Il segreto della traduzione musicale

Originali e dinamici, i quattro membri del quartetto di sassofoni trascinano il pubblico dell’Aula Magna con un concerto che omaggia il classico attraverso una sofisticata procedura di riarrangiamento strumentale.

Nel 1923 il filosofo tedesco Walter Benjamin scriveva un saggio sulla “traduzione” rivolgendosi in particolar modo all’ambito letterario e filosofico; scriveva Benjamin che il traduttore “non deve tradurre per il lettore ma tradurre per mantenere in vita l’originale”. In altre parole, la traduzione non è uno snaturamento del testo originale e un allontanamento dalla sua verità, bensì un modo per metterne in luce il senso profondo che sfugge alla comunicazione abitudinaria. La traduzione è necessaria per fare emergere una rinnovata dimensione di senso, e sarebbe quanto mai suggestivo applicare questo ordine di discorsi all’ambito musicale: riarrangiare alcuni classici della tradizione non è sempre un oltraggio nei confronti degli “antichi maestri” (anche se spesso si scade nella paccottiglia dell’attualizzazione insensata), ma può essere un’operazione ermeneutica ed espressiva assai efficace per riattualizzare il senso recondito delle opere, facendone emergere nuove prospettive.

Questo è quanto fanno i membri del Signum Saxophone Quartet, un quartetto anomalo perché costituito dai 4 sax (soprano, alto, tenore e baritono) che nel corso della loro carriera internazionale hanno deciso, attraverso una tecnica di estrema sofisticheria, di tradurre alcune opere (dal barocco al jazz, dall’avanguardia alla musica da film) nel linguaggio dello strumento dionisiaco per eccellenza, ossia il sax appunto. Strumento legato all’immaginario collettivo per gli assoli enfatici e striscianti, romantici e struggenti, ma anche per la funzione centrale da solista nelle composizioni jazz, nelle mani del Signum riesce anche a diventare il pistone della sessione ritmica, la leva del contrappunto bachiano, la tessitura melodica. Il concerto di martedì 10 aprile presso l’Aula Magna dell’Università Sapienza di Roma ha messo in luce tutta la bravura, l’originalità e l’estro del collettivo tedesco: da Haydn a Bach, dal neo-minimalismo di Marcelo Zarvos (noto per le colonne sonore cinematografiche) all’immortale Spain di Chick Corea, passando per le tonalità latino-americane di Astor Piazzolla e Alberto Ginastera. I quattro fiati sanno adattarsi perfettamente alle diverse sensibilità: dalla dimensione più contemplativa a quella più “teatrale”, e in piedi, muovendosi tenacemente, danno vita a uno spettacolo tanto sonoro quanto visivo. Nell’esecuzione delle Bagatellen di Ligeti, gli elementi concreti si traducono in rumori e suggestioni che i quattro si rivolgono a vicenda rispondendosi, come in un dialogo. Bello anche il modo in cui i giovani e talentuosi esecutori (ma esecutori è poco, data l’opera artistica e creativa di riarrangiamento) stabiliscono un rapporto col pubblico, cordiale ma senza essere eccessivamente spontaneo. Dopo i due bis, il Signum Quartet può lasciare l’Aula Magna dopo essere stati ospitati per la prima volta, con la consapevolezza che la traduzione di archi, fiati e clavicembali nel suono dei sassofoni, resterà ben impressa nella memoria del pubblico.

Lo spettacolo è andato in scena:
Aula Magna Università Sapienza di Roma
P.le Aldo Moro, 5 – Roma
martedì 10 aprile, ore 20.30

Istituzione Universitaria Concerti presenta
Signum Saxophone Quartet
Quartetto in si minore op. 33 n. 1 di Joseph Haydn
Concerto italiano in fa maggiore BWV 8971 di Johann Sebastian Bach
Four, for Tango di Astor Piazzolla
6 Bagatellen di Gyorgy Ligeti
Danzas Argentinas op. 2 di Alberto Ginastera
Memory da Nepomuk’s Dances di Marcelo Zarvos
Spain di Chick Corea