Ritratti d’autore

In vista della sua partecipazione al festival Orizzonti di Chiusi, dove dal 4 all’8 agosto sarà protagonista con le nuove Visitazioni, Silvia Frasson descrive a Persinsala il fantastico teatro di una immaginifica attrice e autrice che «non racconta una storia: lei è la storia» (Quando non avevamo niente e poi arrivo il signore della porcellana, Michela di Michele).

Sul suo sito personale leggiamo un aforisma di Søren Kierkegaard – «L’arte è avere nostalgia di casa sebbene si sia a casa»: cosa significa per Silvia Frasson recitare a Chiusi?
Silvia Frasson: «Chiusi sono le mie radici, le colline che mi mancano sempre, il posto dove sono cresciuta. Chiusi è per me un «luogo della durata», per dirla alla Peter Handke, dove risuona tutto quello che è importante e resta immutato nel tempo. Recitare nel mio paese è come far incontrare quello che ero quando sono andata via con quello che ho costruito finora. È dare un senso alle valigie con le quali sono partita e condividere una parte fondamentale della mia vita con chi mi ha conosciuto con la frangetta che sbandieravo alla festa di paese. Quando tre anni fa sono tornata, la prima volta dopo molti anni, è stata un’emozione unica: il teatro era in sold out già giorni prima dello spettacolo, persone che non mi vedevano da 15 anni mi hanno rivisto lì, sul palco, per la prima volta».

Come nasce la sua partecipazione al Festival Orizzonti e cosa pensa della nuova direzione impressa dalla scorsa edizione da Andrea Cigni?
SF
: «In realtà, la mia partecipazione nasce di sghembo: sostituisco un attore che ha partecipato all’edizione precedente del Festival con lo stesso progetto, il bravo Paolo Panaro, che quest’anno non poteva essere presente. L’anno scorso rimasi affascinata dall’esperienza di racconto sul lago, pensai: ecco, fare questo mi piacerebbe. Ed eccomi qui!
Andrea Cigni ha portato un grande cambiamento al Festival: l’ha aperto alle realtà teatrali nazionali, creando, di conseguenza, tanta attenzione sull’evento che ha acquisito una grande rilevanza ed già diventato tappa importante per gli artisti, gli operatori e il pubblico che lo segue. Ma Cigni ha aperto sia le porte del Festival che quelle del paese, e io stimo chi apre porte, perché dà nuove possibilità. Ed è anche un’ottima occasione per far conoscere la nostra Chiusi a più ampio spettro».

Ci parli dei tre spettacoli che metterà in scena in contesti suggestivi, ma di non semplice gestione: lo straordinario Lago di Chiusi, il ricco museo civico d’arte etrusca e cristiana, gli antichi Lavatoi saranno le semplici cornici dei suoi racconti o pensa di essere riuscita a trovare una reale ambientazione site-specific?
SF
: «Sono tre momenti di racconto, la narrazione basata solo sull’arte immaginifica dell’attore, niente scene o costumi, solo l’artista e tutti gli strumenti in suo possesso: corpo, voce, cuore (ma io preferisco dire budella, viscere, è lì che nasce il teatro che mi piace). Per ogni momento ho scelto delle storie diverse, mi sono lasciata suggestionare dai luoghi a mio modo, per tematica, per atmosfera. Sul lago di Chiusi racconterò la storia di Santa Mustiola , patrona di Chiusi, perché proprio su quel lago avvenne il miracolo che si ricorda e festeggia il 3 luglio di ogni anno. Agli antichi lavatoi, posto bellissimo e finora mai usato prima, io sarò dentro a recitare e il pubblico fuori ad ascoltare, allora ho pensato a situazioni di costrizione fisica ed emotiva: due storie dal Decamerone, la prima di un convento di suore e la seconda di un amore proibito. Nella città sotterranea racconterò di notte, alle 23, e Le Mille e una notte mi sono sembrate perfette».

Dopo Giovanna d’Arco, un’altra santa è protagonista di un suo spettacolo: qual è il suo rapporto con il sacro?
SF
: «Sacro è tutto quello in cui crediamo, spesso ciecamente, senza difese e in completo abbandono. E per credere in questo modo ci vuole molto coraggio. Il sacro lo cerco, quotidianamente. Ne sono affamata. Cerco qualcosa in cui credere che non sia tangibile e verificabile, ne ho bisogno. Di affidarmi a qualcosa che sia oltre me e il mio corpo, oltre la mia piccolezza di essere umano, oltre le mie sciocche preoccupazioni. Guardo chi ha fede religiosa con molta ammirazione. Spesso ci viene detto che bisogna credere in noi. Mi sembra che, invece, viviamo un periodo storico-sociale dove bisogna recuperare altro in cui credere, noi ci sentiamo già tanto onnipotenti. Sacra per me è la mia terra, l’amore di mia madre, alcuni momenti del mio lavoro. Ma sacro è anche il mare, lo sguardo che rincorre le colline, il silenzio che unisce due persone. Il dolore superato, è sacro».

Ci racconta un aneddoto su come si sta preparando a questa nuova avventura di Orizzonti Festival, che immaginiamo essere per lei molto emozionante?
SF
: «Le storie le scrivo, ma il vero lavoro è cominciare a raccontarle, è solo in quel momento che appaiono. Ho preparato le storie che racconterò in questi giorni milanesi in cui insegnavo alla Paolo Grassi. A Milano sono stata ospite di un caro amico. Ecco, in questi giorni ho raccontato ovunque e a chiunque. Al mio amico nel suo salotto, ai miei ex allievi che ho incontrato nelle aule della scuola, tornando a casa a piedi la sera. Ora torno a Firenze e offrirò una cena alle mie amiche, prima di mangiare, però, racconterò loro le storie di Chiusi. Mi preparo così ai miei spettacoli di narrazione. E mi piace da matti: scusa per favore, hai una mezz’ora? Ti racconto una cosa, dimmi cosa ne pensi. Ed è estremamente utile avere un confronto con chi mi ha ascoltato, è necessario per il mio lavoro. E tutte queste persone che mi hanno ascoltato me le porto con me durante gli spettacoli, i loro consigli, i loro sguardi, le loro emozioni. Durante una di queste prove c’è stato un momento, alla fine di una storia, molto molto emozionante, le persone che mi ascoltavano in quel momento si sono commosse. Ecco, era lo stesso momento in cui mi sono emozionata io quando ho scritto, quel passaggio lì, precisamente, quel respiro. Averne la riprova è stato bello e importante».

Attrice, regista, drammaturga, interprete, ma anche docente alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi: la sua è una attività veramente instancabile, ci anticipa i suoi prossimi progetti?.
SF
: «Nella prossima stagione porterò in giro il mio nuovo spettacolo di narrazione Amore e ginnastica, di Edmondo De Amicis, di cui Stefano Massini ha fatto l’adattamento teatrale in forma di monologo per me e con cui ho debuttato a febbraio. Verrò anche qui in terra natia, vicino Chiusi e ne sono molto felice.
A fine Settembre debutto al Teatro Puccini di Firenze con Le cognate di Tremblay, spettacolo storico di Barbara Nativi ripreso ora da Dimitri Milopulos, una bellissima avventura essere in scena con 14 donne. E poi vorrei far nascere uno spettacolo nuovo che tengo in serbo da anni, ma vorrei farlo in una forma diversa, facendolo nascere da un laboratorio permanente di narrazione che inizierò a Firenze da ottobre, lavorandoci con gli allievi».