Tra passato e futuro

Una varietà di spettacoli domenica 27 ottobre a Segni, il Festival di Mantova dedicato al teatro per l’infanzia. Tanti spunti e qualche riflessione.

Nel leggere sul programma del Festival che Il nido di chi sei è uno spettacolo per i bambini da 36 mesi ai 3 anni si prova un po’ di stupore. Che genere di spettacolo si può presentare a quella fascia di età? È annunciato come un lavoro in punta di piedi. A noi, tutto sommato, sembra una puntata più colta (visto che è pur sempre teatro) dei Teletubbies. Una puntata che alla fine diventa interattiva, puntando sul lato bello del teatro che, rispetto alla tv, prende vita in un luogo reale, condiviso, abitabile. L’attore/Teletubby è di carne e vivo davanti ai piccoli. E per vederlo i bambini hanno compiuto un viaggio, un’avventura insieme a mamma e papà. Ci sono gli odori, gli altri bambini, le stoffe da toccare e con cui giocare. Una piccola grande avventura da vivere tutti insieme in un posto nuovo, dove succedono cose mai viste. Il rito del partecipare a teatro con uno spettacolo adatto alla propria età. Belle le musiche, dalla scelta colta dal classico carillon di Papageno che immobilizza tutti i nemici, ai Foo Fighters e i Coldplay. La storia scricchiola un po’, più vuota e rarefatta all’inizio, molto piena di eventi alla fine, con tanto di straniero emarginato che, però, sconfigge il serpente (simbolo dello sconosciuto e del pericolo) e insegna a vincere la paura. Anche qui un teatro educativo, come in una certa misura lo era Terrier (visto sabato 26). In fondo è teatro per l’infanzia – quindi si può comprendere tale scelta. Ma la domanda (un po’ provocatoria) sorge spontanea: “c’è un età in cui il teatro può essere educativo e un’età in cui invece si sciupa? E se sì, cosa intendiamo con educativo?”. Oppure, facendo il percorso inverso: “se il teatro quando cerca di essere educativo perde di potenza (a meno di essere un’opera di Brecht, ovviamente), perché accontentarsi di un teatro educativo se rivolto all’infanzia?”.

In Due Destini, il patetismo e la retorica imbastiscono la messinscena soprattutto nella recitazione dell’attore, e sono ulteriormente enfatizzati dal light designing. Luce fredda: dolore e sofferenza in Africa; calore ambrato: comodità in Europa. Uno spettacolo che vira molto al sentimentale, di forte impatto emotivo, con una buona mescolanza ed equilibrio fra le musiche eseguite in scena e la recitazione attoriale. Quello di Due Destini è un teatro che ha come intento dichiarato di voler insegnare, far conoscere fatti importanti. L’argomento e l’età lo permettono. Ma anche qui si pone una domanda: “se il destinatario fosse stato un pubblico adulto, sarebbe cambiata la sua ricezione? Quale sarebbe stata la reazione degli stessi in sala?”. A fare la morale ai bambini, gli adulti sono sempre molto bravi, e infatti i genitori che abbiamo incrociato uscendo spiegavano e dialogavano coi bambini, nell’intento di divulgare e sostenere il messaggio. Personalmente ritengo che un messaggio simile, rivolto direttamente a un adulto, non sarebbe stato recepito, ma al contrario sarebbe stato rifiutato. E a maggior ragione a causa del patetismo delle scelte espressive. E allora ci si chiede: “perché per i bambini sì e per gli adulti no? Siamo sicuri che per parlare dell’Africa e delle sue condizioni di vita sia necessario farlo in questo modo? Con tanto sentimentalismo?”. Utilizzando una fiaba in cui immedesimarsi, molto intensa dal punto di vista emotivo, dove razionale e irrazionale si fondono, il messaggio cavalca l’emotività, e la potenza della storia costruita in tal modo si gioca solamente sul piano delle emozioni viscerali. Ma qual è poi, in fondo, il messaggio? In Etiopia i bambini soffrono fin nella pancia della mamma, sono sempre a un passo dalla morte e le donne muoiono ancora oggi di parto. In Etiopia si continua a morire per il morbillo, ci si ammala e si rischia la vita facilmente, a causa delle condizioni generali di vita. In breve, Due Destini è un esempio di come ricordare ai bambini che in Africa si muore, che i loro coetanei se la passano male, mentre in Europa siamo fortunati e si sta bene. Ma i bambini, esattamente, cosa possono fare per risolvere i problemi dell’Africa? A parte stare male, decidere di rinunciare ai propri regali per inviare una lavagna in un Paese di quel continente, come fa la piccola protagonista, oppure scegliere di diventare dottori o educatori pronti a partire in missione come i due personaggi principali. Ci sembra che venga sollevato, indirettamente, un problema di responsabilità. I bambini non sono colpevoli della situazione africana. Eppure vogliamo sollecitarli all’azione, far sì che rispondano alla chiamata, al grido di aiuto, vogliamo che facciano qualcosa. O forse desideriamo solo farli sentire grati, magari perché smettano di lamentarsi o di chiedere cose? Dobbiamo insegnargli a rinunciare e a donare per vergogna, per senso di colpa? O dovremmo andare alla radice e mettere in discussione il sistema occidentale, perché è il sistema che ha fallito? Perché imperialismo e consumismo non danno la felicità e stanno ancora distruggendo il resto del mondo? Questo, però, è un passo ben più arduo da compiere. Riassumendo, credo che il ragionamento si articoli così: capire l’intento educativo/informativo dello spettacolo. Capire il messaggio. Comprendere il senso e l’intenzione dello stesso. Il motivo. Gli effetti. E poi chiedersi: è giusto usarlo con i bambini? Non rischia di essere solo una forma di (comoda) manipolazione? L’argomento è spinoso, senza dubbio. E non vogliamo apparire cinici. Non è il problema Africa a essere in causa, ma l’intenzione o le aspettative di questa particolare operazione.

