Dall’Eni agli Ubu: non polemica ma verità

Su Inthenet abbiamo intervistato Ulderico Pesce circa Petrolio, lo spettacolo che aveva debuttato poco prima della pandemia e che oggi sembra più che mai attuale data anche l’importanza delle tematiche ambientali a livello politico ed economico – visti i miliardi che il PNRR destinerà al cosiddetto green.

In questa seconda parte, abbiamo voluto affrontare con Pesce un’altra tematica che pare stargli a cuore in questo momento, ossia il Premio Ubu – non perché lui stesso «non l’abbia vinto» (come ha postato un suo collegamento su Facebook) – bensì perché i premi possono fare la differenza, in un mondo ormai asfittico e sclerotizzato come quello del teatro italiano.

Sebbene a noi di Persinsala i premi non piacciano e, anzi, ci auspicheremmo un ritorno alle istanze di Pasolini, Gregoretti o Pontecorvo, che alla Biennale Cinema di Venezia propugnavano un’arte libera da premi e mercificazioni, se queste valutazioni servissero a una maggiore trasparenza nei meccanismi, a un’ammissione del conflitto di interessi che può sorgere in alcuni casi e a una presa di coscienza collettiva di noi critici, le stesse avrebbero un senso.

Soprattutto perché, guardando alle realtà premiate dagli Ubu, ci salta all’occhio Kilowatt Festival che da questo premio può e deve ricevere forza dopo le vicende della scorsa estate, quando agli organizzatori – Luca Ricci e Lucia Franchi – fu impedito di fare il dopo-festival “per l’ennesimo cavillo burocratico di un sistema politico-amministrativo, che pare sempre più guardare al dito invece che alla luna”, come scrivevamo a suo tempo. Ricci e Franchi, che hanno dovuto affrontare una serie di traversie legali, senza alcuna colpa, meritavano e meritano il sostegno dell’intera comunità teatrale – anche attraverso un premio.

Ed è Ulderico Pesce, per primo, ad affermare che: «Ci sono critici molto bravi. Del resto la critica, negli anni, è cambiata. Aristotele cercava di capire le regole estetiche di Eschilo, Sofocle, Euripide, della comunità che frequentava il Teatro di Dioniso e le regole fondamentali di quel miracolo che era il teatro. La critica ha avuto un ruolo di primo piano anche nel Rinascimento e fino al Novecento. Ma a un certo punto è diventata imprenditrice di se stessa: sono nati degli interessi e il pubblico se ne è discostato. Oggi, sulla carta stampata, lo spazio della critica è sempre meno e ormai esistono pochissimi critici che continuano a esercitare la professione sui quotidiani. Diciamo che la critica si è in parte trasferita su Internet – ma non ha più lo stesso peso. Un tempo il critico riusciva a muovere anche il pubblico perché era una persona di cui ci si poteva fidare quando si esprimeva sulla qualità di un prodotto artistico. Oggi i critici sono coinvolti in prima persona nelle operazioni estetiche, ragion per cui non possono più essere affidabili. Ci sono persino critici che fanno parte di cordate. Non tutti però. Grazie a questa polemica sto scoprendo dei critici meravigliosi: persone piene di passione, poesia, che lavorano in tutta Italia andando in giro a proprie spese, finanziando se stessi pur di scoprire un artista. Persone altamente motivate. Non è vero che tutti i critici sono autoreferenziali».

Perché ha aperto questo ‘dialogo’ con alcuni tra i critici che fanno parte della giuria referendaria degli Ubu?
U.P.: «Innanzi tutto perché sul sito del Premio si afferma un qualcosa che non corrisponde a verità. Teoricamente ogni critico dovrebbe guardare tutti gli spettacoli in prima nazionale nel corso di dodici mesi per poi scegliere il migliore [come indicato dalla Carta d’identità del Premio Ubu, ndr]. Ma ciò non è vero: i critici non vedono tutti gli spettacoli in prima nazionale [obiettivamente poco fattibile: “sono oltre 700 locandine, liberamente consultabili e ricercabili in rete, sulla pagina web dei Premi Ubu”, ‘Atto Costitutivo del Premio, ndr]. Vedono gli spettacoli che i giurati stessi hanno piacere a vedere».

Forse occorrerebbe specificare meglio i meccanismi per una eventuale preselezione o chiarire, nel caso, cosa hanno visto effettivamente i critici, dato che la mole di prime nazionali e la dislocazione territoriale delle stesse potrebbero rendere utopistica una simile prassi?
U.P.: «A oggi, dai documenti a cui si ha accesso liberamente – ossia quelli caricati sul sito Internet – si evince che “il Premio Ubu è, storicamente, un riconoscimento dallo sguardo lungo, che cerca di individuare non solo il meglio che c’è, ma quello che verrà, aprendosi alle nuove prospettive”. Ergo, premia non solamente il meglio che c’è in Italia ma addirittura quelle che saranno le nuove tendenze in base all’analisi di tutti gli spettacoli in prima nazionale, prodotti nella Stagione in corso. Sul sito, quindi, l’idea è chiara: i giurati vedono tutti gli spettacoli in prima nazionale e scelgono il migliore. Ovviamente è difficile che un siciliano vada a Milano ma anche il contrario, ossia che un milanese venga in Basilicata a vedere uno spettacolo. Quindi, come si fa? Ciò che contesto è che si dichiari un qualcosa che è oltre che impossibile, anche illegale. Esistono dei fondi pubblici a sostegno del Premio [sul sito pare che le informazioni siano un po’ datate: “Contributi attuali: Mibac e Cariplo per il 2018 … I Premi Ubu, per i quali abbiamo ricevuto il patrocinio e il contributo dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano e l’ospitalità del Piccolo Teatro”. L’ultima cerimonia di premiazione è stata infatti ospitata dal Cocoricò di Riccione, il 13 dicembre 2021, ndr] e, quindi, la trasparenza è indispensabile. Occorre che ogni critico dichiari pubblicamente quali spettacoli andrà a vedere. E ancora, che quegli spettacoli che sono visti da uno, siano visti anche da tutti gli altri. Se un critico assiste a tre spettacoli, uno ad altri tre e un altro ancora a cinque, ancora diversi, che senso ha? Qual è la base comune del giudizio espresso dal Premio?»

