia!…Mio padre!). Tutto diventa chiaro nel motivo indimenticabile che ha reso immortale l’opera, ovvero La donna è mobile, il canto, ascoltato dal padre umiliato e stravolto dal dolore, del Duca attraverso il quale si vanta delle sue conquiste amorose.
Al di là di Verdi e Piave, e dell’orchestra, la serata sancisce il successo degli interpreti, precisi e efficaci, di grande professionalità, senza sbavature tanto meno passi falsi. Il soprano Anna Catarci nella parte di Gilda, il baritono Angelo Veccia in quella di Rigoletto, e poi Stefania Scolastici (Maddalena) e Fabrizio Nestonni (Sparafucile), un gruppo che si spera di rivedere presto; una nota di merito va rivolta al grandioso Duca di Mantova, il tenore Giorgio Casciarri. Dinanzi all’ovazione del pubblico, il bis non può non essere la perla assoluta dell’opera di Verdi, che da sola meriterebbe un monumento eterno nella storia dell’arte mondiale, ovvero il quartetto Bella figlia dell’amore, dove le voci dialoganti dei quattro interpreti si sovrappongono, si contrastano, si intersecano generando un’architettura di espressioni e emozioni indimenticabile.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Vascello
via delle Vergini, 7 – Roma
Martedì 20 settembre, ore 21.00

Rigoletto
di Giuseppe Verdi
libretto di Francesco Maria Piave
adattamento e riduzione Simone Veccia
direttore Simone Veccia
con Angelo Veccia, Anna Catarci, Giorgio Casciarri, Stefania Scolastici, Fabrizio Nestonni, Sara Borsarelli
durata 90’