Talassemia: la malattia che vien dal mare

isolacasateatromilanoL’Isolacasateatro di Milano ha permesso al suo piccolo Tamburino talassemico di ritornare finalmente a casa.

Nel celebre cartone animato della Disney, Bambi, Tamburino è il coniglietto, il migliore amico del protagonista, colui che gli insegna a parlare e a camminare.

In questo spettacolo di Alessandra Ventrella, con la regia di Manuel Renga e la dolcissima interpretazione di Davide Lorenzo Palla, il ruolo del fedele leporide è affidato invece a un diario.

È sulle sue pagine, infatti, che il piccolo paziente, il protagonista di questo lavoro già presentato con successo alla Scuola Civica di Arte Drammatica Paolo Grassi, dipinge la realtà che lo circonda, che è quella dell’ospedale e della malattia.

Il bambino soffre di un male – la talassemia – che non sa nemmeno pronunciare, che evoca etimologicamente quegli abissi marini, quei vortici dal sapore salmastro in cui si sente precipitare. È un mare (thálassa significa mare) che separa il suo Ulisse da Itaca, dal calore di una casa.

Ogni giorno l’infermiera Cinzia, un nome senza volto che il piccolo descrive di corporatura corpulenta e ben poco delicata, lo consegna nelle terribili e temibili mani del professor Rovello, il medico che si occupa del suo caso. La lontananza dalla sua famiglia, le continue trasfusioni di sangue cui è sottoposto e l’avere come unico interlocutore il suo diario generano nel bambino la creazione di un mondo tutto suo, di un universo parallelo in cui porsi domande e cercare risposte rispetto a ciò che gli sta accadendo e che non riesce a capire.

Ecco allora che nei “globi rossi” si annida il nemico da combattere, sempre che il professor Rovello sia davvero un alleato in questa lotta e non invece l’ideatore di un piano segreto che lo trasformerà in un robot. Forse anche lui non è altro che un alieno che vuole portarlo via, renderlo una macchina da porre al suo servizio.

Sono queste le fantasie che il piccolo paziente condivide per un po’, oltre che con il suo fedele diario, con un’altra giovane degente, la cui malattia, che lui trova romanticamente speculare alla propria, riguarda invece i “globi bianchi”. Questa spensierata danza della compensazione globulare, fatta di giochi e teorie su fantomatici alieni e spazi infiniti da esplorare come astronauti, è però ben presto arrestata dal trasferimento della bambina in un altro ospedale e dalla notizia successivamente comunicata al piccolo: “Carlotta è mancata”. Una mancanza per lui inspiegabile, che però risuona come un vuoto e come un presagio.

Le tende di plastica che suddividono lo spazio scenico scandiscono le timide e delicate movenze di Davide Lorenzo Palla, il protagonista che striscia tra i veli che separano la vita dalla morte. Tra musiche di repertorio di vecchi spot pubblicitari, palloncini che esplodono e Tamburini che rappresentano sogni d’infanzia spezzati, il confine tra fantasia e realtà, sogno e incubo si fa sempre più labile.

Proprio i sogni che il piccolo paziente confida al proprio diario sono, freudianamente, la chiave che ci consente di entrare nel mondo del bambino. La sfera onirica di un’infanzia segnata dall’invasione della malattia è la ciliegina sulla torta di questo spettacolo. Mari che inghiottono talassemicamente questo eroe atipico, cadute inarrestabili, sangue che cola, il tutto raccontato con le parole di chi di Freud non saprebbe nemmeno pronunciare il nome.

L’ultimo sogno sembra il presagio di un addio: l’acqua invade la stanza, fino a coprire il letto su cui è disteso il piccolo paziente. Una agonia di chi si sente sempre più sospeso, lontano e staccato dalla realtà, di chi sembra aver intrapreso la via per l’ultimo viaggio. Ma questo siamo noi a pensarlo, spettatori che Freud l’hanno più o meno masticato. È la nostra lettura, non quella di chi l’ha scritta sul proprio diario.

Nel momento in cui il pubblico con il proprio bagaglio ermeneutico ha già staccato la spina del bambino e ha già la lacrima che scende, ecco il coup de théâtre che chiude lo spettacolo come si era aperto. Nell’angolo in cui inizialmente il riuscitissimo uso delle luci illuminava un professor Rovello alle prese con la sua prima trasfusione, ora troviamo, una cinquantina di anni dopo, un nuovo medico, l’astronauta di domani, il Tamburino di nuovi piccoli pazienti.

Uno spettacolo in grado di far (ri)tornare bambini per un attimo, di far perdere le parole, trasfigurando linguaggi, verità e certezze acquisite. Renderci conto che ci può essere un’ottica diversa con cui guardare il mondo e, soprattutto, la sofferenza. E che, a volte, anche la morte si può vincere con sogni ingenui da astronauti.

Lo spettacolo è andato in scena
Isolacasateatro
Via Jacopo Dal Verme 16 – Milano
Venerdì 10 gennaio 2014, ore 21.00

Tamburino
di Alessandra Ventrella
regia Manuel Renga
con Davide Lorenzo Palla