L’essenzialità che unifica le arti

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Con lo spettacolo Eurydice’s Dream, Sonia Villani vince quest’anno il premio di Miglior Coreografia e Movimento Scenico al New York Innovative Theater Awards.

Sonia Villani è un’attrice e ballerina di tango romana che vive e lavora a New York dal 2012.
Dall’inizio del 2013 collabora con la compagnia Blessed Unrest. Da questo sodalizio è nato lo spettacolo che quest’anno ha vinto il premio di Miglior Coreografia e Movimento Scenico al New York Innovative Theater Awards, Eurydice’s Dream, di cui Sonia Villani è coreografa, insieme alla direttrice artistica della compagnia, Jessica Burr, ed interprete, nel ruolo di Eurydice, insieme a Andrew Dahl, Marco De Ornella, Jason Griffin, Tatyana Kot, Darrell Stokes, Jessika Williams. Un cast internazionale dunque, per uno spettacolo ispirato ai miti di Orfeo/Euridice e Narciso/Eco, e alla storia contemporanea di America/Straniero: tre storie che si intersecano e si fondono costruendo diversi strati di narrazione, e lasciando al pubblico la possibilità di scoprire e creare il proprio percorso di senso.

Come si articola lo spettacolo?
Sonia Villani: «Siamo partiti da tre storie che la regista Jessica Burr ha esplorato per anni, due miti classici e una storia contemporanea, tre storie d’amore “impossibili”, almeno nella nostra versione che non coincide sempre esattamente con il mito: Euridice, o forse una parte di lei, sceglie di morire, si innamora di Ade e rimane intrappolata nella difficoltà di decidere tra due mondi e due amori. Abbiamo usato testi originali, scritti per lo spettacolo da due drammaturghi della compagnia, e materiale di ogni genere, musiche, video, immagini, come fonte di ispirazione, da tenere a mente e usare nelle sessioni di Viewpoints e nelle composizioni che ci erano assegnate. Il lavoro di creazione è stato interamente collettivo, la regista poi ha messo insieme, composto, modificato e coreografato ciò che era stato creato nella prima fase. Le tre storie si susseguono e si sovrappongono in un montaggio in cui emergono assonanze e contrasti, i personaggi hanno diverse identità e diverse volontà in contrasto fra loro, e li animano nei mondi che attraversano.»

Ci parli del suo lavoro di coreografa in Eurydice’s Dream.
S. V.: «La regista un giorno mi ha chiesto di coreografare alcune scene usando elementi di tango; quali momenti della storia dovessi prendere in considerazione è diventato chiaro man mano che andavamo avanti nel lavoro: l’innamoramento di Orfeo ed Euridice, che nel mito non è mai raccontato, la lotta tra Orfeo e Ade per Euridice che si apre a possibilità inaspettate in alcuni momenti, e uno squarcio sul travagliato rapporto tra Euridice e Ade che sembra concludersi con una scelta in favore di quest’ultimo, ma chissà se è davvero definitiva. È stata una bella sfida per me, che ho interamente condiviso con i miei due fantastici partner di scena, Marco De Ornella e Andrew Dahl. Siamo partiti dalla musica e dal chiarire a noi stessi quali momenti stavamo raccontando, insieme creavamo possibili parti di coreografia, pattern gestuali e io aggiungevo elementi di tango o proponevo ciò che del tango poteva essere utile alla storia. Il risultato è un interessante mix di danza e teatro di movimento che serve perfettamente alla narrazione.»

Cosa si aspetta dalla vincita di questo premio?
S. V.: «Maggiori chances di prendere la green card fra due anni!»

Teatro e tango: nei suoi lavori le due arti si contaminano? In che modo?
S. V.: «Il lavoro che avevo fatto finora con il mio partner Cristiano Adiutori, con cui ho fondato qualche anno fa la compagnia Tango di Pietra, era di diverso tipo rispetto all’uso teatrale del tango che c’è in Eurydice’s Dream. Con Tango di Pietra eravamo interessati all’impatto del tango nell’area urbana, abbiamo realizzato numerose incursioni tanguere in luoghi pubblici, come supermercati, banche, uffici postali, sempre con un’attenzione ai particolari: in un ufficio postale di Roma, lo stereo piuttosto ingombrante, era “travestito” da pacco postale indirizzato all’appartamento a Buenos Aires dove avevamo vissuto. Un’altra linea, complementare, che seguivamo erano le performance site specific: per il Festival Santarcangelo dei Teatri creammo Bel Vedere in cui il pubblico di passaggio trovava, su uno dei belvedere del paese, tre binocoli orientati verso lo stesso punto e ascoltava una selezione di tanghi, noi ballavamo nel piazzale verso cui erano orientati i binocoli. Ciò che di comune c’è con le coreografie di Eurydice’s Dream è l’esplorazione di ciò che il tango e la sua musica offrono al di fuori del tango stesso, che sia nella collisione con uno spazio che non è predisposto ad accoglierli o nella necessità di portare avanti la linea narrativa di uno spettacolo: in entrambi i casi il potenziale che si sprigiona nel reciproco condizionarsi degli elementi è quello che attrae il mio interesse.»

