Non c’è peggior cieco di chi non vuole vedere

Dopo il successo riscontrato a Vienna con questo spettacolo, Luc Bondy riporta Molière a Parigi e gli regala una nuova voce. Al teatro Odeon, che il regista svizzero dirige dal 2012, è in scena un fresco, ironico Tartuffe, che ci parla col linguaggio contemporaneo permesso dalla ri-traduzione del testo dal tedesco al francese.

Bondy non dà particolari interpretazioni o direzioni al testo. Lo lascia parlare, offrendogli solo una voce più moderna, che lo renda forse più attuale: così, ritraduce in francese, dalla traduzione tedesca usata per andare in scena a Vienna.
Siamo nella seconda sala dell’Odeon-Théâtre de l’Europe: il moderno Atélier Berthier, una volta deposito dell’Opéra Garnier. La scena è un’ampia cucina, col pavimento a scacchi, un grande tavolo bianco apparecchiato, in fondo le scale che danno verso altre stanze della casa, in alto intravediamo il corridoio del secondo piano. Tutto è luminoso, ordinato, pulito. Poco alla volta la famiglia si riunisce per far colazione in silenzio, scambiandosi sorrisi educati. Qualcosa turba l’apparente serenità: Orgon, il padre, ospita da qualche settimana un certo Tartuffe, un homme de bien, conosciuto in chiesa, apparentemente molto devoto, con cui condivide la fervente religiosità e a cui dedica ormai tutto il proprio interesse, la propria fiducia, il proprio affetto… i propri soldi e il proprio testamento. Addirittura, ha deciso di dargli in moglie la figlia, Marianne, già teoricamente “promessa” al giovane Valère. Così i figli, la moglie Elmire, il cognato Cléante, la domestica Dorine, si scagliano contro di lui che, da “padre assoluto” è diventato addirittura tiranno a causa di questo cieco amore per l’intruso Tartuffe. Impossibile convincerlo a parole. L’unica maniera sarà farlo assistere di nascosto ad un incontro tra il presunto devoto, che pare tanto votato a dio da credere difficilmente a qualsiasi suo interessamento alle cose terrene, e l’affascinante Elmire. Da sotto il tavolo, Orgon assisterà incredulo alle avances del suo fidato amico, lo vedrà gettarsi sulla moglie e cercare di spogliarla, assalito da un desiderio esagerato e viscido. Ha bisogno di tempo per poter credere ai propri occhi: lui – che si è tappato le orecchie di fronte agli avvertimenti della propria famiglia, che ha voltato le spalle a coloro del cui affetto poteva esser certo, per difendere a spada tratta un impostore – lui ora non riesce ad intervenire, pietrificato, assiste inerme e interviene all’ultimo momento, quando le mani di Tartuffe sono andate già ben oltre quello che Elmire avrebbe consentito per questa dimostrazione. Anche il regista esagera forse nello spingere gli attori ad un esacerbato corpo a corpo. Poi finalmente Orgon esce dal suo nascondiglio, le carte sono scoperte e l’homme de bien rivela il proprio volto, minacciando il suo benefattore di cacciarlo di casa: ha in mano i documenti per dimostrare che ora l’abitazione gli appartiene.
Mentre il padrone – ex padrone – di casa si dispera davanti all’evidenza, arriva Madame Pernelle, madre di Orgon. Lei, che ha sempre parteggiato per il figlio e per il devoto ospite della casa, ingiustamente osteggiato da tutti, ora non può credere a ciò che le viene raccontato. Lui le urla “l’ho visto con i miei occhi”, lei risponde che non bisogna fidarsi delle apparenze. Ricorda il mito della caverna di Platone: Orgon stesso non voleva vedere altro che le ombre ma è stato forzato a liberarsi e a vedere la luce e le vere forme – ora che torna nella caverna a svegliare la madre, non riesce a convincerla. Una sottile dialettica tra credere, non voler credere, non essere creduti. Così che la verità si complichi e diventi meno ancora credibile. Basta un velo sottile (le parole di devozione che sono sempre uscite dalla bocca di Tartuffe) per coprire un volto; basta una passione smodata per rendere ciechi e sordi. Forse sarebbe più interessante chiedersi quale urgenza possa spingere a volersi coprire occhi e orecchie. La risposta può essere intuitiva: la famiglia di Orgon è composta da personalità ed esigenze diverse, tensioni interne, incomprensioni, lontananze e vicinanze – insomma, richiede ascolto e complessità. Tartuffe è una verità sola, un dogma da difendere di fronte agli altri, miscredenti, un dogma in cui cullarsi e sentirsi forte e innamorato. Non serve interpretare la passione di Orgon come amore omosessuale, basta pensarlo come amore per il dogma, che dona entusiasmo ma permette di riposare il pensiero e abbandonare il dubbio.
Molière regala il lieto fine: la “verità” viene fuori chiara e semplice, Orgon può tenersi la sua casa – e la sua famiglia – e Tartuffe viene arrestato. L’impostura è sfatata, il padre di famiglia torna a vedere e a comunicare con la famiglia.

Après le succès obtenu à Vienne avec ce spectacle, Luc Bondy fait retourner Molière à Paris et lui offre une nouvelle voix. Au théâtre de l’Odéon, dont le metteur en scène suisse est directeur depuis 2012, il met en scène un frais, ironique Tartuffe, qui parle avec le langage contemporain permis par la re-traduction du texte de l’allemand en français.

Lo spettacolo continua:
Les Ateliers Berthier | Odeon – Théâtre de l’Europe
1, rue André Suarès – Parigi
fino a venerdì 6 giugno 2014
orari: da martedì a sabato ore 20.00, domenica ore 15.00
(durata 2 ore circa)

Odeon – Théâtre de l’Europe presenta
Tartuffe
di Molière
regia Luc Bondy
con Gilles Cohen, Lorella Cravotta, Léna Dangréaux, Victoire Du Bois, Françoise Fabian, Jean-Marie Frin, Laurent Grévill, Clotilde Hesme, Yannik Landrein, Micha Lescot, Yasmine Nadifi, Fred Ulysse, Pierre Yvon
scenografia Richard Peduzzi
costumi Eva Dessecker
trucco Cécile Kretschmar
luci Dominique Bruguière