L’inutile viaggio

Al Teatro Argot, è andato in scena The Black’s Tales Tour, la prima, inconsistente, drammaturgia firmata, diretta e interpretata da Licia Lanera dopo la lunga esperienza di Fibre Parallele.

L’esplicito manicheismo morale e l’indicazione di pattern educativi volti a indirizzare dall’interno la psiche infantile sono solo due degli aspetti, forse i più palesi, che accomunano narrazioni fiabesche che, tra identità e differenze, attraversano storie e civiltà lontane nel tempo e nello spazio. La necessità di un destino drammaticamente opposto a un libero arbitrio negato (happy ending o morte), la costruzione di un sistema gerarchico sociale e familiare volto all’emancipazione ma associato alla kalokagathìa (la perfezione fisica e morale) sono meccanismi che appaiono paradossali in apparenza e che, solo in parte, ne restituiscono il complicato funzionamento disciplinare.

Nelle fiabe, e nel sogno – e non a caso le atmosfere di The Black’s Tales Tour, per l’associazione alle notti passate insonni e per le predominanti sonorità e tonalità dark, richiama direttamente un’ambientazione onirica – a essere protagonista è la storia romanzata della coscienza un passo prima che essa si riconosca spirito, dunque individualità non ancora in armonia con se stessa perché in conflitto con la stratificazione del proprio lato oscuro in una rimossa regione psichica, l’inconscio.

Tornare alle fiabe da adulti per risalire la corrente che porta alle proprie radici è allora un percorso che, per quanto possa essere lastricato di buone intenzioni, non risulta quasi mai essere indolore.

Se conoscere se stessi e avere consapevolezza di ciò che si nasconde dietro le proprie maschere – mostrate non tanto all’esterno, quanto all’interno (quell’apparenza raccontataci dal principe azzurro senza il quale la vita non è degna di essere vissuta all’amore che deve trionfare sulla morte) – conduce ad affrontare demoni che dimorano nella propria intimità, allora cercare di indagare i motivi per i quali siamo quello che siamo e comprendere i condizionamenti cui siamo stati sottoposti (spesso a nostra insaputa visto che la richiesta di una lettura specifica viene fatta quando ormai è troppo tardi) trova nei racconti di formazione infantile la sorgente di responsabilità esemplari.

Purtroppo nulla, o quasi, di questa complicata faccenda viene toccato da The Black’s Tales Tour e da un’ambizione sembrata eccessiva rispetto agli attuali mezzi espressivi mostrati da Licia Lanera, apparsa ancora e in gran parte debitrice del retaggio di Fibre Parallele. The Black’s Tales Tour, avanguardistico nelle intenzioni (ribaltare la vulgata fiabesca), è un esempio di teatro performativo che ha ben poco di sperimentale, uno spettacolo dalla forte impronta autobiografica («per me, che soffro d’insonnia, tutte le notti arriva un tempo magico e inquieto e questo tempo, per una sera, voglio condividerlo con gli spettatori») ma debole sia nella dimensione lirico-personale sia in quella antropologica.

La scena è buia, dalle sue oscurità emergono i lamenti di chi vive «un tempo che è pericoloso per chi non dorme» e, mentre tra le pieghe di un body di lattice e scarponi, tutto rigorosamente nero, se ne intravede lentamente la figura, la musica, incalzante e ridondante, ne riempie ogni vuoto. È questo l’incipit di The Black’s Tales Tourun parto traumatico, ma bellissimo, rimasto però embrionale, durante il quale scopriamo una protagonista vivere notti senza sogni e, per questo, abbandonarsi a racconti lontani dalle celebri trasposizioni cinematografiche, ma – senza che la Lanera se ne accorga – analoghi nel discriminare e associare moralisticamente figure e colori (vecchi, bambini, oro, rosso, bianco, ecc). Ammettendo pacificamente e pericolosamente l’identificazione (per esempio) del nero con il male e la paura, trascurando come ciò avvenga esclusivamente dal punto di vista della tradizione culturale di riferimento, la Lanera inciampa infatti e da subito su un assunto che, da un’artista di tale levatura e da uno spettacolo con simili premesse, non ci si aspettava venisse acriticamente avallato.

