Ritratti d’autore

In occasione della proiezione del film di Guido Lombardi Take five per il Festival dell’Arte Reclusa-2014 che si svolge nel carcere di Rebibbia, Persinsala ha incontrato il protagonista Salvatore Striano insieme a Fabio Cavalli e Laura Andreini Salerno, responsabili della direzione artistica del Festival.

Come nasce il Festival dell’Arte Reclusa? È già in programmazione la prossima edizione?
Laura Andreini Salerno: «Il Festival nasce dal nostro lavoro, mio e di Fabio Cavalli, con la Fondazione Enrico Maria Salerno, come una sfida poiché ci proponiamo di fare teatro professionale all’interno del carcere di Rebibbia che tra l’altro è dotato di una bellissima struttura. Si tratta di un lavoro che va avanti da dieci anni. Abbiamo iniziato con un gruppo di detenuti dell’Alta Sicurezza che avevano richiesto il nostro aiuto e da quel momento non siamo più usciti. A oggi sono quattro le compagnie presenti, ognuna formata da trenta attori provenienti dall’Alta Sicurezza, Lunghe Pene e Precauzionale. Attualmente non ci occupiamo più solo di teatro, anche se rimane la nostra attività principale, ma ci siamo dedicati anche all’aspetto musicale tramite un laboratorio: i detenuti che hanno partecipato sono andati in scena proprio qualche giorno fa con un omaggio a Fabrizio De André. Ovviamente c’è anche il cinema e la sala del carcere di Rebibbia che, in collaborazione con il Festival Internazionale del Cinema di Roma, è diventato un punto culturalmente importante anche per la cittadinanza. Poi è stato fatto un omaggio a Enrico Maria Salerno in occassione del ventennale della sua scomparsa e, tra gli altri, è intervenuto Dario Argento ed è stato proiettato L’uccello dalle piume di cristallo. Infine i due appuntamenti con Salvatore (Sasà) Striano, uno dei protagonisti del film Take Five. Il cartellone dunque è denso e la nostra sfida è che il carcere di Rebibbia consolidi il suo essere un punto di riferimento per la cultura e l’arte in genere.»

Quale riscontro avete avuto dal pubblico e dalle istituzioni?
L.A.S.: «Il pubblico è sempre straordinariamente generoso e ogni volta dobbiamo arginare le richieste che sono sempre superiori alla capienza della sala di Rebibbia. Il pubblico ha tutta una serie di adempimenti da compiere per entrare e questo è un modo per dimostrare il reale interesse a partecipare. Quindi è non solo una scelta, ma anche una forma di educazione del pubblico stesso nonché dei giovani, infatti noi lavoriamo molto anche con le scuole. Allo stesso modo le istituzioni ormai ci conoscono bene e ci sostengono per quanto i tempi siano duri e difficili.»

Ci rivolgiamo quindi a Salvatore Strano. Che emozioni le ha suscitato tornare a lavorare con Fabio Cavalli e Laura Andreini Salerno nel posto da dove è partita la sua carriera artistica?
Salvatore Striano: «L’emozione è fortissima, come riavvolgere parte del film della mia vita: ritrovarmi qui mi riporta ancora più indietro, non solo a quello che ho vissuto in carcere, ma anche a quello che mi ha portato a vivere il carcere stesso. E fa male. Però allo stesso tempo questa volta entro guardato con occhi diversi: ho fatto cadere i ruoli e fatto capire che ora non c’è più il delinquente e non c’è più la guardia, ma solo persone umane che si parlano e si relazionano tra loro. Questo mi fa capire che sto facendo qualcosa di buono e anche di utile perché qualsiasi detenuto può prendere forza dalla mia storia. Credo anche che il dolore che provo quando torno in carcere faccia parte del debito umano che ho da pagare nei confronti della società.»

