H di Hotel

Il DialmaAvete presente quelle scene di Road Runner, in cui il povero Willy il Coyote non solo fallisce nel suo tentativo di catturare Beep Beep, ma viene investito da un camion? Più o meno questa è la sensazione, usciti da Santa Rita and the Spiders from Mars: di essere stati investiti da un fiume di parole, di discorsi. Un torrente in piena.

Santa Rita and the Spiders from Mars è un lavoro intenso, complicato da vedere, se non si conoscono bene gli artisti (e i testi) che si ritrovano faccia a faccia in questa lettura: Paolo Poli e David Bowie. Proviamo quindi a ricostruire i pezzi, per orientarci meglio.
Il reading nasce da un’idea del critico teatrale Rodolfo di Giammarco che, scorgendo una prossimità fra le personalità in questione, Bowie e Poli, ha proposto di farli incontrare in una intervista/dialogo impossibile. Così commenta il critico: «Ho pensato a Poli e a Bowie, ai trentadue denti brillanti che hanno sempre sorriso sulle bocche di questi due, che, poi, sono morti precisamente a distanza di un anno uno dall’altro. Ecco, questi due se ne sono fregati: dei geni, dei pubblici. E hanno fatto tantissima cultura». Da qui nasce il lavoro di Marco Cavalcoli – il titolo è l’unione di due opere fondamentali di Poli e Bowie, rispettivamente: Santa Rita da Cascia di Poli e The rise and fall of Ziggy Sturdust and the Spiders from Mars di Bowie.

Santa Rita da Cascia (che debutta nel 1966) fu il primo grande successo di Poli, un’opera che gli diede grande notorietà. Non solo sul palco c’era un uomo travestito da donna, ma impersonava pure una suora e santa. Poli curò tutto: testo, costumi, scene, regia. L’opera era irriverente, ispirata a una forma teatrale che l’artista amava e conosceva (visto che da ragazzo l’aveva frequentata) ovvero quella del teatro parrocchiale.
L’uomo vestito da donna attirava e affascinava il pubblico, ma il tema urtava la sensibilità, al punto che dopo una delle repliche a Roma, un onorevole DC presentò un’istanza parlamentare; il lavoro fu in seguito bloccato, durante alcune repliche milanesi, e non fu riportato in scena che nel 1977.

David Bowie, mito del glam rock degli anni 70, volendo realizzare un musical, scrive un concept album, The rise and fall of Ziggy Sturdust and the Spiders form Mars, per l’appunto. In un mondo sull’orlo dell’apocalisse, i ragni che vengono da Marte, sono gli alieni musicisti che aiutano Ziggy a diventare una rock star e a conquistare quello che resta dell’umanità. Sul palco, in concerto, Bowie veste i panni di Ziggy: come è sua abitudine e come avverrà anche in seguito, il cantante inglese utilizza un alter ego per andare in scena, impersonando l’eroe del disco. Siamo nel 1972, Ziggy Stardust è il quinto album del cantante inglese, e soprattutto è quello che in modo più duraturo segnerà la sua carriera e la storia della musica.

Veniamo alla nostra serata a Il Dialma di La Spezia. Marco Cavalcoli parla. Fossimo a occhi chiusi, potrebbe tranquillamente essere un’intervista radiofonica.
I due testi spesso procedono scollegati, messi soltanto uno accanto all’altro, mostrati, offerti al pubblico. Si fa fatica a comprendere il senso della loro unione, la loro vicinanza, il nesso, il valore. I due personaggi sono presenti, sì, ma non avendo familiarità con loro e i loro testi si fa presto a perderli di vista. Eppure una conoscenza pregressa non dovrebbe essere un requisito necessario alla fruibilità di uno spettacolo. Oppure sì? Senza dubbio il pubblico deve fare la sua parte, ma sembra eccessivo chiedergli di studiare per poter capire. Non sarebbe compito dell’artista in scena rendere possibile seguire un filo, o metterlo almeno a disposizione? Renderlo, per così dire, “fiutabile”?
Per comprendere cosa intendiamo, può essere utile pensare alla differenza fra le due parti dello spettacolo. La prima è molto godibile e interessante. Si ride, si fa effettivamente esperienza della sagacia e della sostanziale irriverenza dei due artisti – sferzanti, eleganti e a loro modo radicali. Tuttavia, orientativamente dopo l’abisso degli aggettivi, il ritmo, la comprensione, e la godibilità si perde un po’ (a volte parecchio). L’abisso degli aggettivi (un elenco interminabile, in ordine alfabetico, di aggettivi che descrivono Bowie e Poli) ci sembra un punto di svolta e di non ritorno.
Ecco descritta l’esperienza. Fase 1: haha; fase 2 (durante un’interminabile A): vorrà mica farsi tutto l’alfabeto così? Fase 3 (durante l’interminabile B): vorrà mica davvero farsi tutto l’alfabeto così?? Fase 4: rassegnazione; fase 5: speranza nell’attesa dell’H di Hotel per uscire dal tunnel; fase 6: l’attesa della fine; fase 7: sempre in attesa della fine.
Aldilà di questa reazione personale – che vuole essere anche un po’ provocatoria – l’elenco è una sfida a tenere duro, a resistere fino alla fine, oltre che un’esplorazione del potere del vocabolario. Un abisso in cui viene gettato lo spettacolo, e da cui è difficile riprendersi. Accogliendo l’idea che forma ed esperienza sono inestricabilmente unite, e che è la forma a rendere possibile e determinare l’esperienza, si può dire che in questo caso si ha un giocare pericoloso con la forma. Si ha un burrone improvviso sulla superficie. Come se l’attore ci guidasse in un giardino di parole, correndo: “Vieni, corri con me! Adesso seguimi in questo baratro di dieci metri, spaccati le gambe, cerca di uscire, e poi torniamo a giocare e a correre come se niente fosse”.
Sebbene nasca come reading, un maggiore lavoro sulle altri componenti non guasterebbe. Tralasciando l’intervista iniziale, infatti, si vedono solo alcune fugaci apparizioni di Bowie.
Sicuramente si apprezza la bravura dell’interprete, il suo rendere magistralmente ogni finezza nell’uso della voce e nel ricreare le voci degli altri. Un virtuosismo che, sul momento, appare così preponderante rispetto al resto da apparire quasi fine a se stesso, come se avesse preso il sopravvento.
Tutto sommato, però, della serata rimane questo: la grande bravura di Cavalcoli, la battuta sulla mamma montessoriana di Poli e la lega per la difesa dei capelloni di Bowie. Per lavoro non ci siamo fermati e abbiamo approfondito, riscoprendo Bowie e il suo progetto, Poli e il suo teatro. Tante belle cose. Ma se non avessimo dovuto farlo?

Lo spettacolo è andato in scena:
Il Dialma – Cantiere Urbano
via Monteverdi, 116 – La Spezia
venerdì 24 gennaio 2020, ore 21.15

Santa Rita and the Spiders from Mars
Reading tra Paolo Poli e David Bowie
con e a cura di Marco Cavalcoli
tecnica Paolo Panella
traduzioni Giampiero Segneri
si ringraziano Anna Antonelli, Andrea Farri e Silvia Lamia
produzione E-production
distribuzione Mismaonda
in collaborazione con Società per Attori e Garofano Verde

www.ildialma.it