Ritratti d’Autore

A Milano è stato per 15 anni la voce del divertimento intelligente di Radio Popolare: Sergio Ferrentino sapeva smitizzare con un’ironia pungente la vera religione di fine millennio, il calcio.

Oggi è un autore e regista radiofonico e olofonico che lavora soprattutto in Svizzera: «perché in Italia la radio è ancora legata all’FM, manca del tutto la logica della costruzione dell’immagine acustica», e si è: «scocciato di avere un mixer, due telefoni e un computer: la radiofonia ormai è altro». Per queste ragioni ha trasformato due tra i suoi radiodrammi in Ascolta! Parla Leningrado… Leningrado suona (leggi la recensione) – in scena al Leonardo – cimentandosi anche nella regia teatrale e ha un progetto decisamente innovativo che debutterà a febbraio all’Elfo Puccini: «Audioteatro sarà la mia grande sfida nei prossimi mesi. Oramai provo fastidio rispetto all’omologazione che c’è all’interno della radio… all’Elfo Puccini si registrerà in diretta l’audiodramma che sarà poi scaricabile in rete e, contemporaneamente, debutterà uno spettacolo che andrà in tournée, si spera, in molte città»: un progetto ambizioso che parte da lontano.

Da conduttore di Radio Popolare ad autore teatrale fino a regista: com’è avvenuta questa evoluzione?
Sergio Ferrentino: «In realtà da anni faccio l’autore, il conduttore e il regista perché Radio popolare comprimeva tutte le funzioni in una sola persona, a cui aggiungerei anche il curatore della trasmissione, il copy per lo spot e altre sei o sette cosette… tra le quali la più “impegnativa” era pulire il mixer!».

La regia teatrale implica l’azione, quelle radiofonica sembra sottostare a linguaggi diversi.
S. F.: «Innanzi tutto ho fatto esperienza come coautore di diversi spettacoli di Lella Costa. Inoltre, in entrambi i casi – regia teatrale e radiofonica – si hanno alcuni elementi in comune: attori, testo, dialoghi. Il movimento non manca nemmeno in radio, mentre per quanto riguarda l’azione bisogna tener presente che l’unica differenza è che in radio non si vede. Bisogna quindi costruire un’azione che gli ascoltatori possano immaginare. Ricordo, ad esempio, una volta in cui ho dovuto spiegare a Carlo Lucarelli che non poteva scrivere una scena in cui due persone in moto, coi caschi, parlavano fra di loro mentre erano inseguite da un’auto, dalla quale sparavano facendogli saltare uno specchietto retrovisore, dopodiché loro cadevano e finivano contro un mucchio di spazzatura e così via… insomma, era tutto molto cinematografico ma noi dovevamo ricostruire la scena coi mezzi propri della radio».

Ascolta! Parla Leningrado… Leningrado suona in origine erano due radiodrammi per la Radio Svizzera Italiana. Il radiodramma sembra un prodotto non più “commercializzabile” in Italia. Come mai?
S. F.: «In Europa, Stati Uniti, Canada si producono molti radiodrammi. Solo l’Italia fa eccezione. La Radio Svizzera, giusto per capire, ha tre reti: una dedicata all’informazione, una seconda alla cultura e la terza al pubblico giovane. All’interno della Rete 2, c’è un settore prosa che sperimenta anche tecniche innovative quali l’olofonia. Si ha quindi, da un lato, un mercato che funziona e crea business – che in Italia non esiste perché non esiste il mercato – dall’altro, le case editrici invitano i loro autori a scrivere audiodrammi – che differiscono dai radiodrammi perché non vanno in onda in radio, bensì si scaricano da Internet. Per quanto mi riguarda, mi sono scocciato di avere un mixer, due telefoni e un computer: la radiofonia ormai è altro. Purtroppo da noi è ancora legata all’FM, manca la cultura della sperimentazione di nuove tecnologie, come Internet, e di nuovi prodotti. Inoltre manca del tutto la logica della costruzione dell’immagine acustica».

Tornando allo spettacolo in scena al Leonardo, direi che ha la cadenza della partitura musicale. Mai pensato di forzare di più questo aspetto, come negli ultimi esperimenti di Carmelo Bene sulla voce-orchestra?
S. F.: «Niente domande difficili, per favore… (ride, n.d.g). Diciamo che i tre elementi che compongono lo spettacolo sono: il piano narrativo, che da poco calca le scene ma è sempre stato ben presente a livello radiofonico. Il piano propriamente teatrale, quando gli interpreti entrano nel loro personaggio; e, infine, il lavoro sulla voce. Sotto quest’ultimo aspetto ammetto di aver passato molto tempo immaginando i sussurri, i cambiamenti di tono, ma anche l’uso dei rumori di sottofondo, delle musiche: un intero palcoscenico sonoro».

Gli interpreti hanno voci molto “radiofoniche”, li ha scelti proprio per le loro doti vocali?
S. F.: «Sono attori teatrali e doppiatori, in grado di adattarsi anche all’uso del microfono in scena – che è stato un mio diktat, dato che non sopporto che lo spettatore dell’ultima fila faccia fatica a sentire la battuta. Gli attori sono comunque gli stessi dei radiodrammi, tranne Gabriele Calindri, anche se in radio il cast comprendeva molti più interpreti».