Come ha scelto il suo stile di tango?
S. V.: «La scelta è avvenuta in maniera estremamente organica: man mano che imparavo mi accorgevo di cosa mi interessava maggiormente in questa disciplina, cosa mi dava gioia nell’esecuzione e cosa arrivava al pubblico di quello che facevo e che vedevo fare agli altri ballerini. Un punto di svolta è stato un viaggio a Buenos Aires nel 2009 con Cristiano: il nostro interesse si è, non senza crisi di passaggio, definitivamente rivolto al tango nuevo, che ha degli elementi molto più vicini alla danza moderna. Abbiamo però cercato di contaminare fortemente la morbida aggressività del tango nuevo con la compostezza e il rigore che del tango classico amavamo. Il risultato è forse che, dopo lunghe discussioni, lui balla tango classico e io nuevo

Quali sono i suoi modelli nella danza e nel teatro?
S. V.: «Sicuramente, da tre anni a questa parte, una compagnia di New York con cui ho avuto il piacere di studiare e lavorare, che ha cambiato completamente il mio modo di vedere e fare teatro, la SITI Company e i metodi di training che loro praticano da 20 anni, Suzuki e Viewpoints. Un artista che ho sempre amato, che non è né danzatore né attore, è il funambolo Philippe Petit. In generale ciò che un artista persegue a prescindere dalla disciplina in cui è specializzato, è quello che mi interessa. Attori del passato e contemporanei che amo incredibilmente sono Gian Maria Volonté, Maria Paiato e Tilda Swinton.»

Attrice, ballerina di tango, coreografa: come vorrebbe essere definita in poche parole?
S.V.: «Il mio visto di lavoro dice che sono un’attrice. Tuttavia ciò che è intrinseco alla volontà, ciò che ognuno persegue nell’intimo di quello fa, sembra sfuggire a una definizione. Come dicevo prima Philippe Petit è definibile come un funambolo, ma il fulcro della sua arte travalica la definizione. È bello quando, attraverso e in differenti arti e tecniche, si manifesta l’essenzialità che le unifica. Io punto a quello senza dubbio.»

Che cosa dà l’estero a un artista che l’Italia non dà?
S.V.: «La mia esperienza è per lo più limitata a New York che è, come si può immaginare, una città estremamente particolare per quanto riguarda l’attenzione al mondo dello spettacolo. L’altro giorno tra le pubblicità sulla metro ne ho notata una del sindaco e del comune, che ringraziava e invitava i cittadini ad essere pazienti nel caso di disagi causati dalle numerose riprese di film a New York, sottolineando come l’industria cinematografica e televisiva, e io direi dello spettacolo in generale qui, sostenga l’economia della città. L’offerta e la richiesta di spettacolo e arte sono altissime e mi sembrano tra loro proporzionate. E dal punto di vista di un artista, pochi altri posti al mondo offrono le opportunità che dà New York.»

I suoi prossimi impegni?
S.V.: «Ho finito da poco di lavorare nel film Yellow Fever che uscirà nel 2014 in cui interpreto il ruolo di una fashion stylist italiana incinta; è stato divertente vedere le reazioni di tutti gli amici che non vedevo da tempo quando è stata postata una foto su facebook di me con il pancione abbracciata ad un altro attore, ho provato a non smentire per un po’, ma poi sono crollata. Fra pochi giorni comincio le prove di un altro spettacolo, Golden Drum Year, basato su 365 poesie che l’autore ha scritto nell’arco di un anno, una al giorno, e di cui abbiamo presentato un primo studio l’anno scorso.»

Quando potremo rivederla in Italia?
S.V.: «Stiamo lavorando per portare Eurydice’s Dream oltreoceano forse il prossimo anno e speriamo, con l’occasione, di fare anche un tour Italiano, quindi fingers crossed