È iniziata la stagione del teatro Officina

teatro-officine-milanoQuasi superstite di un momento storico che sembra confinato ai ricordi, nel piccolo spazio di via Sant’Erembardo, continua a celebrarsi il rito di un teatro civilmente e politicamente impegnato, ove le istanze sociali e il messaggio evangelico trovano una sintesi, all’insegna della solidarietà, l’ascolto, l’attenzione alla diversità e alla sofferenza.

Le conferenze stampa del Teatro Officina hanno delle caratteristiche particolari. Vi si respira un’atmosfera di anacronistica, ma accattivante utopia; ci si sente proiettati in una stagione antica, quando si adoperava, anche con autoironia, il termine “cattocomunista”; quando “fare politica” non significava attaccare o difendere Berlusconi, ma vivere un engagement ove trovavano posto termini come giustizia, solidarietà.
La presentazione della stagione 2013/14 tenutasi il 16 settembre scorso nei piani alti del Palazzo Reale di Milano non ha fatto eccezione. Massimo De Vita ha ricordato che il Teatro Officina, col suo logo che richiama una chiave fissa da meccanico, è nato da un gruppo di studenti ed operai, ed appare fiero di quelle radici, mai rinnegate.
In apertura, ha voluto ricordare, in ordine sparso, noti e meno noti, i personaggi che hanno affiancato il Teatro Officina nei suoi quarant’anni di esistenza: il contastorie Antonio Bozzetti, l’operaio della Falck Giuseppe Granelli, Ivan Della Mea, i cavallari della Lomellina, scrittori e poeti ormai in età, ma ancora in trincea, come Sandro Bajini e Franco Loi; e ancora don Colmegna della Casa della Carità, l’Orchestra di via Padova, altre nuove compagini dai nomi curiosi (Malapizzica, Mondoorchestra), i volontari del Gruppo Abele di don Ciotti che lavorano in Africa, Emergency.
La crisi, afferma De Vita, è più culturale che economica: oggi c’è, più che mai una domanda di relazione umana, di coesione sociale, e a queste istanze etiche e civili vuol dare risposte un progetto costruito e realizzato con cura artigianale, come ha riconosciuto l’assessore Filippo Del Corno, nel suo augurio, non formale, di lunga vita all’Officina.
La stagione 2013/14 si intitola: “Io sono gli altri”, ed è improntata a un’attenzione ai diversi, alla disabilità, al dramma del lavoro e a quello degli sbarchi, ai fatti di Rosarno; prevede laboratori rivolti a genitori di ragazzi con difficoltà; si avvale di una collaborazione stretta con altre due istituzioni teatrali, il cui statuto ideale è consonante con quello dell’Officina: la Cooperativa e ATIR.
14 spettacoli, di cui 7 prime assolute (per i dettagli si rimanda al sito: www.teatroofficina.it), ove troviamo le tragedie dell’Africa, con il griot senegalese Mohamed Ba e una regia di Mamadou Dioume, l’attore che ha lavorato con Peter Brook; i testi di Medicina Narrativa, scritti da medici e operatori della sanità (non più “unità”, ma “azienda”, osserva con amara ironia De Vita); un concerto di canti di tradizione e di denuncia, Non ce n’è per nessuno; ma anche la rivisitazione drammaturgica di un classico della letteratura, che parla anch’esso di sofferenza e solidarietà, La morte di Ivan Ilič, di Tolstoj.
L’apertura della stagione prevede un lavoro legato a quegli anni di fermento etico e sociale, cui si faceva riferimento, a una figura cara al Teatro Officina e già visitata in passato: Giovanni XXIII. In scena dal 4 all’8 ottobre, Il suo nome era Giovanni rievoca il personaggio del Papa buono, che la sobria scrittura di Roberto Carusi e la misurata regia di Antonio Grazioli restituiscono nella sua identità familiare, di figlio di contadini, nato e morto povero, ma anche nei momenti ufficiali: il Concilio Vaticano II, l’enciclica Pacem in Terris. Uno spettacolo delicato, fin dalla tonalità terrose dei costumi, nelle soluzioni luministiche e scenografiche, pur di grande suggestione, come quel Crocifisso, che sembra costruito col fasciame del relitto di una barca; una drammaturgia soffusa di un affetto e di una tenerezza che non cedono mai ai toni trionfalistici dell’agiografia. Sulla scena, Massimo De Vita è affiancato da Daniela Airoldi e da due giovani usciti dalla bottega dell’Officina, Stefano Grignani e Anna Luisa Iodice: voci e presenze che rievocano le diverse stagioni della vita di “Angelino” Roncalli.
De Vita insiste su alcuni principi cardini dell’etica – e della poetica – del Teatro Officina: non lavorare “per”, ma lavorare “con”; “stare sul territorio”, ascoltare le richieste che provengono dal basso, dalle individualità. Concetti felicemente sintetizzati dal sottotitolo della stagione: “Memorie teatrali di amicizia, sofferenza, ospitalità”.

Lumpatius Vagabundus