To be and be too

Pensiero e bellezza protagonisti della prima proposta della Stagione di Fuori Luogo a La Spezia, ovvero To be or not to be Roger Bernat di Fanny & Alexander. In scena un eccezionale Marco Cavalcoli, che dà prova della sua maestria di interprete in una carambola di Amleti, che si moltiplicano come scintille di un fuoco d’artificio. E lo sguardo si perde.

I primi minuti di conferenza/spettacolo chiariscono da subito un punto molto importante: ascolteremo un personaggio (o assisteremo a uno spettacolo) poliglotta. Si passa dall’inglese al francese, allo spagnolo, all’italiano, mentre chi lo desidera può sempre leggere, in proiezione, il testo tradotto.
Il linguaggio è un gioco, fatto di regole. E come viene dichiarato esplicitamente anche il teatro è un gioco. Un gioco con delle regole. Questa affermazione semplice, chiara, reale e perentoria, è una definizione che mette in ordine tutti i pezzi e chiarisce gli eventuali malintesi che, a volte, possono crearsi con il pubblico: è inutile lamentarsi di non capire il gioco, o di non riuscire a giocare, se prima di tutto non si conoscono (e bene) le regole.
Il plurilinguismo che struttura lo spettacolo è allora metafora e materializzazione comprensibile a chiunque, dello strutturale plurilinguismo del teatro (costituito da più codici e più linguaggi). Solitamente il pubblico accetta solo una declinazione d’uso dei vari linguaggi, quella che va in direzione del naturalismo, del realismo e della narrazione. Tuttavia, questo non è certo l’unico modo di giocare. Ed è inutile pestare i piedi, perché nessuno imbroglia quando le cose si complicano.
Altro aspetto che emerge in modo molto chiaro, durante lo spettacolo, è lo sforzo intellettuale che è necessario quando si tenti di seguire il dipanarsi di più linguaggi: il cervello deve ricostruire le parti mancanti e questa è un’attività faticosa. Eppure, sebbene nessuno si stupisca che non si possa compiere un gesto atletico senza un buon allenamento, si rimane offesi dal fatto di non capire certi spettacoli senza un allenamento altrettanto serio.
To be or not to be Roger Bernat è una scatola magica intellettuale: si ha difficoltà a seguire, talvolta si è anche un po’ smarriti, altre stremati. Capita, forse anche questo fa parte del gioco. In fondo, per sviluppare i muscoli occorre faticare. Ma cosa non si ottiene in cambio?
Così, in questa sala degli specchi si entra inseguendo la figura di Roger, come Alice insegue il Bianconiglio, e via: una volta nella stanza magica, l’immagine di Amleto ci viene incontro, in forme diverse. Gli Amleti assalgono come Zombie che vogliono testare lo spettatore. Avanzano, fanno qualche passo, scompaiono per poi ricomparire altrove – diversi e mutati. L’attore appare come uno strumento musicale, esegue partiture differenti sulla sua pelle. Può essere suonato a comando. Si lascia comandare.
Nell’ascoltare nuovamente la storia di Amleto, si sperimenta (su suggerimento di Roger) la differenza fra storia (conosciuta da tutti, e quindi spesso trattata con superficialità dal pubblico, ovvero mancanza di attenzione ovvero con distrazione) e modo di creare uno spettacolo con quella storia, mettendo in luce la dialettica fra testo/narrazione e realizzazione.
L’esperimento con i quattro volontari attori, scelti tra il pubblico, svela la dialettica fra regola/istruzione e potenzialità, ossia quell’orizzonte di possibilità che si aprono una volta che le strutture elementari offerte dalle norme sono conosciute e acquisite. Grande trovata anche l’interazione con il pubblico attraverso le didascalie: da un lato, materializzazione dei meccanismi di funzionamento di un testo drammatico e di quella specie di eterodirezione che affligge l’attore, dall’altro forzatura alla partecipazione, come in un esperimento di laboratorio con le cavie/spettatori.
In modo un po’ brutale (ossia senza alcuna pietà) si sperimenta anche la volatilità dell’evento teatrale, il suo essere così effimero, perché il tempo che serve per mettere insieme tre lingue in una frase non lascia occasione per trattenere più nulla – alla fine non resta neanche il ricordo della sequenza di parole. “Che cosa ha detto? Cosa voleva dire?”, ci si domanda. Si scopre in azione una sorta di principio di indeterminazione teatrale, per cui se si riesce a cogliere il senso si perde il testo e viceversa (problema valido, in generale, per tutti i codici).
Momenti di leggerezza e di fatica si alternano. Il finale arriva (gradito) ma un po’ brusco. Ma qual è il significato dell’ultima proiezione? Domanda che richiama di getto la presenza dei sovratitoli in italiano, che possono essere visti anch’essi come metafora e visualizzazione di un problema di fruizione, perché lo spettatore di fronte all’uso di linguaggi sconosciuti (o che non padroneggia) vorrebbe sempre una traduzione e una spiegazione (per capire e afferrare tutto, magari in contemporanea con lo svolgersi dell’azione).
To be or not to be Roger Bernat è uno spettacolo di grande complessità, con un livello di fruizione e un livello di analisi che lo rendono una specie di saggio filosofico di semiotica teatrale. Magari un tantino autoreferenziale, ma decisamente interessante e senza dubbio ben realizzato. Ammantato di bellezza e di leggerezza, e in cui i problemi che riguardano l’attore e lo spettatore, la fruizione e la relazione fra spettatore e spettacolo, si trasformano in esperienza viva.
Certo non ci si aspetta (e confessiamolo, neanche ci si augura) che tutte le creazioni teatrali puntino a questo e si esauriscano in queste tipologie di rappresentazione, ma è un bene e una fortuna che vi sia anche questo tipo di lavoro. A ogni artista la sua ricerca e il suo livello di complessità. A ogni pubblico la risposta alle proprie esigenze e, magari, anche qualcosa di più, qualcosa che lo obblighi a mettere in moto il cervello, che lo sforzi, per non lasciarlo intorpidire.

Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito di Fuori Luogo:
Spazio Ex Fitram

La Spezia
sabato 14 ottobre, ore 21.15

To be or not to be Roger Bernat

una conferenza spettacolo di Fanny & Alexander
produzione E / Fanny & Alexander
ideazione Luigi de Angelis e Chiara Lagani
drammaturgia Chiara Lagani
regia Luigi de Angelis
con Marco Cavalcoli
organizzazione Ilenia Carrone
amministrazione Marco Cavalcoli e Debora Pazienza