A seguire Super Eureka. Uno spettacolo laboratorio in cui parlare di diverse fonti di energia, nel quale si invita alla ricerca e si sottolinea il tema della sostenibilità. Il risultato, forse proprio perché laboratoriale, appare un po’ sfilacciato e alcune soluzioni non riescono a essere davvero funzionali a livello drammatico. L’argomento è però interessante e sicuramente attuale.

La serata di domenica 27 si conclude con il bellissimo e riuscito Shake Shake Shake della Compagnia olandese De Dansers (spettacolo che ha l’unica pecca di finire improvvisamente).
Sebbene forse sia esagerato nominare Wagner, ci troviamo comunque di fronte a un esempio di opera d’arte totale contemporanea, uno spettacolo organicamente coeso, intenso, in cui danza, musica dal vivo, poesia, pensiero, parola detta e recitata, gesti, sono parti vive di un unico organismo pulsante, in un fluire interrotto solamente dagli applausi del pubblico. Il carattere di organicità è definito fin dalla sua elaborazione: lo spettacolo nasce infatti come una riflessione in danza e musica sul tema: “tutti i pesi che ci sentiamo addosso, che vorremmo gettare via” (what you’d like to throw away). Dal titolo (e dalle parole che si captano qua e là) si sospetterebbe che Shakespeare vi abbia un qualche ruolo, al contrario si tratta di testi originali, così come lo sono le musiche, composte dal sestetto in scena. Shake Shake Shake sembra regalare un respiro di novità (e speranza) alla performance teatrale e musicale dal vivo. Un’opera totale pop, con la profondità e la bellezza di quella classica e l’immediatezza di uno spettacolo contemporaneo – fatto molto bene e distante anni luce dal musical. Potremmo descriverla come un corrispettivo del teatro-danza in musica, o meglio, visto che c’è anche la danza, un teatro-danza-musica, in cui ogni linguaggio artistico si fonde con gli altri nella creazione dell’insieme, perdendosi, diventando indistinto all’interno di un organismo superiore. Bella l’energia in scena generata dai sei performer, i quali contribuiscono, con le rispettive personalità e doti artistiche, all’insieme. Alta la qualità tecnica. A casa, in particolare, rechiamo con noi quel momento ribelle di “falli sentire ancora più orgogliosi allora” – dell’inizio – autentica rivolta giovanile nei confronti delle aspettative degli adulti e delle pressioni del mondo esterno; e l’immagine finale dell’amore, surreale come la capra volante di Chagall: due innamorati/amici, uno accanto all’altro, a testa in giù. Non a caso pubblico entusiasta e standing ovation finale.

Gli spettacoli sono andati in scena nell’ambito di Segni New Generation Festival 2019:
Mantova, varie location

domenica 27 ottobre 2019, ore 10.00
Palazzo Ducale – Atrio degli Arcieri
piazza Sordello, 40
Il nido di chi sei
di Bruna Pellegrini e Adriana Zamboni
con Adriana Zamboni
spazio scenico Lucio Diana
Compagnia Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani Onlus

ore 11.30
Teatro Bibiena
via Accademia, 47
Due Destini
regia Roberto Anglisani
con Andrea Gosetti e Massimo Testa
produzione IntrecciTeatrali

ore 16.00
Loggia del grano
via Giovanni Battista Spagnoli
Super Eureka
di Cristina Cazzola
con Sara Zoia

ore 20.30
Palestra Boni
via Luzio, 7
Shake Shake Shake
da un’idea di Guy Corneille e Josephine van Rheenen
coreografia Josephine van Rheenen creata con il cast
con Ruben van Asselt, Guy Corneille, Yoko Ono Haveman, Marie Khatib-Shahidi, Wannes De Porre e Hans Vermunt