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Al Teatro Studio Uno di Torpignattara, Barbara Caridi dirige Claudia Salvatore in Run, uno spettacolo dai due volti.

Inscenato in una stravolta Sala Specchi, con il pubblico seduto ai lati e la dinamica dell’attrice nel mezzo, Run è un allestimento ibrido. Ben radicato nella tradizione metateatrale, che alla rottura dell’illusione scenica accompagna l’analisi della realtà concreta, lo spettacolo di Barbara Caridi e Claudia Salvatore palesa esplicitamente i propri debiti nei confronti del linguaggio performativo, ossia di una grammatica in cui a costituire l’opera è l’azione stessa, l’interpretazione formale risulta assente e il muro che separa arte e vita, di fatto, abbattuto.

Ribaltando l’idea che la corsa sia una manifestazione neutrale dell’esistenza perché associata a meri istinti primordiali (dalla reazione alla paura alla ricerca del cibo e a quella della felicità), Run ha come protagonista un «imperativo categorico» (corri) che si evolve fino ad «assomigliare a una fuga» durante la quale «accade di incontrare se stessi».

Infatti, provando a raccontarsi per contrarietà rispetto al proprio oggetto in una performance semistrutturata e volontariamente caotica ed emotiva, Run rappresenta il «senso di una ricerca, che passa per urgenze, campanelli d’allarme, start, finish line, desideri, visioni, delusioni, ma soprattutto Desideri»; una ricerca in cui «la posta in gioco è alta» perché «in questo correre verso la latteria a prendere il latte, può accadere che il latte non sia più il vero oggetto del desiderio» e che ci sia «qualcos’altro per cui valga la pena di correre oltre», che «quello che cerchi sia TU […] corri per incontrarti, corri per dimenticarti, corri per restare a galla».

Con i suoi significativi rimandi alla contemporaneità e la continua esplorazione interrotta dello spazio scenico, Run sembra ammonire lo spettatore come il correre non sia da considerare un momento individuale tout court, ma personale nel senso di inscritto nella collettività e nel tempo di appartenenza. L’affanno di un’estenuante autoimposizione alla corsa, l’asfissiante riscoperta di ulteriori motivazioni per andare continuamente avanti e, last but not least, la banalità della morte cui giunge ogni per-corso di vita, in particolare di chi migrante vede drammaticamente infrangere ambizioni e speranze nel Mare nostrum, sono pulsioni storico-culturali che lasciano affiorare nella e dalla protagonista non solo la percezione di un privato disagio interiore, ma anche, se non soprattutto (almeno nelle intenzioni), l’affermazione di una volontà determinata a non soccombere di fronte allo scontro impersonale che l’epoca contemporanea presenta quale  inevitabile prezzo da pagare per i ritmi (dis)umani che coinvolgono e travolgono l’io con il noi. Visto da questa prospettiva, in Run si assiste dunque all’ambizioso tentativo di oltrepassare l’intepretazione culturale del corpo nelle sue categorie valutative e competitive per arrivare a delinearne addirittura la valenza fenomenologica e disciplinare.

L’introduzione del pubblico nel finale e gli stralci di musica dal vivo; la realizzazione figurativa di quanto possa essere straziante ogni vagare esistenziale e il simbolismo altrettanto dilaniante delle scarpe come rimando al ricordo di chi non è più; infine, l’impossibile approccio narrativo e la mancata definizione dei caratteri sono spunti che, nel tentativo di veicolare l’empatia del pubblico al proprio interno, appaiono tuttavia funzionali solo a tratti perché in parte stucchevoli nel cercare di restituire una sensazione di articolata omogeneità a quadri purtroppo scolasticamente presentati senza soluzione di continuità

Facendo della radicalità della prospettiva la propria principale virtù, il lavoro di Barbara Caridi e Claudia Salvatore paga allora, almeno allo stato dell’arte, una dialettica ancora autoreferenziale tra gestualità (confusa) ed esposizione verbale (criptica), nonché l’incertezza di fondo (decidere se collocarsi o scegliere tra performing e performance art), così inficiando la possibilità di far esperire con efficacia quella dimensione di solitudine e perdita che pure sembrerebbe essere nelle corde di Run e da cui nessuno potrebbe realmente sentirsi risparmiato.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Studio Uno
via Carlo della Rocca 6, Roma
dal 6 al 9 aprile 2017

Run
di Barbara Caridi e Claudia Salvatore
regia Barbara Caridi
con Claudia Salvatore
paint & grafic Roberto Ciangola (Rob Funkyfrog) e Guido D’angelo
live music Flavio Rambotti
fotografie Fabio Trisorio