Giù la maschera

Ancora una volta la vita punta il dito contro il teatro: è Sei personaggi in cerca d’autore, in scena al Teatro Giglio di Lucca. Il testo forse più famoso dell’Autore siciliano nella regia immortale di Giulio Bosetti.

«Vogliamo vivere, signore!», dice il Padre.

«Per l’eternità?».

«No, signore: almeno per un momento, in loro».

E, immediatamente, il dramma ha inizio.

Sei personaggi in cerca d’autore torna sotto i riflettori del Giglio, venerdì 23 marzo e, ancora una volta, la messa in scena dalla Compagnia del Teatro Carcano non delude le aspettative. Riprendendo la regia di Giulio Bosetti (che, come attore, si era già calato nel ruolo del Figlio e, successivamente, in quello del Padre), il metateatro pirandelliano (letteralmente, “teatro del cambiamento”) continua a sconvolgere la platea con quella sua ingenua mordacità e l’incomparabile freschezza.

Ogni cosa è al suo posto: l’assenza del sipario, dove attori e tecnici scenici preparano il dramma “a carte scoperte”; l’abolizione dei consueti due atti (l’intervallo pare causato da un evento accidentale nella vicenda); lo sfondamento della quarta parete: basti osservare l’entrata in scena degli attori, rigorosamente da una scaletta che collega il palco alla platea. Ecco che il teatro, l’illusione per eccellenza, acquista la più cruda delle consistenze. È il pubblico, nell’opera, a ridursi ad apparenza. E le tante realtà si confondono.

In scena, due frontiere contrapposte: gli attori, candidi negli abiti, algidi nei gesti, indistinguibili l’uno dall’altro. E poi i personaggi. Vestiti di un duplice lutto, quello effettivo e quello esistenziale, i sei fantasmi compaiono d’improvviso, come evocati da una seduta spiritica. Sono i residui di un autore (lo stesso Pirandello?) che li ha creati e abbandonati (emergono dal nero, come affioranti dai suoi ricordi).

I poli tentano invano di invertirsi: i personaggi – la vita nel suo caos, nelle sue passioni – tentano di trovare una forma che possa dar loro consistenza; gli attori – chiara allegoria della forma – benché si sforzino non sono in grado di accogliere in se stessi l’essenza della vita. Una vita che erutta con violenza inaudita nella Figliastra (un’intensissima Silvia Ferretti), nella cui sprezzante risata si rispecchia il titanismo che il Padre sente, ma non esprime. Il palco è tutto suo, del Padre. Un ottimo Antonio Salines che riesce a interpretarne sia il lirismo sia le seccanti lusinghe; bravo anche Edoardo Siravo (il Capocomico) nell’incarnare un ruolo sobrio e sdrammatizzante, capace di destare simpatia nei suoi goffi quanto inutili tentativi di imporsi.

E come nel miglior Pirandello, ancora una volta la forma non può mettersi al di sopra della vita. Lo stesso finale, con la Figliastra che abbandona il palcoscenico in preda a risate isteriche (quasi rifiutando, a sua volta, ciò che l’autore le ha negato) ne è una prova. E l’intera opera, orchestrata da luci molto taglienti, musica suonata dal vivo (perché ogni cosa “ha da essere reale, non soltanto verosimile”) e scene completamente esposte all’occhio del pubblico, vede i sei personaggi, in quanto tali, costretti a vivere nel limbo di un’unica scena, quella dell’incesto mancato. La loro realtà non cambia perché non può. Mentre ricorrono gli echi dell’eterno ritorno di Nietzsche.

Il conflitto però non si frappone unicamente tra attori e personaggi. Mentre tra i primi – come pareggiati dalla maschera della forma – regna una complicità malata, i sei intrusi sono animati dalla discordia. Ognuno di loro è personaggio in se stesso e stride con gli altri. Gli stessi movimenti sono emblematici, dalle gambe piegate del Padre a quelle scoperte della Figliastra, dal capo chino del Giovinetto e della Bambina a quello altero del Figlio (Umberto Terruso – poche battute, ma penetranti). E poi c’è Madama Pace, il personaggio realizzato. Come i sei, anch’essa emerge dal nulla, evocata però da una fantasia che le ha, almeno parzialmente, concesso anche una forma, un’identità (la attirano sul palcoscenico servendosi dei cappelli, che lei vende per professione). Il suo stesso parlato, quell’ispano-italiano che desta ilarità, è forse una dimostrazione della sua autoaffermazione come personaggio. Brava, come sempre, Marina Bonfigli.

La fusione non ha effetto, il proposito cede. L’essere non può sintetizzarsi, il teatro non può vivere. Ancora una volta la vita trionfa miseramente sull’arte. E il Capocomico si allontana: la strada illuminata da un barlume di sicurezza. La risata della Figliastra irride la forma. E se tanti osannano il teatro, Pirandello se n’è fatto beffe. Eppure, mai nessuno l’ha esaltato così profondamente.

Immortale. Da vedere a ogni costo.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro del Giglio
piazza del Giglio, 13/15 – Lucca
venerdì 23 marzo, ore 21.00

La Compagnia del Teatro Carcano presenta:
Sei personaggi in cerca d’autore
regia Giulio Bosetti
regista assistente Francesco Sala
con Antonio Salines (Il Padre), Nora Fuser (La Madre), Silvia Ferretti (La Figliastra), Umberto Terruso (Il Figlio), Marina Bonfigli (Madama Pace), Edoardo Siravo (Il Capocomico), Giovanna Rossi (La Prima Attrice), Elio Aldrighetti (Il Primo Attore), Anna Canzi (La Seconda Donna), Caterina Bajetta (L’Attrice Giovane), Nadia Moretti (Un’Altra Attrice), Dario Merlini (L’Attor Giovane), Giuseppe Scordio (L’Attore-Segretario), Vladimir Todisco Grande (Il Suggeritore), Mario Andri (Il Direttore di scena), Gregorio Pompei (Il Macchinista)
costumi Carla Ricotti
movimenti mimici Marise Flach