Sembri morto. Risorgi!

Attendere di morire, o attendere di svegliarsi, è la medesima cosa. Tra la vita e la morte, Duccio Camerini porta sul palco del Piccolo Eliseo Risorgi, un’ora e quaranta di fiammeggiante concerto dark, tra suono di parola, immondizia e destino.

Immaginate Re Lear, risorto nell’anno del Giubileo della Misericordia. Il suo regno è un commercio di corpi ai margini della Città Eterna. A Shakespeare aggiungete Pasolini, un pizzico di William Burroughs, amalgamato con fotogrammi di Emir Kusturica (Ti ricordi di Dolly Bell?) e del primo Gus Van Sant. Regolate di sapidità con una spolverata di spezia tarantiniana (Le iene, ad esempio), e avrete il piatto di portata per questa serata a teatro.

Non sia indotto il gentile lettore a pensare questa operazione teatrale come un abile espediente sincretico. «C’è toccata quest’epoca qua, la gente che litiga, tutta incazzata, mica è merito nostro o colpa nostra. Siamo cascati qua» esclama Camerini. L’autore costruisce il testo intorno alla sensazione di un disagio, inoltrando il pubblico nello spazio d’ombra di una Roma somigliante a un immenso organismo gravido, che dà alla luce figli storpi, ma anche immagini di santità. Il degrado non è polemica sociale, ma la deriva di ogni parlante che si cimenta con il linguaggio. «La parola è illusione» esclama Rosa, ex assistente sociale, ora tossicodipendente d’amore e di chimica felicità. Se la parola è illusione, questa va continuamente nutrita, non per cercare un senso, ma per fare “due” con l’illusione dell’altro, sia questo un passante che getta una moneta a uno storpio, o un omoerotismo usato come trampolino per una fuga.

I “cionchi” lo sanno bene, che nessuno è risparmiato da una ferita costitutiva. Per strappare uno spicciolo, basta cercarla negli occhi dei passanti: «Er cionco se deve rincagnà -esclama Mongo- e cercà quarcuno che c’ha na ferita dentro che je fa male». La parola deve disseccarsi, e fare appello a quella ferita che sta tra chi chiede e chi dà: «La cosa più difficile è davanti na chiesa, devi dì le parole finchè non diventano una sola: mefatelacaritàchenonpossolavorà».

Come Lear si sveste della corona «per gattonare verso la morte», Marika si sveste della sua identità maschile, non per rinunciare alla regalità, ma per eccederla in un tripudio orgiastico. Il potere è essere uomo, essere donna, delirare “culi senza capoccia”, avere figli per i quali sodomia e amore possono convivere, in un’onnipotenza mortale che tesse le fila di un popolo straccione. Traiano e Latodestro (quello sinistro è paralizzato) sono i figli del Re, la cui esistenza non è per il padre un cancro da estirpare – come afferma Lear – ma da tenere dentro, come un’escrescenza di cui ci si augura la crescita. Cordelia – la figlia devota – diviene Sergetto, ex marchettaro, epilettico, il figlio amato, l’unico che cercherà di salvare il Regno dalla sua divisione, diviso egli stesso dalla domanda d’amore verso suo padre («Nun te farà mai da padre» gli ripetono), e la necessità di fuggire.

«Re Lear è un monumento del teatro, una specie di supermercato» afferma Camerini, aperto – aggiungo io – di notte e di giorno, capace ancora oggi di darsi allo smembramento del corpo scenico, disposto a farsi sciancare, mutilare, torcere, ancora disposto a chiedere la grazia di un pubblico, come un accattone a cui si è disposti – chissà perchè – a concedere la grazia di un’elemosina, sotto forma di biglietto al botteghino.

«Sto teatro inizia dalla platea, dà retta a me» fa un’avvertita voce femminile alle mie spalle, all’inizio della rappresentazione. Alla fine, esauriti gli applausi scroscianti, sento la stessa signora dire all’amica: «Hai avuto un bell’intuito. Brava!». Operazioni come questa di Camerini sono una perla perduta nell’immondizia. Non la troveremo più e lo sappiamo, eppure ci troviamo senza dignità a rimestare tra i rifiuti, per trovare cosa? Forse il nostro desiderio di purezza, che scopriremo candido come quello di Mongo, Marika, Latodestro, Rosa, Sergetto, candido come la fede di quella spettatrice nel Grande Teatro, che stasera è stato disposto a visitarci.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Piccolo Eliseo

Via Nazionale 183, Roma
dal 30 novembre a 11 dicembre 2016

Risorgi
scritto e diretto da Duccio Camerini
con Simone Bobini, Barnaba Bonafaccia, Duccio Camerini, Marika De Chiara, Ciro Carlo Fico, Dario Guidi, Igor Mattei, Marco Damiano Minandri, Cristina Pedetta
regia Duccio Camerini
musiche dal vivo Matteo Colasanti
scene e costumi Nika Campisi
produzione La Contrada – Stabile di Trieste, La casa dei racconti