Mio peccato, anima mia

Allo Spazio Avirex Tertulliano il regista Luca Ligato, complice la tagliente scenografia di Giovanna Angeli e i costumi di Carla Goddi ispirati al bondage giapponese, ci trascina nelle acque oscure dei rapporti di potere alla corte di Erode. Sotto il segno della dissoluzione dell’etica che ben rappresenta la sensibilità decadentista di inizio Novecento, restiamo senza giudizio di fronte alla sua Salomè bambina, che riscopriamo umana.

Salomè dannata, perduta, danzante, fatale. Salomè carnefice, lunare, necrofila, isterica e scabrosa. Salomè poco più che bambina, Salomè vittima, Salomè oscena, Salomè tenera e piangente sulla testa recisa del profeta. È cosi’ che il giovane regista Luca Ligato ci descrive la principessa di Giudea, figura leggendaria e archetipica, che nell’interpretazione di Valentina Mandruzzato aquista un’umanità inaspettata.
Il regista apre la pièce imprigionando tre personaggi in teli di plastica trasparente. Una luce verdastra li inscrive in una composizione inquietante che ricorda tanto la morte quanto una condizione larvale. In alto, la luna. Sullo sfondo, una rete metallica, dietro cui non è dato vedere. I tre parlano della luna e di quanto alla luna assomigli la principessa Salomè. Il biancore, la distanza, la purezza virginale, ma anche l’ambiguità di un astro che più lo si guarda, più si trasfigura. Il flusso di profezie che Iokanaan non smette di annunciare dal buio della sua prigione si contrappone alla vanagloria di Erode, di cui Mauro Bernardi fa un personaggio affascinante, laico, devoto ai rapporti di potere e alla sua rassicurante amicizia con Cesare, amante del vino e timoroso di Iokanaan.
Ligato spinge le corde dell’erotismo e veste i suoi personaggi in costumi ispirati al bondage e allo shibari giapponese realizzati da Carla Goddi. Lega – quasi crocifigge – il profeta Iokanaan, interpretato dall’androgina Nicole Guerzoni, il cui corpo pare stare in piedi solo grazie a un sistema di corde. Il testo, sviluppato intorno a una musicalità orgiastica, trova il suo contrappunto gestuale nella mimica ipnotica e sensuale di Valentina Mandruzzato. Un erotismo che si nega, che suggerisce e poi nasconde: se tra le principali attese del pubblico di fronte alla Salomè è «come sarà rappresentata la danza dei sette veli?» il regista decide, semplicemente, di lasciarla all’immaginazione.
La poetica dello sguardo, centrale in Wilde, comincia sin dall’inizio a farsi spazio sulla scena. «Non si deve guardare la gente in questo modo… Può accadere una disgrazia» ammonisce l’ancella a Narraboth immerso nella contemplazione di Salomè. Lo sguardo di cui si parla è uno sguardo erotico, voyeristico, in cui sorge e si espande il desiderio, un’estasi e un’invadenza nello spazio privato dell’altro. Erode guarda fissamente la figliastra e desidera che ella danzi per lui. L’occhio desiderante si appropria dell’oggetto senza chiedere il permesso, senza che ci sia consenso. «Chi è questa donna che mi guarda? Non voglio che mi guardi» proromperà Iokanaan quando la pricipessa tenterà di sedurlo.
La vera sfida che lancia il regista è alla comune percezione del personaggio di Salomè. Poco più che adolescente, alle prese con un sentimento che tutto divora, questa Salomè è intrisa di un fascino infantile e la sua dimensione umana è più forte di quella archetipica. Il mondo attorno a lei è troppo vasto, troppo complesso, vano e distante. La corte nella quale vive è sviluppata sui rapporti di potere, la stessa madre e il patrigno ne sono invischiati fino al collo. Ciò che vede Salomè, ciò su cui il suo sguardo si posa è un corpo, il bel corpo bianco del profeta, e nient’altro pare esistere tranne che il nero dei suoi capelli e il rosso della sua bocca. Iokanaan è invece senza macchia, al riparo da ogni contaminazione del desiderio, di quel desiderio che implica la dispersione del proprio io. E per questo è inappropriabile.
Sebbene la storia di Salomè si inscriva nel mito evangelico dai contorni nitidi, la regia di Ligato segue la direzione imposta da Wilde. Salomè viene inserita nello spazio ambiguo dell’universo poetico e pertanto non è piu giudicabile. Valentina Mandruzzato restituisce a Salomè un candore che ci scuote. Della sua passione percepiamo la forza straripante, la miopia del suo sguardo erotico, vuoto e incurante verso tutto ciò che non sia il corpo del profeta. Salomè è una bambina, una bambina carnefice ma anche vittima di un incantamento erotico che non sa gestire. E quando la vediamo piangente sulla testa mozzata di Iokanaan, il brivido che sentiamo deriva dalla paradossale convivenza di emozioni contrapposte, di orrore e tenerezza. Il merito di Ligato sta nel presentarci, in pochi attimi, l’orrore del feticismo, la necrofilia, persino il cannibalismo e tutto ciò che di macabro e aberrante la leggendaria scena suggerisca, ma anche una tenerezza dolorosa davanti a un’adolescente che ha perduto se stessa e ha perso ogni contatto con le leggi della vita.

Lo spettacolo è andato in scena
Spazio Avirex Tertulliano
via Tertulliano 70 – Milano
da Sabato 9 a domenica 19 novembre 2017
orari: giovedì , venerdì , sabato 21.00
domenica 18.30
lunedì, martedì, mercoledì riposo

Salomè
di Oscar Wilde
con Mauro Bernardi, Nicole Guerzoni, Valentina Mandruzzato
regia di Luca Ligato
scenografia Giovanna Angeli
costumi Carla Goddi
disegno luci Alessandro Tinelli
musiche originali Eon
movimenti scenici Marco Rigamonti
ropes Rita Pierantozzi
con il sostegno di Manifattura K
produzione Alraune Teatro
www.alrauneteatro.it