Torino città aperta

Triplo appuntamento alle Officine CAOS di Torino, il centro internazionale cross-disciplinare per l’innovazione culturale e sociale del quartiere Vallette, con due performance di danza contemporanea firmate Fabio Liberti e uno spettacolare dialogo a tre del ferrarese Teatro Nucleo, per una serata all’insegna di tutti quei ponti gettati tra noi e gli altri, nonostante le barriere.

 

Liberti2018

Solo For Real + Don’t, Kiss

“Solitudine”, dal latino arcaico sollus, “intero”, che non ha bisogno di altro per completarsi. Un concetto di per sé positivo, se non addirittura invidiabile, che ha però assunto una concezione negativa in tempi posteriori all’antichità, prendendo il senso di dolenza e non certo di indipendenza o perfezione. Una questione, forse, di rappresentazione, di aspettativa sociale che muta col mutare degli strumenti di comunicazione e condivisione e dell’evoluzione (meramente numerica) del genere umano, o un problema di mancata elaborazione di una delle condizioni più ataviche e normali di sempre, che ci accomuna tutti e, in quanto elusa, ci angoscia al solo pensarne.

L’uomo in mutande e calzini di Fabio Liberti (all’anagrafe slovena Jernej Bizjak) è ovviamente affetto dall’accezione moderna del termine, richiudendosi a intermittenza in posizione fetale per sfuggire al pandemonio invisibile della propria mente in cerca di un attimo di consolazione. Proprio come la società che lo circonda, però, e nonostante i tentativi di cura eterodiretti e palesemente mirati a lenire il dolore senza sradicarlo alla radice, comprendendolo, il conforto tarda ad arrivare, portandolo a esplodere e rinascere sempre più frammentato e meno in sé, seguendo una coreografia esigente, precisa ed estenuante che attira da subito l’attenzione del pubblico sulla plasticità del corpo dell’interprete assoldato, tra gli altri, anche da Ohad Naharin.

Dall’assolo, Fabio Liberti passa al duetto, soffermandosi proprio sull’analisi delle dipendenze e co-dipendenze relazionali. «Un idillio, un percorso, una sincronia esaltata, la necessità di un equilibrio perfetto perché tutto venga realizzato coreograficamente come progettato». Un bacio, un punto di contatto che è al contempo limite e scintilla, slancio e frizione di un volere grezzo e animale che può facilmente trasformarsi tanto in concessione quanto in imposizione.

L’imperativo contraddittorio del titolo di questa seconda performance di 15 minuti della Cie danese ben chiosa la natura di questa relazione simbiotica unita da un cordone ombelicale irrecidibile per scelta e per necessità, andando intelligentemente ad aggiungersi a una giovane produzione interessante e a tratti inaspettata, per lo meno sul panorama italiano, perché se da un lato i “giochi” di equilibrio e contatto sono uno dei pilastri della scena contemporanea, l’onestà, l’autoironia e la profondità fulminea della Fabio Liberty Company contribuiscono a creare due performance che sanno farsi sentire, invitando lo spettatore a sperare in un eventuale lavoro più esteso e organico.

 

Nucleo2018

Il mio vicino

In seguito alla sua creazione nel 1974 a Buenos Aires, il Teatro Nucleo, spinto ad abbandonare il paese a causa delle crescenti pressioni politiche che sarebbero poi sfociate nella dittatura dei generali, si trasferisce quattro anni dopo a Ferrara, dove ancora oggi continua la sua attività con progetti, residenze e laboratori teatrali. Proprio da una di queste attività (Teatro Carcere) che esiste e persiste nella Casa Circondariale di Ferrara dal 2005, portando alla creazione di vari produzioni (alcune anche insignite dalla medaglia premio di rappresentanza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano), nasce nel 2010 lo spettacolo di repertorio Il mio vicino, un dialogo a tre tra due attori e un performer/musicista.

Con il tipico brio sardonico argentino, Horacio Czertok, fondatore, regista e attore della compagnia, dà il via alle danze rispondendo preventivamente alla domanda “perché fare teatro in carcere?”, inscenando non tanto una rappresentazione teatrale quanto un incontro evidentemente volto a portare a strettissimo contatto spettatori e interpreti, mettendoli sullo stesso piano culturale per poter condividere con semplicità, senza chiacchiera o urlo, la parola. Una declamazione, dunque, ambientata nell’idea che «solo nella condivisione e nell’attraversamento delle barriere tra “Te e Me” si capisca di cosa siamo fatti per davvero», sia che ci si trovi in un’istituzione totale quale il carcere che su un qualsiasi palcoscenico esistenziale.

In scena accanto a lui, si trova Moncef Aissa, ex-detenuto tunisino che ha partecipato per circa tre anni al progetto Teatro Carcere e del quale se ne fa ora portavoce, esempio e fautore. «Il mio vicino vuole narrare la costruzione di “una terra possibile, fatta di parole, gesti e poesia” a partire dall’incontro di due “sradicati”, due esseri ai quali la terra è stata tolta». Non vi è alcuna autocommiserazione né autocompiacimento, non si parla delle scelte personali che portano un individuo sulle vie dell’illegalità e della detenzione, non ci si interroga sui perché, ma si accetta la realtà con consapevolezza e si cerca di costruire sulle macerie, perché i detenuti «prima o poi usciranno e verranno a vivere vicino a casa mia: come voglio che sia il mio vicino di casa?».

Con gentilezza e onestà Horacio e Moncef si trovano a condividere una diversità culturale in una terra straniera e trovano nel teatro di parola (nel senso pasoliniano del termine) lo strumento essenziale per poter uscire da se stessi, per poter pensarsi e prendere coscienza di sé con il fine di arrivare a una trasformazione narrativa del soggetto. Tramite dunque la cosiddetta riflessività performativa teorizzata da V.W. Turner, quella condizione cioè in cui «un gruppo socioculturale, o i suoi membri più percettivi che agiscono in modo rappresentativo, si rivolgono, si ripiegano, si riflettono su se stessi, sulle relazioni, le azioni, i simboli, i significati, i codici, i ruoli, le condizioni, le strutture sociali, le regole etiche e legali e le altre componenti socioculturali che concorrono a formare i loro “io” pubblici», la terra di nessuno che è il carcere diventa terra di tunisini, argentini, siciliani, campani, romagnoli in cerca di dignità, rispetto e riabilitazione oltre la pena, lo stigma e i pregiudizi.

Tra storie di torture, esili e liberazioni, ma anche di spassosi siparietti tra Totò, Beckett e antichi poeti analfabeti arabi, viene dunque narrata la storia di una ricerca di senso che supera le mura di cinta di qualsiasi centro di detenzione e sfocia nel teatro sociale del quotidiano dove l’unico vero riabilitato è forse solo chi è in grado di uscire dalla prigionia (istituzionale o personale che sia) con una nuova storia personale e un nuovo paio di occhi per osservare il mondo di rappresentazioni che lo aspetta oltre il grigio sipario. Con dignità.

 

Gli spettacoli sono andati in scena:
Officine CAOS
piazza Montale 18 – Torino
Venerdì e Sabato 13 e 14 Aprile
21.00 e 22.00

Fabio Liberty Company presenta
Solo For Real + Don’t, Kiss
coreografia e drammaturgia Fabio Liberti
interpreti Jernej Bizjak e Fabio Liberti
musiche Benjamin Clementine, Per-Henrik Mäenpää
co-produzione Zavod 0.1/Institute 0.1

Teatro Nucleo presenta
Il mio vicino
testo e regia di Horacio Czertok
con Horacio Czertok e Moncef Aissa
musiche dal vivo di Andrea Amaducci