Il fascino inquietante della borghesia

Spettri alla ricerca della luce all’Arena del Sole di Bologna. Cristina Pezzoli allestisce la scena della crisi del capolavoro di Ibsen: un classico sull’uomo alle prese con le proprie non-verità.

Di cosa parla realmente Ibsen in Spettri? Quali sono i significati nascosti dietro la facile etichetta di dramma borghese? Dare una risposta non è così semplice: le sue opere, spesso abbandonate alla superficialità di tratti caratteristici noiosamente ribaditi da molta critica e ricerca, celano un background polisemico e una scacchiera di sotto-testi, in attesa di essere prede di un vero e proprio scavo archeologico. Non è un caso che gli studi sulla sua opera non si siano mai affievoliti, anzi, essa riesce ancora a destare una curiosità critica che difficilmente, però, ha spezzato i pregiudizi e le ripetizioni di analisi che hanno da sempre caratterizzato questi studi. È come se si fosse attratti da oscure verità latenti nelle sue opere che non si riescono a portare alla luce. E spesso le regie teatrali cadono in questa incapacità, rimanendo incastrate in quei fili che fecero di Ibsen il padre del teatro moderno: la sua accattivante abilità nello svelare il marcio dentro l’individuo e dentro la società del suo tempo, portando avanti un’amara critica al pensiero e alla morale falsamente perbenista della società borghese e di buona facciata della Norvegia – ma in generale di tutta l’Europa – di fine Ottocento.
Si rischia, così, di riproporre non solo sempre le stesse modalità registiche ma anche di soffocare ciò che può essere attualizzato dell’opera ibseniana, pur riconoscendone sempre e comunque l’impatto innovatore che ebbe al suo tempo. Si rischia, arrivando agli estremi, di ridicolizzare la sua opera. In questo spettacolo, diretto da Cristina Pezzoli, regista legata alla linea imposta da Castri, fortunatamente non si arriva a questo estremo ma si cede alquanto alla mitizzazione del testo: scritto nel 1881, nel pieno periodo romano di Ibsen – in cui ebbe la consacrazione ad autore di rilievo internazionale – fu addirittura rifiutato dai teatri norvegesi e danesi: colpevole di ritrarre una situazione familiare annientata dalla bugia detta per velare i vizi di un marito-Casanova.
Gli spettri del passato – che appaiono come spettrogrammi sfocati sulle pareti bianche ai lati della scena o sul telo che, sullo sfondo, è espediente oltre il quale si creano altri spazi della casa – non vanno mai via, sia per chi li conosce sia per coloro che sono all’oscuro degli intrighi della vicenda. Tutti sconteranno i loro peccati, volutamente commessi o edipicamente insiti nella loro natura, colpevoli di essere nati e cresciuti nella menzogna altrui – la malattia venerea di Osvald rimarrà l’unica eredità del padre – vinti dalla forza distruttiva della verità, pagando la scelta della bella apparenza, del bel costume da indossare in una società vincolata dalla morale religiosa e rigida, incarnata dal pastore Manders.
È chiaro che l’ambiente è una prigione: non solo quella casa dove è nata ed è stata alimentata con cura la tragedia che non lascia scampo – e la scenografia rende poco, forse fortunatamente, questo senso di soffocamento tipico di altre messe in scene di Spettri – ma anche la Norvegia che non conosce sole, quella luce salvifica dell’universo che fino alla fine Osvald cercherà e senza la quale morirà. La pioggia, che batte continuamente, non riesce a lavare nessun peccato, non porta via nessuna colpa. È il fuoco l’unico elemento che fa crollare il sipario del teatrino della crisi: l’incendio che distruggerà l’ultimo atto della pièce-bien-fait, messa in piedi da Helene per ricordare il marito con l’apertura di un asilo nido a suo nome. La provvidenza regala ai protagonisti la via d’uscita ma dietro può trovarsi il baratro.
La recitazione intimisticamente malata degli attori ci restituisce appieno l’analisi discutibile che Silvio D’Amico fece nella sua Storia del teatro drammatico dei testi di Ibsen , in cui “l’equilibrio tra cuore e cervello è stato perduto tutto a svantaggio del primo”. C’è una nota di stonatura però nell’interpretazione di Fausto Paravidino, che cede troppo allo stile del personaggio nel suo ultimo successo drammaturgico filo-pinteriano La malattia della famiglia M, costringendo il pubblico a percepire una eccessività, una forzatura che lo allontana dallo spettro del pittore Osvald.

Lo spettacolo continua:
Arena del Sole
Via dell’Indipendenza, 44 – Bologna
fino a domenica 13 novembre
orari: venerdì e sabato, ore 21.00 – domenica, ore 16.00
Spettri
di Henrik Ibsen
regia Cristina Pezzoli

traduzione Franco Perrelli
elaborazione drammaturgica Elisa Russo

con Patrizia Milani, Carlo Simoni, Alvise Battain, Fausto Paravidino e Valentina Brusaferro
scene di Giacomo Andrico
produzione: Compagnia Teatro Stabile di Bolzano