Mondanità della Danza

La memorabile musica di Philip Glass per un corpo di ballo non sempre all’altezza: in scena al Teatro dell’Opera di Roma, una non del tutto riuscita dedica al genio di Baltimora.

Con Terry Riley e Steve Reich, Philip Glass è uno degli indiscussi maestri del minimalismo in musica. Tonalità di forme elementari, riduzione molecolare dei movimenti armonici, ripetizioni ossessiva dei modelli ritmici sono alcune delle soluzioni attraverso le quali Glass, componendo cellule sonore essenziali da ripetere con disciplina, rigore e senza gli astrusi cerebralismi della musica seriale, ha reso l’assoluto nel minimo.

Tuttavia, la sua dimensione innovativa non si esaurisce nell’ambito squisitamente compositivo perché a caratterizzarne l’intensa attività è stata, e continua a essere, la ricerca e la contaminazione con esperienze artistiche popular. Se la sua creazione è ormai parte emblematica della cultura novecentesca, lo è per come ha saputo trasformare la musica colta dall’interno, sublimando e ibridando le arti con cui è venuta a contatto, tanto l’Opera e il Balletto, quanto, appunto, la popular music.
Data tale statura, non sorprende che, al Teatro Costanzi, sia stato organizzato «un omaggio al famoso compositore statunitense» con «tre coreografie mai andate in scena prima d’ora all’Opera di Roma – tra cui una prima assoluta – firmati da altrettanti coreografi di fama internazionale: Benjamin Millepied, Jerome Robbins, Sébastien Bertaud» (corsivo dal programma di sala).

Hearts and Arrows di Millepied, che già nel 2016 aveva portato al Teatro dell’Opera Closer su musiche di Glass, è parte di Gems, trilogia nata da una collaborazione con la compagnia L.A. Dance Project e Van Cleef & Arpels, celebre maison del lusso. Il riferimento ai diamanti e all’idea di luce è dunque esplicito nel titolo (che richiama l’omonimo «metodo utilizzato dai gemmologi per stimare le qualità riflettenti del diamante»), purtroppo evocato solo per contrarietà dall’impressione visiva.

Tre donne e cinque uomini, costumi dai colori opachi, movimenti atletici e solo a tratti musicali, un palcoscenico nudo, privo di luci brillanti e le pareti del back-stage visibili hanno caratterizzato una cinetica spesso disomogenea, nella quale, nonostante l’effettiva ironia e spettacolarità di alcuni passaggi, a mancare è stata proprio la bellezza e l’energia dei ballerini e delle ballerine.

Se con Hearts and Arrows Millepied ha cercato di restituire la sensazione di una danza volumetrica e di un sentimento cristallino, disegnando quadri – intramezzati da blackout e finalizzati a tableau vivant – dai pattern non simmetrici, probabilmente troppo ostici da (e)seguire e sicuramente poco originali da ammirare, così pagando un eccesso di audacia, a mostrare lacune in termini di freschezza e luminosità, rispetto al complesso contrappunto della base sonora registrata (String Quartet No. 3 Mishima), è stato il complicato svolgersi alternato in ensemble, pas de deux e assoli dell’accompagnamento coreografico.

A seguire, Glass Pieces, firmato da Jerome Robbins, altro gigante del contemporaneo. Ripresa di un balletto del 1983, Glass Pieces è un allestimento di tre atti coreutici che, nonostante alcune evidenti sbavature al ballo, ha rispecchiato al meglio lo stile frizzante e dinamico, pop e dance del suo autore, lasciandone percepire, in particolare, la generosità e l’allegria.

L’intenzione di Glass Pieces sfoggia chiarezza ed efficacia in una cornice spettacolare incastonata da un semplice e limpido disegno luci, da una scenografia geometrica e dimensionale (una fitta griglia di linee perpendicolari su sfondo bianco in un ideale parallelismo con la  tecnica minimalista) e da una precisa restituzione delle partiture di Glass da parte dell’orchestra diretta da Carlo Donadio.

Una danza dal valore semplice e luminoso, più urbana che classica, la quale, miscelando stilemi postmoderni nel linguaggio del balletto tradizionale, non ha inteso altro che raccontare sé stessa attraverso il servizio di oltre quaranta danzatori, prima – in Rubric – con una camminata di massa di uomini e donne e il minuto protagonismo di tre coppie colorate (Gialla, Salmone e Verde), poi – in Facades – con duetti e movimenti stilizzati e avvolgenti, infine – in Akhnaten – con un ritmo rituale di dinamiche e passi minimali, perfettamente à la Glass.

Commissionata a Sébastien Bertaud dal Teatro dell’Opera e impreziosita dall’ottima esecuzione al pianoforte di Sandro De Palma, Nuit Blanche era, senza dubbio, il momento più atteso della serata, sia per la presenza dell’étoile Eleonora Abbagnato e del primo ballerino del Balletto di Stoccarda Friedemann Vogel, sia per i costumi realizzati da Maria Grazia Chiuri della Christian Dior Couture in collaborazione con lo stesso Teatro dell’Opera.

Nulla da eccepire sulla qualità Dior. Gli abiti in tulle e fiori su gonne, calzamaglie e body, madreperlati bianchi per i due protagonisti, dai toni oscuri per l’ensemble, coniugando semplicità, funzionalità e lusso, avranno di certo appagato i cultori dell’alta moda applicata alla danza. Meno convincente, purtroppo, il clou della performance, ossia il lavoro di Sébastien Bertaud, il quale è apparso molto distante non solo da una propria originalità, ma addirittura da un qualche posizionamento all’interno dell’incessante battito tra classico e moderno.

La collocazione in una scena elegante e priva di coordinate temporali immaginata da Andrea Miglio, l’incedere a coppie che si aggregano in gruppi senza soluzione di continuità, il formare e disfare figure di estrema semplicità compositiva, la purezza e l’immacolato candore della Abbagnato e di Vogel, il loro duettare sospeso tra sogno, fiaba e realtà, oltre a richiamare più di una analogia con La valse di Frederick Ashton, ha infatti manifestato uno stucchevole e anacronistico essere unicamente funzionale al totale protagonismo delle due stelle; un protagonismo che, dal canto suo, avrebbe necessitato di un carattere coreutico più caldo e vigoroso e non di una pulizia e di un gesto apparsi freddi e, onestamente, neanche esemplari.

Datato nello stile, eseguito con sufficienza dai suoi principali interpreti, Nuit Blanche non avrà deluso chi anelava a una serata di mondanità in compagnia di vip e Haute Couture, immancabilmente presenti in platea e in esclusivi eventi collegati alla serata. Dubitiamo possa aver soddisfatto chi, tra le pieghe di tutù firmati e di passi – a loro modo – traballanti, confidava banalmente nell’autenticità della danza.

Le coreografie sono andate in scena
Teatro dell’Opera

Piazza Beniamino Gigli, Roma

Hearts and Arrows
coreografia Benjamin Millepied
musica su base registrata

Glass Pieces
coreografia Jerome Robbins
scene Jerome Robbins e Ronald Bates
costumi Ben Benson
luci Jennifer Tipton

Nuit Blanche
coreografia Sébastien Bertaud
scene Andrea Miglio
costumi Maria Grazia Chiuri, Christian Dior Couture
con Eleonora Abbagnato e Friedemann Vogel
pianoforte Sandro De Palma

Orchestra, Etoile, Primi Ballerini, Solisti e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Nuovo allestimento