L’infinito universo bollaniano non smette di emozionare

Logo Ftgb PiccoloIl genio di Stefano Bollani ritorna a Brescia e lo fa con grande stile. Il Teatro Grande della città ha ospitato infatti, il 26 gennaio scorso, una serata di piano solo dove il grande pianista milanese ha incantato il pubblico con il suo consueto repertorio

Si sorride, ci si emoziona, si viaggia. E si ride, moltissimo. Un concerto di “piano solo” di Stefano Bollani rappresenta un momento di grande musica e di intensa serenità. E l’amore che la nostra rivista e, in particolar modo di chi vi scrive, nutre verso l’universo Bollani, ci spinge a seguirlo da moltissimi anni, tanto attraverso le innumerevoli produzioni discografiche quanto negli innumerevoli live che abbiamo avuto la fortuna di vivere nel corso degli anni. Riassumere il percorso di questo artista è impresa assai ardua, financo impossibile. Troppe sono le linee direttrici di questo milanese appassionato di jazz, diplomato al conservatorio Luigi Cherubini di Firenze nel lontano 1993. Da quel momento, gli interessi ed i campi della musica (e non solo) toccati da Stefano Bollani si sono moltiplicati fino a creare un percorso rizomatico che non smette di germinare ovunque ed in continuazione. Dalla musica leggera e pop, al jazz raffinato a quello più sperimentale, dalla musica classica fino alle imitazioni dei colleghi musicisti, Bollani riesce ad adattare e a lavorare il suo pianoforte con stupenda maestria. Ogni incontro con la sua musica è un incontro meraviglioso dove, cioè, la meraviglia ci sorprende come mai ci aveva sorpreso in precedenza.

Ed è stato anche il caso del bellissimo concerto di Brescia, che si è svolto nella prestigiosissima cornice del Teatro Grande, nel centro della città. Un set inaugurato dolcemente da Cheek to Cheek, vecchia canzone scritta da Irving Berlin per Fred Astaire et Ginger Rogers che, nella versione di quella sera, sembrava accompagnarci delicatamente nell’universo di Bollani. Una volta all’interno, non si vuole mai più uscire. Questa volontà si realizza perfettamente grazie alle due composizioni successive, Galapagos e Creatura Dorada, due pezzi scritti dal pianista e dove ci si trova immersi in delicatissime dichiarazioni d’amore.

Bollani ha sempre nutrito un grandissimo amore per Napoli e per tutto quello che questo nome evoca come cultura e atteggiamento vitale (due album recenti come Arrivano gli alieni e Napoli Trip lo dichiarano in maniera eccelsa). Ma, secondo le non sempre fidatissime parole del Nostro, vi sono anche altre passioni che muovono i sui interessi e che lambiscono il golfo di questa città: la nanotecnologia e la società ricorsiva. E, per condensare questo amore e queste passioni, Bollani ha deciso di scrivere una canzone tanto ironica quanto profetica ed inquietante: Microchip, dove la strofa «tecnologia è per il nostro bene/‘U microchip, ‘U microchip/te ‘o metto ‘n capa e te ‘o metto ‘n…» dice molto. Forse troppo.

Poi, d’un tratto, appare il fantasma di Jannacci con la sua Sopra i vetri, pezzo del 1964 in grado di mescolare una melanconia da post-rottura amorosa con un’ironia assurda «Per te/ mi faccio un buco qui/oppure qui/o qui/ a piacere!/ Ma le cartucce, nel comò non ci son più!/Forse, per sbaglio, le hai portate via/con il mio cuore/ e coi materassi». E’ poi il turno dell’elettrica The preacher di Horace Silver prima giungere alla chiusura del concerto con altre due composizioni personali dell’artista milanese: Siamo tutti figli di qualcuno ed i suoi suoni così anni Venti, e Il Barbone di Siviglia, una lunga cavalcata inebriante che non vorremmo finisse mai.

Bene, concerto finito e tutti a casa? Ovviamente no, il bello può iniziare adesso. Tre saranno i ritorni sul palco di Bollani richiamato a forza (ma neanche troppo) da un pubblico che lo ama. Si parte con un medley formato da dodici brani richiesti dagli spettatori. Ovviamente l’accostamento è già di per sé momento ilare, ma quando prende corpo grazie alle sapienti dita del pianista, il lungo brano diviene pura comicità. Per Elisa e Disco Inferno, Rhapsody in Blue e Tico Tico No Fubá “sono chiaramente canzoni che sono nate per stare insieme” e, se ci aggiungiamo un po’ di Nino Rota e Ufo Robot, si giunge alle cime dell’assurdo.

Potevano mancare le imitazioni tanto care al Nostro? Certamente no, ed ecco apparire un Fred Bongusto cantare un’appassionata e sofferta Mafalda, prima di un omaggio ad un gruppo di culto che ebbe un breve successo a cavallo degli ultimi due decenni del ventesimo secolo, e cioè i pratensi “Edipo ed il suo complesso” con la loro M’e morto il gatto (sulle note di With or Without You degli U2). Si continua, senza soluzione di continuità, con Duccio Vernacoli (uno dei personaggi più belli della trasmissione radiofonica Il Dr. Djambè, condotta insieme a David Riondino) del quale si presenta una carrellata delle sue sfortunate versioni italiane dei grandi successi internazionali. Ce la fo (I Will Survive), Foresti nella notte (Strangers in the Night), My Way (I cazzi mia) e Lascia fare (Let It Be).

Tico Tico No Fubá anticipa la terza ed ultima uscita sul palco che si conclude con l’inaspettata e meravigliosa Mattinata di Ruggero Leoncavallo, un brano che Bollani avrebbe sognato di scrivere. A noi basta sognare di vivere le emozioni che questo genio del pianoforte riesce a provocarci ogni volta. Ed ogni volta, come fosse la prima. Grazie Stefano.

Il concerto si è svolto:
Teatro Grande
Corso Zanardelli, 9a – Brescia
Venerdì 26 gennaio 2018

Fondazione del Teatro Grande di Brescia ha presentato
Stefano Bollani – Piano Solo

www.teatrogrande.it
www.stefanobollani.com