Nel testo si possono trovare numerosi rimandi letterari. A parte i documenti dell’epoca a cosa si è ispirato?
S. F.: «Vi ringrazio di nobilitarmi così tanto… (ride, n.d.g). Certamente un dialogo sotterraneo con Bradbury esiste: anche se in Fahrenheit 451 i protagonisti mandavano a memoria dei libri che non volevano fossero bruciati, mentre ai miei personaggi non importa che si brucino le opere di Puškin – per scaldarsi – dato che conoscono già quei libri a memoria. Ma il fulcro del mio impegno è stato leggere una quantità di libri e testimonianze sull’assedio di Leningrado: un lavoro anche molto faticoso perché quando per sei mesi si leggono soltanto diari di persone che hanno vissuto quell’esperienza, si comincia a convivere con la loro sofferenza. Un lavoro che mi è servito per capire come e cosa comunicare al pubblico: piccoli fatti quotidiani, come il racconto del personaggio che si accorge – tra le macerie dell’assedio e dei bombardamenti – che un manifesto si sta staccando».

Nel finale ci si aspetta di sentire la Sinfonia No. 7, Leningrado, di Šostakovic. Perché questo non avviene?
S. F.: «Perché il fatto importante era l’assedio di Leningrado, che è stato letteralmente oscurato dalla storia, e a me interessava raccontare la sofferenza della popolazione, ma non genericamente bensì nei piccoli fatti quotidiani, senza appoggiarmi ad alcuna stampella, come sarebbe potuta essere la Sinfonia 7 che – al contrario di I 900 giorni di Harrison Salisbury – non è mai stata messa nel dimenticatoio. In secondo luogo, volevo puntare l’attenzione sulla radio e uno tra i miei progetti futuri sarà proprio quello di scrivere un trittico sull’intreccio indissolubile tra storia e radio».

Il suo prossimo progetto è invece Audioteatro all’Elfo Puccini. Può anticiparci qualcosa?
S. F.: «Penso sarà la mia grande sfida nei prossimi mesi. Oramai provo fastidio rispetto all’omologazione che c’è all’interno delle radio perché non si fa più radiofonia. La costruzione dell’immagine acustica, al contrario, permette di creare quell’universo che è la radiofonia e che è molto più vasto di quanto ci si immagini. Il progetto che sarà realizzato all’Elfo Puccini è della Fonderia Mercury. In teatro ricostruiremo uno studio radiofonico e il pubblico non entrerà semplicemente in una sala, bensì in un vero e proprio studio dove assisterà all’allestimento di un radiodramma – che, per inciso, è sempre molto divertente, a prescindere dal testo – e ascolterà l’intero spettacolo in cuffia. Inoltre, sarà un’esperienza molto curiosa perché siamo tutti fagocitati da una cultura quasi prettamente visiva e, di colpo, scopriremo che ne esiste anche una acustica e che acustica può essere anche la tecnica di narrazione. Sarà come scoprire un nuovo mondo. Comunque, questo esperimento ha radici lontane: quando Orson Welles trasmise La Guerra dei Mondi, era direttore di una compagnia teatrale che si chiamava – non a caso – The Mercury Theatre. Faceva normali prove in teatro, spostava la compagnia in radio dove tutti insieme interpretavano il radiodramma in diretta, e poi tornava con gli interpreti in teatro per lo spettacolo serale. Questa è l’idea che mi è piaciuta e ho recuperato. Naturalmente useremo tecniche molto più sofisticate di quelle del ’38, ma la filosofia sarà creare un gruppo o compagnia audiofonica che a febbraio, all’Elfo Puccini, registrerà in diretta l’audiodramma che sarà poi scaricabile in rete e, contemporaneamente, debutterà in uno spettacolo che andrà in tournée, si spera, in molte città».

Perché oggi riparlare di Leningrado? Di fascismo e antifascismo?
S. F.: «Il termine Fascismo è la sintesi di un atteggiamento e di un modo di fare che mi sembrano imperanti in questa fase. E se anche il termine può sembrare greve e potremmo usarne un altro, mi pare che la sostanza, i contorni e gli elementi del Fascismo siano presenti intorno a noi. Comunque, sebbene una forzatura, c’è un parallelo tra questo spettacolo e gli anni che stiamo vivendo: di fronte a un oscurantismo generale della cultura, salvaguardarla e difenderla diventa indispensabile perché è l’ultimo baluardo, è un elemento determinante per costruire – attraverso un pensiero critico – qualsiasi idea di società e la stessa politica. Per questo, la resistenza dei cittadini di Leningrado, la loro difesa a oltranza della cultura, attraverso concerti, drammi, lettura di poesie, è un esempio più che mai attuale».

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Leonardo
via Ampère, 1 – Milano
fino a domenica 16 ottobre
orari: da martedì a sabato ore 20.45, domenica ore 16.00

Fonderia Mercury presenta:
Ascolta! Parla Leningrado… Leningrado suona
di Sergio Ferrentino
regia Sergio Ferrentino
con Gabriele Calindri, Oliviero Corbetta, Raffaele Farina, Sax Nicosia, Patrizia Salmoiraghi e Francesca Vettori
musiche originali Diego Fasolis
consulenza storica Gianpiero Piretto
assistente alla drammaturgia Emiliano Poddi
assistente alla regia Daniele Milani
service audio e luci Coriolano Music Service

Lo spettacolo continua:
Teatro Elfo Puccini
corso Buenos Aires, 33 – Milano
sabato 25 febbaio, sabato 24 marzo e sabato 28 aprile
Audioteatro
a cura di Sergio Ferrentino