teatro-verdi-pisa-80x80Presentato il Cartellone della lirica nel salotto buono di Pisa: prime mondiali, un Festival inedito e spazio ai giovani tra le proposte.

In un momento di grave crisi economica e d’idee e di sottovalutazione da parte della politica della produzione artistica e culturale, il Verdi di Pisa sembra emergere come un’istituzione solida che ha i conti in regola, miete consensi a livello di pubblico, si impegna nella produzione attivando altresì collaborazioni e favorendo gli scambi intergenerazionali. Ne è prova il fatto che il Presidente della Fondazione Teatro di Pisa, Giuseppe Toscano, ha annunciato in conferenza stampa che il Ministero dei Beni Culturali ha premiato il Verdi stanziando, per la nuova Stagione, 40.000 euro in più per la lirica, 5.000 euro per i concerti da camera e 3.000 euro per la danza. Cifre complessivamente modeste ma che, in un panorama di tagli, fanno almeno sperare in un’inversione di tendenza per il futuro.
Venendo alla Stagione, dopo l’apertura con l’attesissimo Don Giovanni – che si annuncia come un successo strepitoso di pubblico – seguiranno in prima mondiale, Il Ghetto Varsavia 1943, di Giancarlo Colombini (il 22 e 23 novembre); il consueto titolo pucciniano che, quest’anno sarà La Rondine, commedia lirica poco rappresentata e tra le meno note del Maestro lucchese, coproduzione di diversi teatri, tra i quali il Giglio di Lucca e lo stesso Verdi (il 17 e 18 gennaio); Il Barbiere di Siviglia di Rossini (il 21 e 22 febbraio), nuova produzione dell’Opera Studio – il laboratorio permanente di formazione, specializzazione e perfezionamento per le professioni del teatro musicale, che coinvolge tre realtà locali, quali il Carlo Goldoni di Livorno, oltre ai già citati Giglio e Verdi; e la chicca del Macbeth (il 27 e 29 marzo), che vedrà alla regia uno tra i maestri del terrore, Dario Argento.
Quattro i titoli della Stagione da Camera, tra i quali spicca Ein Musikalischer Spass Zu Don Giovanni (giovedì 5 febbraio), proposto da I Sacchi di Sabbia – che incuriosisce per diverse ragioni. La prima è la cooperazione attivata tra una realtà tradizionale come il Verdi e una delle conferme (perché non è più tempo, per loro, di promesse) più interessanti del panorama contemporaneo e sperimentale del teatro toscano, ossia i Sacchi di Sabbia – sintomo della necessità di tali collaborazioni, auspicata in conferenza stampa anche dal Sindaco Marco Filippeschi; in secondo luogo, perché si inserisce in quel percorso multidisciplinare intorno al mito di Don Giovanni, che caratterizzerà tutte le proposte del Festival (di cui scriveremo in seguito); e, last but not least, perché la Compagnia capitanata da Giovanni Guerrieri vanta una capacità di rileggere autori, generi (quali il Maggio Toscano) e copioni della tradizione con una sagace vena ironica, grande maestria attorale e vocale e un’insuperabile intelligenza nello svecchiare senza per questo cadere nella banalità o, ancor peggio, nella volgarità.
Qualche riga ancora per il Festival, intitolato Una gigantesca follia, che a costo praticamente zero proporrà per un intero anno una serie di opere liriche, ma anche film, spettacoli, lezioni aperte e incontri – a cura del Teatro Verdi e dell’Università di Pisa – intorno al personaggio di Don Giovanni, per tratteggiarne un ritratto artistico, psicologico, storico e culturale, coinvolgendo molteplici discipline e spazi.

E arriviamo infine alla nota dolente. Abbiamo parlato di un Festival a costo zero. Perché? Perché mancano i fondi e chi si illudeva che i privati si sarebbero volentieri sostituiti al pubblico per produrre cultura, arte, sapere o ricerca, sarebbe il caso che rivedesse i suoi conti. Il Presidente Toscano ha infatti affermato che la Campagna di sponsorizzazione privata avviata dal Verdi può dirsi – al momento – ufficialmente fallita. Nonostante la richiesta di sponsorizzazione alle aziende private fosse ridicola (2.000 euro l’anno per tre anni), hanno risposto positivamente solo due aziende. Del resto, il cosiddetto Art Bonus ha troppe pecche per piacere a privati e società: consente di avere un credito d’imposta del 65% su quanto versato e non totale (e solo per gli anni 2014 e 2015, dato che nel 2016 scende al 50%); il credito è poi recuperato nel giro di tre anni; e, se non bastasse, le libere donazioni valgono solo se a favore di enti pubblici e non per istituzioni private non a scopo di lucro. In un Paese dove troppe imprese preferiscono trasferire all’estero la produzione per aumentare il plusvalore di un oggetto solo sulle spalle dei lavoratori – e non grazie a ricerca e innovazione – l’Art Bonus appare un’arma davvero troppo spuntata e l’impresa italiana si dimostra sorda al richiamo della cultura, almeno quanto la politica. Spiace ma almeno il Presidente Toscano ha avuto l’onestà e il coraggio di ammettere il fallimento di un tentativo che, in sé, avrebbe dovuto ottenere ottimi risultati, confermando che oggi più che mai, in Italia, se si vuole fare arte – sia figurativa sia performativa – il sostegno dello Stato è indispensabile, a meno di non aumentare il costo dei biglietti a tal punto da rendere, ad esempio la lirica, un prodotto per pochi, come ai tempi in cui gli aristocratici si sollazzavano nei ridotti e ridottini tra donnine e giochi d’azzardo, mentre qualche evirato faceva da sottofondo.

Al Verdi, per lo meno, questa ipotesi sembra scongiurata, anche grazie ai 587 abbonamenti per la lirica, che fanno ben sperare per il futuro di questo teatro e della cultura pisana in generale.

Durante la conferenza stampa il pittore Alberto Berti – anconetano di nascita ma pisano d’adozione, che ha esposte in oltre quarant’anni di attività in tutto il mondo, da II Cairo a Helsinki, da New York a Tokyo – ha donato una sua opera al Teatro Verdi.