Ritratti d’autore

Dopo la partecipazione al Festival della Valle d’Itria di Martina Franca nel concerto celebrativo per Rossini, accanto alla star del violino Yury Revich, alle voci di Maria Aleida e Michele Pertusi e al clarinettista Nicolai Pfeffer, abbiamo intervistato Simone Di Crescenzo, brillante pianista e raffinato interprete del repertorio italiano del primo ‘800.

In occasione dei 150 anni dalla morte di Rossini, quest’anno il Festival della Valle d’Itria ha dedicato particolare attenzione al compositore. Cosa rappresenta oggi questo musicista nel panorama lirico e sinfonico?
Simone Di Crescenzo: «A partire dagli anni ’80 Rossini ha avuto finalmente il riconoscimento che merita, anche in età moderna. Fino ad allora, infatti, salvo qualche esperimento condotto nel secondo dopoguerra, il pubblico conosceva il Cigno di Pesaro quasi esclusivamente attraverso un ristretto numero di titoli appartenenti al genere comico, come Il Barbiere di Siviglia, La Cenerentola, L’Italiana in Algeri e La gazza ladra. Grazie all’attività di ricerca e promozione del vasto repertorio rossiniano condotto in primis a Martina Franca e poi nella sua forma più completa presso il Rossini Opera Festival (ROF) di Pesaro, Rossini è entrato a far parte di tutti i cartelloni internazionali sia d’opera che di musica sinfonica. Oggi è quindi un autore popolare che il vasto pubblico ama in maniera incondizionata. Non dimentichiamo che per quasi tutta la prima metà dell’800 la musica di Rossini era il cuore principale dei repertori dei teatri ed era il compositore più stimato e rappresentato, un vero nume tutelare dell’opera. Certamente l’allestimento di opere rossiniane, specie quelle del cosiddetto Rossini serio non è impresa facile al giorno d’oggi, considerando la difficoltà nel reperire voci con un adeguato bagaglio tecnico e stilistico per sostenere l’impervia scrittura vocale. Un discorso a parte merita il repertorio da camera, ancora quasi inesplorato, soprattutto quello strumentale, al quale mi sto dedicando da qualche anno e che trovo estremamente interessante per la profondità e l’estro profuso dall’autore in questa musica».

All’interno di un programma fitto di compositori del periodo Romantico, come si pone la figura di un contemporaneo come Tarkmann e la Fantasia composta sulle arie del rossiniano Maometto II?
S.D.C: «Nel programma che ho eseguito al Festival della Valle d’Itria, oltre alle trascrizioni ottocentesche di Paganini e De Bériot, ho inserito nel programma anche l’Aria di bravura dal Maometto II trascritta da Alexander Tarkmann per clarinetto e pianoforte. Devo constatare che nonostante la diversità temporale di questa trascrizione con il resto del programma, non è stato percepito uno stacco netto poiché lo stile compositivo di Tarkmann rispecchia molto quello delle trascrizioni più antiche. L’unica perplessità che ho avuto è stata quella che manca, in questa versione, l’aria iniziale di Calbo e la trascrizione inizia dal tempo di mezzo, al quale viene attaccata la doppia cabaletta. Conto di far realizzare in futuro una trascrizione completa del numero, da qualche altro compositore contemporaneo, includendo quindi il meraviglioso passo Non temer d’un basso affetto».

All’interno del programma della serata, se avesse potuto, quali altri pezzi avrebbe proposto e perché?
S.D.C: «Il programma è stato ben architettato e congeniato in collaborazione con il Direttore Artistico del Festival Alberto Triola. Direi che non avrei aggiunto altro poiché aveva una sua unità e coerenza».

Tra i classici e i contemporanei, quali compositori considera i suoi preferiti?
S.D.C: «Amo molto il repertorio italiano, mi sento italiano e mi sento portatore di un gusto e di una poetica che nascono nella culla della civiltà moderna. Ovviamente Rossini è fra i miei autori preferiti, insieme a tutti i compositori della Scuola Napoletana come Cimarosa, Paisiello, Porpora, Scarlatti. Sono estremamente affascinato anche dal genere aulico di Salieri, Cherubini e Spontini, di cui mi sono occupato qualche anno fa. Una menzione speciale va al principe della melodia, ovvero Vincenzo Bellini, che sa far vibrare le corde più profonde dell’animo umano. Fra i compositori non italiani Mozart rappresenta per me una grande fonte d’ispirazione e un modello di perfezione formale. Per quanto riguarda i compositori più moderni, invece, mi piace Richard Strauss per la sua intensità drammatica e per le grandi intuizioni musicali che ha profuso nelle sue opere. In generale sono appassionato anche di altri generi musicali come il pop, la disco music e la musica etnica».

Cosa vorrebbe dire al pubblico giovane e non che fatica ad apprezzare e comprendere un certo genere musicale come quello classico (anche nella sua accezione più ampia e pop)?
S.D.C: «Ai giovani posso dire che normalmente si apprezza ciò che si conosce e si rimane distaccati da ciò che ci sembra distante e sconosciuto. Il mio invito è quindi quello di avvicinarsi gradualmente alla musica colta, ce n’è per tutti i gusti: dalla grande polifonia rinascimentale al primo Barocco, dai classici ai compositori del Romanticismo e del tardo Romanticismo, fino al Novecento e le avanguardie. La musica racconta la storia dell’uomo moderno, racconta la vita sociale, la storia del pensiero. È uno strumento per conoscere il nostro passato entrando nelle pieghe più profonde del sentimento umano. Ci permette di rivivere emozioni che sono impresse nella nostra memoria genetica e culturale. Anche io, nonostante sia un musicista classico, amo altri generi e cerco di rimanere aperto alle contaminazioni. La curiosità è fondamentale poiché ci apre a nuovi mondi».