Forse la sua critica è stata così veemente perché sul sito del Premio Ubu vi è scritto che lo stesso è “definito a più voci ‘l’Oscar del teatro italiano”?
U.P.: «Forse si respira un’eccessiva enfasi. Pensiamo alle categorie: il migliore spettacolo dell’anno. Oppure, il miglior attore. La migliore attrice. Ma per affermarlo bisognerebbe aver visto davvero tutto. Altrimenti si deve dichiarare quali spettacoli sono stati analizzati e tale informazione deve essere pubblicata sul sito e citata durante la diretta su Rai Radio3. Perdendo l’universalità e sottolineando la particolarità si farebbe finalmente chiarezza. Un’operazione di trasparenza molto importante. Anche perché il Premio Ubu è nato da un’idea di Franco Quadri, critico di Repubblica, editore di Ubulibri, traduttore dal francese di pièce che erano, a volte, premiate dallo stesso Ubu. Sarebbe forse il caso di cominciare anche a parlare di eventuali conflitti d’interesse».

Non è impossibile pensare a una mancanza di conflitti d’interesse in una realtà teatrale ed editoriale ove il critico non è più un professionista, ossia un giornalista che riceve un adeguato compenso economico da una testata e che ricopre un preciso ruolo sociale?
U.P.
: «Occorre imporre delle regole. Al contrario, alcuni critici – rispondendo al post che avevo messo sulla mia pagina Facebook – pensano che il teatro abbia leggi diverse, tutte sue. Pare quasi che questa sia la normalità, e che tutti dobbiamo accettarla come tale. Non si può dare per scontato che il Premio si riferisca solamente a una platea specifica, quella degli Ubu, soprattutto quando si afferma di premiare il migliore dell’anno. Lo trovo scorretto. E qui mi riallaccio all’incipit della risposta: occorrono regole. Se un critico scrive dei libri su un artista, come accade ad esempio a Graziano Graziani con Daniele Timpano, non potrà poi votare per quell’artista. Lui sarà il critico di riferimento dell’artista e avrà quel ruolo, che non gli permette di esprimere un giudizio in una premiazione. E così potrei dire di Maurizio Porro, che scrive il programma di sala dell’Hamlet di Antonio Latella, e allo stesso modo non potrà votarlo. Pensiamo a un critico che accetti incarichi in teatro, non potrà più esercitare la professione di critico – in quanto quel teatro produrrà e ospiterà spettacoli che potrebbero essere o meno premiati. O si fa il critico, ossia si giudica il lavoro altrui, oppure si sceglie tra altre opzioni professionali. I critici che hanno conflitti d’interesse non onorano il loro ruolo e non rispettano la loro professione. Ma è anche vero che i conflitti d’interesse sono presenti anche in altri settori e il mondo del teatro, nel suo complesso, ne abbonda. Pensiamo ad alcuni direttori artistici, scelti tra persone che non ne avrebbero le competenze solo perché sostenuti dalla politica. La politica invade sfere che non le sono proprie. Tutti i direttori artistici di teatri pubblici, dovrebbero partecipare a concorsi pubblici, trasparenti, e vincere in base a un’idea artistica da sviluppare negli anni in un preciso contesto territoriale».

Nuove regole aiuterebbero anche un ricambio generazionale e migliori dinamiche territoriali?
U.P.: «Assolutamente! Ma ve la immaginate una Compagnia di giovani attori siciliani o delle aree interne della Basilicata che riesce ad accedere al palco del Piccolo Teatro di Milano? Il mondo del teatro è totalmente chiuso. E in più, vittima degli scambi. Ossia di quel sistema per cui il teatro ‘stabile’ di Milano è ospitato a Torino e viceversa. Questa logica erige, in realtà, una barriera contro la creatività delle nuove generazioni e coloro che non appartengono ad ambienti organizzati a livello politico o imprenditoriale. Bisogna liberarci dai giochi di potere. Ci sono tanti giovani attori, autori e registi che, nelle aree interne delle più svariate regioni italiane, slegati da qualsiasi rapporto con la politica o da qualsiasi relazione con una certa critica, fanno il loro mestiere, ossia cercano dei temi che contino davvero e su quelli lavorano. Così come esistono tanti critici seri che rifiutano tali giochi – quei premi come quei poteri, anche politici – e che girano l’Italia facendo seriamente il loro lavoro».

Nella foto: Ulderico Pesce in Asso di Monnezza (foto scaricata del sito dell’artista).