La ricerca di un posto al Sole

Dal 20 luglio fino alla vigilia di Ferragosto, l’Autodramma della gente di Monticchiello è tornato ad animare Piazza della Commenda, rinnovando ancora una volta tutta la sua valenza espressiva.

È ormai opinione accreditata quella che riconosce nel tramonto e nel superamento dei classici paradigmi di riferimento dell’arte una delle caratteristiche fondamentali di tutto il Novecento.

L’avvento del postmodernismo e la necessità di un ripensamento teorico-concettuale della contemporaneità artistica sembrano arenarsi nella constatazione, come affermato da Nathalie Heinich, che l’unico paradigma attualmente vigente sia l’assenza stessa di paradigmi.

Confini tra le arti sempre più sfumati e crollo del classico sistema delle Belle Arti hanno determinato una frattura talmente profonda che, nel caso dell’arte drammaturgica e performativa, oggi più di ieri ci si interroga continuamente e necessariamente sul senso stesso del teatro, del suo essere e del suo farsi, rendendo quanto mai problematica la possibilità di definire una determinata rappresentazione o happening.

All’interno di questo – soggettivo e opinabile – perimetro, esiste il caso (unico in Italia) di chi attraverso semplicità e trasparenza riesce a far vivere nel contemporaneo una concezione antichissima e quasi ancestrale del teatro.

Una posizione da cui, almeno allo stato attuale, non c’è da aspettarsi audaci soluzioni drammaturgiche, innovative impostazioni sceniche o adamantine performance attoriali, ma solo ed esclusivamente il teatro nella sua modalità più profondamente rituale. Una sorta di laboratorio permanente che fa della resistenza agli attuali tempi bui il fondamento stesso di un’incessante ricerca del senso strategico del teatro all’interno di una comunità che non teme di confrontarsi con il proprio passato, di interrogare il proprio presente e di aprirsi all’eventualità di un ipotetico futuro.

Si tratta dell’Autodramma della gente di Monticchiello, un progetto che, omaggiando con orgoglio Grotowski, una gloriosa esperienza di cui certamente non ambisce ad avere la medesima statura teorica e pratica, si autodefinisce Teatro Povero.

L’Autodramma conserva, infatti, solo in superficie l’idea di fare a meno di quanto più possibile, di sottrarsi alla spettacolarità e di poter tornare al rapporto originario di compartecipazione tra attori e pubblico all’evento. Ciò che l’Autodramma eredita in toto dal maestro polacco è ben altro e più essenziale ed è limpidamente riscontrabile nell’utilizzo del teatro quale metafora della condizione umana di un piccolo paese della Val d’Orcia. Quel Monticchiello che dagli anni 60, epoca di profonda crisi economica (la scomparsa della mezzadria) e sociale (lo spopolamento), ha avuto la necessità di rifondarsi radicalmente pur di sopravvivere e rinnovare il proprio patrimonio di valori improntati alla solidarietà e alla comunione. E ha scelto di farlo attraverso un esperimento di teatro che oggi si è strutturato anche in «un esempio di cooperativa di comunità, un soggetto che in prima persona si è fatto carico di molti servizi per la piccola comunità di Monticchiello […] un emporio polifunzionale, un centro distribuzione farmaci (nel paese non c’è farmacia), il centro internet, l’edicola […] I Ristoranti di Bronzone, una foresteria, un piccolo centro di accoglienza e integrazione, una ciclo-officina sociale, progetti educativi, le aree verdi del paese, laboratori» (dalle note di regia).

La rappresentazione frontale e canonica, una certa pesantezza scenografica e una significativa staticità dei tanti interpreti – tutti rigorosamente membri attivi di Monticchiello e parte di un processo di scrittura drammaturgica che ha attraversato l’intera comunità del paese per lunghi mesi, prima di affinare la regia e la messa in scena in gruppi elettivi più ristretti – sono elementi che potrebbero dare l’impressione di uno spettacolo di narrazione senza infamia e senza lode.

Mettiamo però in guardia dal non confondere con una dimensione amatoriale quello che è, invece, il sontuoso recupero di una dimensione autenticamente popolare di un teatro partecipato. Dimensione che, inutile nasconderlo, rappresenta la principale e straordinaria virtù di un progetto che ha attraversato il secolo scorso per oltre cinquantanni e che continua a rilanciare la propria ambiziosa intenzione, anche superando momenti di transizione generazionale, come il passaggio di consegne dallo storico regista Andrea Cresti al duo Giampiero Giglioni e Manfredo Rutelli (cui fa riferimento il titolo Stato Transitorio).

Una storia semplice, contornata da momenti drammatici e umoristici, che vede pirandellianamente gli attori e le attrici interpretare sé stessi (gli abitanti di Monticchiello) alle prese con l’allestimento dello stesso spettacolo. Nel dibattito tra le varie anime (qualcuno dice che bisogna cambiare per andare avanti, altri rimpiangono il passato e criticano la svogliatezza delle nuove generazioni, altri si spingono sul solco dell’autocritica), Stato Transitorio muove un lungo racconto di episodi di vita autentica – tra Seconda Guerra Mondiale e crisi del modello sociale ed economico fondato sul rapporto diretto con la terra – che caratterizzano il paesino toscano, mentre si attende il ritorno della meglio gioventù del paese andata a Roma per manifestare al Fridays for Future e che riuscirà infine a chiudere il metaforico buco del palco lasciato aperto proprio dallo stato transitorio in cui Teatro Povero si trova.

Un progetto, che dal punto di vista squisitamente artistico, ha brillato in particolare nella prima parte (di rara intelligenza metateatrale nel restituire, anche in maniera ironica, la crisi e il disorientamento dovuto al cambio di regia e alle conseguenti incertezze che in fasi come questa potrebbero farsi strada, instillando perplessità e mancanza di fiducia), meno nei macchinosi rimandi alle tematiche dell’ecologismo e, soprattutto, nel forzato finale.

Tuttavia, anche così facendo, Stato Transitorio dimostra di sapere andare al di là della mera rappresentazione e narrazione autocompiaciuta di sé, di farsi Teatro della Crisi ed essere capace di accogliere in sé un’originale modalità di messa al servizio di ciò che conta davvero, ossia la ricerca – potente e coerente – del proprio stare al mondo attorno alla spaccatura sociale e identitaria di una piccola, ma unica e coesa comunità valdorcina.

ringrazio Giuliano Toma per la collaborazione e la consulenza artistica nella stesura di questa recensione

Lo spettacolo è andato in scena
Piazza della Commenda, Monticchiello
da sabato 20 luglio a mercoledì 14 agosto
alle ore 21.30

Stato Transitorio
regia Giampiero Giglioni e Manfredo Rutelli
di e con gli abitanti di Monticchiello