Tessitura al buio

Sante di Scena abbassa le luci al Real Collegio di Lucca e il Festival I Teatri del Sacro si inaugura all’insegna del sogno.

Si nota in principio il suo assordante silenzio. E dopo, o prima, a seconda delle sensibilità personali, la sua carnalità. Di questo non sappiamo stupirci, non nella nostra epoca postmoderna, dove carnalizzare lo spirito è ormai una prassi. A piacere maggiormente è ciò che, ancora nella nostra realtà, riesce a conservare la forza della trascendenza, o meglio, della sublimazione. Il corpo è presente, ma non soverchiante, tutt’altro: un ponte tra due piani. E non è questo, nella concezione universale, la figura del santo? Il santo, un ponte. Il corpo, altro ponte. Dunque, il santo è principalmente un corpo.
Con questo preambolo introduciamo Sante di Scena, uno dei tre spettacoli d’esordio della quarta edizione de I Teatri del Sacro. Imperniato su questioni e tematiche spirituali, I Teatri del Sacro, che accetta con sufficienza di autodefinirsi un semplice Festival, scoppietterà nel cerchio delle Mura lucchesi fino al 14 giugno. Ricco di venti spettacoli, si propone principalmente come occasione d’incontro (o “corpo a corpo”, come si legge nel sito ufficiale) tra artisti, pubblico e interpreti, a partire dai molteplici laboratori fino alla totale apertura nei confronti delle Compagnie amatoriali. Frutto di una selezione di oltre duecentocinquanta spettacoli, i venti prescelti compongono un ricco bouquet di novità. Punto e a capo.
Torniamo a Sante di Scena.
Lucca, lunedì 8 giugno, ore 21.00, al Real Collegio. Scenografia assente. L’importanza esercitata da oggetti isolati ci proibisce di evocare l’immagine estrema di Jerzy Grotowski, che per diversi aspetti porterebbe alla mente. La fisicità che, ripetiamolo, gioca un ruolo molto importante, si dice estrapolata da film, come Madre Giovanna degli Angeli (di Jerzy Kawalerowicz) e il Russelliano I Diavoli.
Su fondale oscurato: tre suore. Quasi estremizzando la verginità che le caratterizza, fanno dei propri corpi un recipiente colmabile all’infinito, come nuovo, offrendosi all’interpretazione di più personalità, di più concetti e realtà passate e presenti. Perduta la potenza dell’ego, non sono più individui compiuti, bensì stampi sempre plasmabili. Da quella che a senso potrebbe parere una cella monacale, magari un chiostro, la loro vita silenziosa e attenta dà il via a un ventaglio di visioni, immagini, estasi. È l’arazzo rutilante che si intesse nel buio, affaticandosi e sudando.
Trama assente. Un senso di trasparenza e di osservazione pura – quasi videoart. Sante di Scena offre una successione di immagini sparse, quasi uno specchio infranto che rifletta una massa di individui simili, ma variegati. Si comincia con l’immagine della religiosa contemporanea, che giunge al chiostro da un passato turbolento sollevando il polverone dei mass media (l’audio del servizio televisivo, la colonna sonora da locale notturno, la grottesca coreografia delle tre figure). Si percorre l’animo di alcune mistiche, dalle possessioni/estasi di Maria Maddalena de’ Pazzi alla silenziosa, fugace presenza di Gemma Galgani, fino al Far West esasperato di Suor Blandina. Il linguaggio visivo si manifesta di notevole importanza nell’esecuzione di autentici tableaux vivants, anche se nel caso di Sante di Scena sarebbe più corretto il termine di sculptures vivants, quando consideriamo che le fonti attinte sono Giovanni Pisano e Niccolò dell’Arca, le cui figure prese in oggetto condividono la caratteristica del “venir fuori di sé”.
Altro fattore d’interesse è la musica, componente percepita quasi come veicolo sacro: una musica che abbraccia più generi ed etnie, quasi che per ogni mistica o meditazione debba esistere qui e ora un brano che la caratterizzi. Sonorità evocate, sussurrate, spesso soltanto immaginate. E attorno il silenzio della clausura: ecco il “silenzio assordante” con cui abbiamo esordito.
Il contatto con il nostro tempo non è mai perduto. Quando una delle tre figure, corredata di occhiali, parrucca e chitarra canta una bellezza da Dolce Stil Novo contemporaneo, si avverte un senso di déjà vu. E si intuisce che quel contatto è antecedente al nostro tempo. Tutto si è ripetuto, trasmutato sulla sola superficie. Le nostre sante, le nostre mistiche: sono tante novelle Beatrici. E sono Beatrici che non hanno mai mancato di fare audience, di attirare. Le loro estasi le fanno belle. E il Compianto su Cristo Morto di Niccolò dell’Arca e l’Elevatio Animae di Pisano diventano i tableaux vivants degli album delle Supremes, sorridenti e ammiccanti.
La conclusione è la pantomima a tratti psichedelici, di quella che parrebbe l’apparizione della Madonna di Fatima a una pastorella (Lúcia dos Santos?) circondata da bombardamenti bellici che si fanno via via propulsori di un ritmo disco. Un ritmo che potrebbe ricondurre lo spettatore all’inizio dell’opera, d’un balzo, se lo volesse.
Sante di Scena è un’opera caleidoscopica che offre allo spettatore continue decodificazioni, peccando forse di un citazionismo un po’ forte e soprattutto elitario. Di certo (e fortunatamente) non è per la classica beghina ultrasessantenne.
Lo spettacolo è concluso. Ma il Festival continua.

Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito del Festival I Teatri del Sacro:
Real Collegio – Lucca

lunedì 8 maggio, ore 21.00

Sante di Scena
progetto Cinzia Delorenzi
con Cinzia Delorenzi, Alessandra De Santis e Attilio Nicoli Cristiani
idea e collaborazione di Luca Scarlini
residenza artistica LachesiLAB, Olinda
costumi Elena Rossi
luci Adriana Renna
una produzione Teatro delle Moire
coproduzione Next/Regione Lombardia, Fondazione Cariplo