Übertheater (L’oltreteatro)

Visto al Teatro Tordinona di Roma, segnaliamo la recensione dello spettacolo (da vedere e rivedere ancora un’altra volta) di Caterina Gramaglia: The white room, pubblicata sul sito partner Pisa è Cultura.

Al Teatro Tordinona di Roma è protagonista una autrice, regista e interprete nata a Pisa con tutte le carte in regola per volare alla conquista del New York Fringe Festival. Non una performance, non uno spettacolo, né una qualsiasi altra forma di rappresentazione canonica. In scena splende l’arcobaleno che colora la mente, l’anima e il cuore di Caterina Gramaglia raccolto in un bianco e luminosissimo raggio luce che inonda l’estasiato e numeroso pubblico in sala.

Ci sono eventi che sorprendono e lasciano disarmati. Impressionanti per concepimento e sconcertanti per realizzazione, tali rappresentazioni sono occasioni ben più rare delle iridi celesti che si possono scorgere quando gocce d’acqua di una precedente pioggia vengono attraversate dalla luce del Sole.

Rispetto a esperienze come quella vissuta con The white room, la razionalizzazione attraverso la parola si scopre impotente, quasi inutile nell’intento di conservare di essa il quid fondamentale.

A colpire con forza d’urto inesprimibile e travolgente nel caso di questo Premio Special off – Roma Fringe Festival 2013 che rappresenterà l’Off italiano al Fringe Festival della Grande Mela, non sono affatto le radici culturali, pure autorevoli. Di fronte alla eccezionalità della presenza scenica della protagonista, passano (quasi) incredibilmente in sottotraccia diverse evocazioni di altissimo livello. Come le dense e stupefacenti visioni – dagli espliciti richiami felliniani – di una surrealtà popolata da imprevedibili personaggi e i riferimenti junghiani all’inconscio dei processi di evoluzione della psiche e di individuazione della personalità.

Un’analogia filosofica poderosa perché, convergendo in modo figurato su quegli stessi personaggi (il cui numero, così come la durata e gli altri aspetti tecnici dell’allestimento, sono variabili a seconda della serata), riesce a dare letteralmente corpo a «una cantante lirica, la giapponese Suzuky, Bambulè un personaggio con delle bambole e dei led in testa, Nora Duselli un’attrice vecchio stampo, Gelsomina e molto altro ancora», in un instabile oscillare di status tra presenza/padronanza di sé e assenza/mancanza, dunque follia.

Una analogia che, nella forma teatrale, giunge a realizzare un risultato formale di assoluto lirismo, determinando personalità erranti e monadiche, definite nella pratica e infinite nei potenziali sviluppi. Personalità solitarie in cui, limitandola ai singoli quadri di cui si compone The white room, si conserva la natura temporanea di quella guarigione che l’eretico psicanalista svizzero ipotizzava dovesse con-seguire ogni fase di transizione dal sonno al risveglio.

Anche la drammaturgia – pensata in grado di declinarsi a seconda degli ambienti di messa in scena e del diverso pubblico di ogni replica – riesce a prestarsi perfettamente all’intenzione più profonda dell’autrice, ovvero lasciare emergere una percezione allo stesso tempo diffusa (che s-vela e sfida la coscienza tanto dell’interprete quanto degli spettatori) e unica nel senso di vissuta individualmente e privatamente da ogni astante in sala.

Il risultato è inquietante per e nella sua incantevolezza. Se lo sguardo della Gramaglia giunge agli occhi senza mai dare la benché minima sensazione di invasività, è con infinita spontaneità che ogni suo gesto circoscrive varazioni di registro e colore drammatico, mentre con dolce disponibilità arriva all’audace chiusura. Solitamente anticamera della retorica, il lieto fine è invece un’autentica perla per come – in assenza di alcuna ambizione moralistica – riesce a evitare ogni rischio di ipocrisia.

The white room è allora un contesto sfuggente e indefinibile, il cui sviluppo, come recita esemplarmente la presentazione dello spettacolo, «si evolve continuamente, cresce e si modifica con la sua stessa autrice ed interprete […] non esiste solo nel momento della performance ma esiste prima durante e dopo: vive prima grazie alle fotografie e ai video che Caterina Gramaglia realizza costantemente, durante perché prende forma nel momento in cui è in scena e dopo perché continua nell’evoluzione».

E alla protagonista – dalla statura artistica talmente spropositata da sembrare fisicamente un gigante – riconosciamo una maniera mai vista prima di vivere la scena e darle ogni sfumatura della propria personalità, qualunque essa sia.

Una follia lucida in grado di dare sostanza allo spazio esterno attraverso la propria intimità, trasfigurando la semplice stanza bianca che compone la scenografia in un intero mondo interiore.

Chapeau.

Lo spettacolo visto
Teatro Tordinona

via degli Acquasparta 16, Roma

SycamoreTcompany presenta
THE WHITE ROOM
di e con Caterina Gramaglia
scenografia Gaia Giugni
costumi Gloriana Manfra
luci e fonica Marzo Zara

Premio Special off – Roma Fringe Festival 2013
Secondo classificato per il Premio Produzione e Miglior Spettacolo – Roma Fringe Festival 2013
si ringraziano: Rosa Morelli, Mario Toccafondi, Riccardo Bocci, Ilza Prestinari, Gualtiero Burzi, Sebastiano Covone, Bruno Cipriani, Filippo e Tito etc…