Un «atto inconsulto»?

india-argentina-roma-80x80Al Teatro Argentina fa tappa la trionfale tournée dello spettacolo firmato da Alessandro Gassmann sul folle re che regalò il proprio regno per un cavallo.

Assistiamo con grande curiosità a questo Riccardo III, spettacolo che ovunque vada in scena sta assicurando sold out a mani basse.
Un successo di pubblico straordinario, che ha toccato anche l’Argentina, teatro che – con la fine del mandato Lavia e la querelle Ninni Cutaia – si trova attualmente e inopinatamente senza direzione artistica e guida per la prossima stagione.

Stabilire se quella del Bardo fu descrizione oggettiva o – come si chiamerebbe oggi – macchina del fango non è più argomento che appassiona. L’opinione comune è, infatti, ormai assodata: deforme nel fisico, zoppo e gobbo come ci conferma l’Università inglese di Leicester, chiunque, se informato sul personaggio non dal punto di vista strettamente storico, ricorda Riccardo III come marcio d’animo quanto d’aspetto.
Che la verità fosse un’altra, che la crudeltà dei re inglesi fosse comune in un’epoca feroce e sanguinaria, è questione che non tocca e intacca lo spessore artistico dell’operazione shakespeariana.

Al «corpo storpiato corrisponde l’animo in una perfetta simmetria», dirà esplicitamente in scena il protagonista, con un fare brechtiano che ritroveremo più volte nel corso del suo incedere monologico, a testimonianza di una malvagità consapevolemente diabolica.

Riccardo III non doveva essere rappresentato come un corrotto qualsiasi. Farlo, infatti, avrebbe lasciato intendere un passato d’innocenza, quando, nell’intenzione drammaturgica dell’autore, l’ultimo re d’Inghilterra della dinastia dei Plantageneti sarebbe dovuto essere la personificazione stessa del male. Un individualista assoluto («se non sono il primo mi sento l’ultimo») compiaciuto nel dichiarare e mettere in pratica le proprie spietate vessazioni.

Come quelle che, senza la minima esitazione, operò nei confronti della figlia più giovane di Warwick (Lady Anna) cui uccise marito e padre («ma che importa?») o di tutti coloro che – spesso senza motivo – considerò dei potenziali nemici (dal giovane antagonista Lord Hastings, al preziosissimo alleato Buckingham).

Proprio il raggiungimento del suo obiettivo segna la svolta con il dispiegamento di una sartriana nausea: la presa del potere è stata inutile, l’odio di Riccardo III – nei confronti di un mondo che si accorge non avere alcun senso – talmente radicale da rivoltarglisi contro. Emblematicamente, proprio dalla bocca della madre udiremo lanciare la maledizione finale, con il celebre «dispera e muori, Riccardo», ribaditogli alla vigilia della battaglia fatale con il conte di Richmond anche dai fantasmi delle persone uccise durante la scalata al trono.

Purtroppo, nonostante sull’opera shakesperiana se ne siano dette davvero tante e non manchino ottime realizzazioni addirittura su pellicola con interpreti del calibro di Richard Dreyfuss, Ian McKellen e Al Pacino, l’impianto drammaturgico della regia di Gassmann lascia ampiamente perplessi, così come la sua interpretazione.

Attore probabilmente più adatto al piccolo o grande schermo, che dà il meglio di sè come testimonial di pubblicità e riviste patinate, quello di Gassmann è un personaggio monocorde, mai in grado di sganciare la propria dimensione caratteriale dal racconto a parole e di ancorare la propria psicologia a gestualità o variazioni di registro (come sarebbe stato opportuno, per esempio, dopo l’incoronazione).
Perplime anche la costruzione fisica di questo Riccardo III. Costretto a una verbosità grottesca e mai declinata a seconda dei contesti e delle relazioni in scena, agli occhi si impone le physique du rôle di un attore che però mal si addice sia all’immaginario (dell’essere ingobbito), sia a un rinnovamento della figura (come ipotetico gigante zoppicante).

Con i limiti espressivi e attorali che si palesano senza appello (a teatro, si sa, la prima deve essere immediatamente quella buona), preoccupante è stata la direzione complessiva.

La scelta di inserire sparuti elementi contemporanei (il «Riccardo III, Riccardo III» come tifo allo stadio da parte di Sir Tyrrell; alcuni, non tutti, i costumi) non ha convinto, finendo spesso per spezzare le atmosfere faticosamente create dalla interessante impostazione scenografica di Gianluca Amodio. Interessante per la tripartizione dello spazio scenico attraverso le luci e proiezioni, ma – alla lunga – ridondante e stancante, se non di dubbio gusto come nel caso della proiezione dei fantasmi che giungono a tormentare il sonno del sovrano.

Ma il risultato peggiore di questa sostanziale confusione drammaturgica è stata la noia, ovvero l’assenza di personalità artistica emersa concettualmente e visivamente dalla netta divisione/distinzione delle impostazioni recitative maschili e femminili in relazione al diverso livello di drammaticità. Assente per i primi, massimo per le seconde, quello che maldestramente viene rappresentato è un Riccardo III poco machiavellico, satanico solo perché se ne conosce la storia, e – incredibile a dirsi – quasi da compatire, con accanto donne mediocri e isteriche sul modello del più classico, superato e offensivo tipo freudiano. Una contraddizione clamorosa, che ha finito per metterne (di esse) in secondo piano le buone prove attorali, visto che le analisi shakesperiane delle figure femminili, e non fa eccezione questo dramma, sono superlative e rivelano personaggi fondamentali per la narrazione, dalle mille sfumature e complessità, nonostante al Bardo non manchino accuse di misoginia..

Quasi tre ore (considerato l’intervallo) di imbarazzante superficialità e di trepidante attesa che il povero Riccardo disperasse e morisse. E con lui, finalmente, anche la noia.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Argentina

largo di Torre Argentina, 52 – Roma
dal 25 marzo al 6 aprile 2014
orari: ore 21.00, giovedì e domenica ore 17.00, sabato ore 19.00 (lunedì riposo)

RIII – Riccardo Terzo
di William Shakespeare
ideazione scenica, regia e con Alessandro Gassmann
traduzione e adattamento Vitaliano Trevisan
con Alessandro Gassmann
e con Mauro Marino, Giacomo Rosselli, Manrico Gammarota, Emanuele Maria Basso, Sabrina Knaflitz, Marco Cavicchioli, Marta Richeldi, Sergio Meogrossi
e con la partecipazione di Paila Pavese
scene Gianluca Amodio
costumi Mariano Tufano
musiche originali Pivio & Aldo De Scalzi
videografia Marco Schiavoni
durata 2 ore e 30 minuti più intervallo