Il coraggio di sé

Va in scena al Giglio di Lucca, The Pride, di e con Luca Zingaretti. Nel pomeriggio, anche un incontro con l’interprete.

Siamo costantemente bombardati dall’ansia, da guerre e stragi che si consumano a due ore di gommone da qui. Io porto in scena una storia d’amore. Queste sono le parole con le quali Luca Zingaretti introduce al pubblico lo spettacolo. Sono le 18.00, la notte cala presto, abbracciando il teatro intero. Telefoni cellulari sorgono tra i campi di teste, cercando di imprimere i volti. Con tutte queste cortine di mura, di capelli e tappezzerie, Lucca è più bomboniera del solito.
Interpretazione italiana del testo di Alexi Kaye Campbell, The Pride approda sui nostri palcoscenici nell’apprensione dei più. Così Zingaretti afferma, quando racconta della titubanza di collaboratori e amici, intimoriti tutti da una pièce che pretende di fissare il sole, presentando alla ribalta una tematica che sembra ci sconquassi più dei tremendi terremoti. Non viene a fare il paladino dell’omosessualità, afferma Zingaretti, che continua domandando allo spettatore a che punto della sua vita ritenga di essere giunto, se abbia fatto le scelte giuste, se sia riuscito a capire chi è realmente.
The Pride affianca due storie cronologicamente lontane – 1958 e 2015. Una Londra cangiante fa da cornice a entrambe. Alla realtà di Philip, cittadino sposato dello scorso millennio, innamorato suo malgrado dello scrittore Oliver, si contrappone il presente più libero, più spigliato di una coppia contemporanea, Philip e Oliver anch’essi – apparentemente incomparabili. Finché l’occhio non si abitua alla nebbia, squarciandone il velo alla visione. Arriva sempre il momento della comprensione, a teatro e nella vita. A poco a poco, le redini delle vicende s’intrecciano tra loro, sotto il segno dello stesso dio: la consapevolezza. E mentre il Philip del secolo passato non è in grado di scampare ai camici psichiatrici, c’è nella coppia del presente una resa gioiosa di combattente sfinito. “Così è (se vi pare)”, scriverebbe Pirandello. E in tale accettazione, nell’affermazione che non tutto è comprensibile o etichettabile, in tale abbandono è forse il pregio dell’uomo del nostro secolo. Un abbandono che si riflette in un dialogo più disinvolto e terreno, stridente se paragonato al registro della trama del ’58. Là dove il termine “omosessuale” si affaccia sul fiore delle labbra con un suono indeciso, qua trabocca nelle sue varianti più informali, quando non offensive: gay, finocchio, frocio. E se è autentica quella teoria che pretende di togliere alla parola maledetta il suo potere mediante il semplice, continuo utilizzo, tale trattamento lo si può applicare anche ai fatti della vita. E l’appostarsi in un parco per praticare fellatio a sconosciuti diventa spicchio infinitesimale di una realtà ormai accettata.
Sempre sul registro linguistico, Zingaretti dichiara di aver ricevuto critiche negative in merito. Non lesina nel rammentare il turbamento di un pubblico ancora gonfio di un’idea prettamente borghese del teatro, teatro in cui sesso e turpiloquio sono ancora malvisti e sul cui sdegno si è particolarmente accanito il panorama inglese. Ma è lo stesso regista ad affermare che se si vogliono rappresentare due uomini in un salotto che parlano di sesso, quello è il linguaggio.
Forte di un testo incisivo, The Pride si serve di una scenografia semplice e tradizionale. Lascia qualche perplessità il sistema utilizzato per demarcare le situazioni contemporanee da quelle del ’58: un pannello bianco che definisce, nel primo tempo, la realtà del 2015; e, nel secondo, quella del secolo scorso. Pochi gli indizi che possano portare a un’interpretazione certa – ammesso che una ve ne sia – se non il fatto che, mentre il Philip e l’Oliver del passato giungono a smarrire quel riconoscimento-accettazione del proprio sé che avevano al principio (e il bianco pannello non turbava il loro spazio), per la coppia a noi più vicina vige un processo inverso, tipicamente da commedia. Alla luce di ciò, la presenza del telo bianco potrebbe riportare al sentimento di depersonalizzazione e decontestualizzazione di un io represso, ma, come detto in precedenza, si hanno pochi elementi di osservazione che possano darne conferma.
Tutto quel che rimane è uno spettacolo gradevole, sebbene non rivoluzionario. In linea con uno Zingaretti che elogia un teatro più vicino alla vita e all’immediatezza umana. Interpreti bravi, senza che qualcuno superi gli altri – sebbene Alex Cendron dimostri un certo virtuosismo nell’impersonare, prima, un omosessuale e, dopo, un medico che curerebbe la “devianza”. Valeria Milillo, unica donna del cast, più amica che moglie per il Philip novecentesco; più moglie che amica per l’Oliver contemporaneo; ha una recitazione nervosa. Di Maurizio Lombardi, tanto alto quanto fragile, si coglie un modo di fare un po’ pacato e un po’ incontrollato, che è caratteristico dei fanciulli. Zingaretti giganteggia senza scomporsi.
The Pride è una buona via di mezzo che può raggruppare, in una serata piacevole, tanto il popolo salottiero da tv – sempre ammesso che sopporti il registro crudo, ma necessario di determinate scene – quanto quello delle letture in biblioteca – ma quest’ultimo non dovrà presentarsi con aspettative troppo intriganti. Utile nel calare l’italiano medio nell’esistenza mal pensata dell’omosessuale – esistenza che scoprirà quasi interamente identica alla propria – introduce nella storia istanti di crudeltà lucida, che fanno pensare (a tal proposito, intensa la scena conclusiva del ’58, nella quale un Philip ottenebrato dal senso di colpa accetta di farsi ricoverare e sottoporsi a una terapia che distruggerà il suo io, brutalizzandogli il subconscio).
Si potrebbe anche affermare che lo spettacolo sia uno strumento in più per “battere il ferro finché è caldo”. E al pubblico è piaciuto.

Foto di Daniele Romano

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro del Giglio

piazza del Giglio, 13/15 – Lucca
venerdì 4 e sabato 5 novembre, ore 21.00; domenica 6 novembre, ore 16.00

The Pride
di Alexi Kaye Campbell
traduzione Monica Capuani
regia Luca Zingaretti
con Luca Zingaretti, Valeria Milillo, Maurizio Lombardi e Alex Cendron
scene André Benaim
luci Pasquale Mari
costumi Chiara Ferrantini
musiche Arturo Annecchino
produzione Zocotoco