L’isola del tesoro

Alla Sala Verdi del Conservatorio, Roberto Prosseda omaggia il periodo preromantico del pianoforte con gioielli poco noti che varrebbe la pena riscoprire.

Quando ci si reca a un concerto il cui cartellone offre brani meravigliosi e non inflazionati – anzi, praticamente rari da ascoltare dal vivo – si è spinti da una curiosità e da una predisposizione all’ascolto straordinari; se poi, per una volta – caso ormai abbastanza raro – l’esecutore è italiano ed è un nome che negli ultimi anni circola sempre di più nelle sale da concerto, allora diventa impossibile mancare.
Il programma presentato alla Sala Verdi è complesso e articolato: nella prima parte si apre con la Fantasia in do minore KV 475 di Mozart, per poi proseguire con i Quattro Improvvisi op. 90 di Schubert, mentre la seconda parte è interamente dedicata a Mendelssohn – autore particolarmente caro a Prosseda – con la Sonata n. 1 in mi maggiore op. 6, il Rondò Capriccioso in mi maggiore op. 14 e i Tre Capricci op. 33.
Chi conosce bene questo tipo di repertorio sa che la difficoltà di questi brani – per una volta – non consiste tanto nella quantità di note da suonare o in particolari elementi virtuosistici – che, comunque, non mancano – ma nel sentirsi comodi con questo tipo di musica particolare, che ha quale comun denominatore un’indagine profonda dell’universo delle emozioni interiori che il pianista, necessariamente, deve non solo provare ma altresì condividere con il pubblico: il tutto con la più grande delicatezza e sensibilità di cui è capace.
Il primo e principale veicolo a disposizione di uno strumentista per compiere la sua impresa è senza dubbio il suono: quello di Roberto Prosseda purtroppo raramente risulta convincente – soprattutto nella prima parte del concerto – a iniziare da quel do che apre la Fantasia di Mozart. Uno squarcio nel silenzio che manca di pienezza e corposità. Ma non è l’unico difetto: sempre in Mozart – qui più che mai proiettato oltre il Classicismo – manca coesione considerando comunque che, essendo una “fantasia” – per denominazione brano composto da vari episodi e già per sua natura tendente alla frammenterietà – ha bisogno di particolari equilibri tra un tema e l’altro perché tutto sia direzionato e unitario.
L’impressione generale è che Prosseda non si senta completamente a suo agio, almeno fino all’ultimo degli Improvvisi di Schubert che, effettivamente, è il più riuscito. Bello invece il rispetto filologico del testo – è infatti evidente che è stato fatto a monte un attento lavoro di analisi.
Passando a Mendelssohn si capisce immediatamente che ci si trova in una zona franca, dove Prosseda può esprimersi al meglio e, finalmente, nel Rondò Capriccioso si ha una completezza d’esecuzione di cui si era sentita la mancanza e che si mantiene anche nei Tre Capricci op. 33.
Complice anche l’innegabile bellezza dei brani proposti, il pubblico ha gradito la serata, e i due bis concessi dal solista hanno contribuito a completare il programma, aggiungendo un tocco di coerenza in più.

Lo spettacolo è andato in scena:
Conservatorio G. Verdi – Sala Verdi

via Conservatorio, 12 – Milano
lunedì 20 febbraio, ore 21.00

W. A. Mozart:
Fantasia in do minore KV 475
F. Schubert
Quattro Improvvisi op. 90
F. Mendelssohn
Sonata n. 1 in mi maggiore op. 6
Rondò Capriccioso in mi maggiore op. 14
Tre Capricci op. 33
pianoforte Roberto Prosseda