Le varianti che Licia Lanera utilizza sono, infatti, «presentate in tutta la verità della loro versione autentica», dunque comprensive di dita, talloni e piedi mozzati (Cenerentola, Scarpette Rosse), di personalità anonime (La Sirenetta) e comunque non «spogliate della loro parte edulcorata e consolatoria tipica del mondo dei bambini». Ma l’intenzione demistificatoria di The Black’s Tales Tour non si accontenta di un’esposizione puramente verbale (che pure ne rappresenta una componente sostanziale), perché «racconta incubi notturni e storie di insonnia, per parlare di alcune donne, delle loro ossessioni, delle loro manie, delle loro paure» attraverso la manifestazione fisica di un corpo mosso con caos calmo, frenetico nella danza, compulsivo negli strappi vocali (con cui distorce e lacera il contenuto testuale) e inchiodato al centro della scena a ribadirne l’assoluto protagonismo.

Decostruite senza soluzione di continuità «le fiabe che conosci da sempre» (La Sirenetta, Scarpette rosse, Biancaneve, La Regina delle NeviCenerentola), The Black’s Tales Tour intende allora presentarsi quale operazione auto-terapeutica, «scusa per dire di te […] ciò che mai, altrimenti, avresti avuto il coraggio di dire» per prendere «in giro me stessa: la star. La star decomposta, la reginetta depressa».

Dal punto di vista prettamente drammaturgico, ammesso che qualcuno possa autoproclamarsi star e reginetta, se l’operazione funziona in termini di omogeneità e fisicità, tuttavia patisce l’eccessiva e testarda coerenza linguistica con cui, per un verso, ricerca «una dimensione a metà tra l’onirico e il reale» e, per l’altro, caratterizza come pedante fil rouge i diversi personaggi delle storie. Più che l’eccesso di monotonia espositiva, compensata in parte dall’ambiente sonoro (nonostante la discutibile scelta di un lungo stralcio dalla splendida Speechless di Lady Gaga) e soprattutto dalla suggestiva intuizione di un’interpretazione tridimensionale (la protagonista è la stessa Lanera mentre interpreta un personaggio che interpreta la stessa attrice pugliese), sorprendono in negativo la povertà del processo creativo e la totale deriva di uno spettacolo biografico nell’autoreferenzialità, ossia nella messa in mostra e non in scena di sé.

Stucchevole fin dalla scelta di un titolo scritto in un inglese sgrammaticato solo per omaggiare la propria autrice (the Black’s means Lanera), The Black’s Tales Tour attinge a piene mani dal repertorio fiabesco, cui, però, la drammaturgia si riduce senza proporre una veste registica capace di andare aldilà o aldiqua di un sostenuto e prevedibile atto performativo.

Giocando vocalmente con i testi originari (ammesso che così possano essere chiamati, visto che alcuni di essi hanno diverse versioni e autori imprecisati) e spettacolarizzato eroticamente il corpo, incespicando nel banale tentativo di spiegare e mettere ordine alle proprie paure per esorcizzarle, The Black’s Tales Tour non solo vede depotenziato e normalizzato l’orrore che pure vorrebbe testimoniare, ma finisce per ridursi a contraddittoria operazione di stile. Riconosciuto l’aspetto archetipico delle fiabe («il pre-visto, il pre-detto […] la letteratura genuina dei più profondi sentimenti umani»), Licia Lanera sposa, infatti, con una certa ingenua linearità e senza particolare sforzo creativo una prospettiva catartica identificata romanticamente e deterministicamente nella presunta purezza di «quello che eri da bambino e quello che sarai da adulto». Ed è proprio l’assenza di una autentica profondità nell’affrontare la tematica, accanto a una sorprendente mancanza di originalità nella trasfigurazione artistica, un dettaglio non indifferente per una valutazione serena di un allestimento dalle indubbie potenzialità estetiche, ma confuso sul piano dell’intenzione e disfunzionale su quello della restituzione.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Argot
via Natale del Grande 27, Roma
dal 2 al 4 febbraio 2018
ore 20.30, domenica ore 17.30

The Black’s Tales Tour
di Licia Lanera
sound design Tommaso Qzerty Danisi
luci Martin Palma
scene Giorgio Calabrese
costumi Sara Cantarone
consulenza artistica Roberta Nicolai
organizzazione Antonella Dipierro
regista assistente Danilo Giuva
regia Licia Lanera
produzione Fibre Parallele
coproduzione CO&MA Soc. Coop. Costing & Management
con il sostegno di Residenza IDRA e Teatro AKROPOLIS nell’ambito del progetto CURA 2017ù
durata 60′