Lei ha fatto molto teatro con interpreti importanti come Umberto Orsini, nonché cinema di spessore e alcuni ruoli in televisione. Come si rapporta come attore con questi tre medium così differenti fra loro?
S.S.: «Il teatro è in un certo senso la dimensione che si vive più frequentemente: anche quando presenti un film sei comunque su un palcoscenico, quindi il rapporto col pubblico raggiunge un’altra dimensione, è un rapporto umano in senso stretto. Il grande schermo invece mi permette di togliere alcune etichette nonché una crescita professionale e personale a tutto tondo. La televisione, invece, mi guasta un po’ (ride), nel senso che ho fatto cose viste da tutti, che danno tanta popolarità e notorietà. Quindi sicuramente per me in primo piano resta il teatro, poi il cinema anche per come si muove la stessa macchina cinematografica con le sue tante maestranze e la capacità, per ognuno che ci lavora, di calarsi a volte la maschera di attore e reinventarsi in altri ruoli.»

La sua vicenda è molto particolare e il suo percorso artistico le ha fatto guadagnare una notorietà differente. Quale è stata la reazione del pubblico inizialmente? È cambiata nel corso del tempo?
S.S. «Io sono stata fortunato perché sin dall’inizio, da quando ero ancora in carcere, sono venuto a contatto con persone che sapevano cosa stavano facendo e mi riferisco a Fabio Cavalli, Laura Andreini Salerno e il Centro Studi Enrico Maria Salerno oltre che all’allora direttore del carcere Dott. Cantone. Il loro atteggiamento nei nostri confronti è stato sempre quello di trattarci da professionisti nonostante noi non lo fossimo, non abbiamo mai intrapreso una strada amatoriale; e lo stesso atteggiamento è stato adottato da chi è venuto a vederci nel corso del tempo, da Carlo Cecchi a Luca De Filippo fino ai fratelli Taviani e queso ci portava a riflettere. Grazie a loro la gente all’esterno già sapeva che all’interno del carcere si era costituita una compagnia che faceva emozionare attraverso lavori di alta qualità. Io poi sono cosciente di avere questa etichetta di ex camorrista, per cui il solo essere bravo come interprete non mi è sufficiente, devo andare oltre anche grazie alla possibilità di commettere sbagli che non ricadono sugli altri ma che mi aiutano a migliorare e mi consentono anche di divertirmi. Grazie a Fabio Cavalli ho capito che sul palcoscenico si può dar vita al proibito senza offendere nessuno.»

Un’ultima battuta: recitare rende liberi?
S.S. «Assolutamente sì. È paradossale pensare che una persona possa sentirsi libero per la prima volta nella sua vita all’interno di un carcere. È come ritornare nel grembo materno.»

PROGRAMMA DEL FESTIVAL
Ingresso gratuito con obbligo di accreditamento

12 novembre
Teatro del Carcere di Rebibbia n.c. ore 16
Enoch Arden – Il Naufrago
Melologo di Richard Strauss dal poema di Alfred Lord Tennyson
Traduzione e voce di Patrizia Zappa Mulas
al pianoforte il M° Stefano Ragni

5 dicembre
Teatro del Carcere di Rebibbia n.c. ore 16
Incontro speciale: Più libri più liberi – Editoria – Segnalibro
Seminario conferenza sulle nuove frontiere della cultura del teatro e dell’editoria digitale
in collaborazione con l’AIE – Associazione Italiana Editori

11 dicembre
Teatro Palladium – Università Roma 3 ore 21
Incontro/spettacolo – Sasà Dentro l’Avventura
In collaborazione con Università Roma 3 Dipartimento di Filosofia Comunicazione e Spettacolo
con Sasà Striano
Regia e drammaturgia Fabio Cavalli

12 dicembre
Teatro Palladium – Università Roma 3 ore 15.30
Dieci anni di teatro in carcere – Decennale Compagnia G12 A.S.
Proiezione e dibattito con gli esponenti del mondo artistico, culturale e istituzionale.

17 dicembre
Teatro del Carcere di Rebibbia n.c. ore 16
Anteprima Arturo Ué – Incontro speciale: teatro/fumetto/musica
liberamente tratto da Arturo Ui Di Bertolt Brecht, regia Di Fabio Cavalli
compagnia dei detenuti attori della sezione G12 alta sicurezza