Puccini ringrazia: finalmente vivo

teatro-verdi-pisa-80x80Pisa, Teatro Verdi. Brividi di piacere e non di freddo per la danza. Tosca X è una vera rivelazione.

Alcuni di noi non hanno atteso altro. Placidi e pazienti, di trito tributo in trito tributo, aspettando che un algoritmo del tutto casuale determinasse il Big Bang sospirato. Perché quando si parla di uno spettacolo richiesto, ripetutamente sognato e visionario, le probabilità che esso si palesi si riducono a coincidenze e incastri che spaziano dalla logica matematica alla chimica. Ma eccoci finalmente qua.

Ne abbiamo già parlato. Puccini è morto, Amen. E da più di novant’anni: il bastante affinché la notizia sia assimilata, il lutto elaborato e la bieca replica impersonale dell’originale scavalcata. E mentre la sua città natale, Lucca, si perde di anno in anno in salottini musicali dal non-gusto (poiché sostanzialmente insapore) britannico neoclassico, da collezionista d’arte, il repertorio pucciniano resta invischiato in una patina di resina, calato in un barattolo di formaldeide, bloccato nel suo fluire organico. Decontestualizzata, l’arte soffre atrocemente.

Diciamolo chiaramente, dunque: il nostro grande compositore necessitava da tempo di una scrollata. Ed eccola. Grazie a Tosca X.

Vi racconteremo una storia. La storia è nota, ma lo faremo lo stesso.

Roma, XIX° secolo. C’è un pittore rivoluzionario; c’è la sua donna, diva della Capitale; c’è un evaso politico, che si rifugia presso di lui; e poi c’è Scarpia, il capo della polizia. Facendo pedinare la donna, Tosca, quest’ultimo ottiene l’arresto degli amanti. E ciò che segue è puro calvario. Poiché Scarpia, soltanto in apparenza interessato all’evaso, punta in realtà a possedere lei. E a Palazzo Farnese il sangue scorre netto, tracciando un triangolo.

Il finale non interessa. E a dirla tutta, neppure l’inizio. Tralasciamo l’elogio di quella Recondita Armonia d’artista, e la bella ma inutile marchesa Attavanti; tralasciamo Castel Sant’Angelo e la lettera del commiato – così stucchevole. Hic sunt leones.

Su di una scenografia nera, sulla quale un tratto di sangue minimale segna l’orizzonte, si snoda la coreografia di Monica Casadei e i corpi di Artemis Danza. Tre i colori, quelli alchemici: bianco, rosso e nero. Ma il nero non si contiene, erompe come un humus creatore abbacinando il pubblico con il pallore dei corpi che esalta – così martoriati e ciònonostante saldi, come prigioni michelangioleschi.

Completamente incentrato sul secondo atto dell’opera, Tosca X ne spoglia la purpurea prosa ottocentesca, parola per parola. Distillato impietosamente, il brano si fa convulso e impersonale. Non rimangono che poche frasi precipitose, ancor più enfatizzate dall’utilizzo del loop, e dell’alterazione vocale, mentre si gioca con il testo come con un collage dada: “Assassino. Assassino. Assassino. Assassino. Muori. Muori. Assassino. Tosca. Voglio vederlo“.

La parola è per molti fautrice di significati; per pochi, decadentissimo elemento musicale. In Monica Casadei diventa lo stesso midollo del ritmo, la pulsazione di fondo, attorno al quale il corpo di ballo, nerissimo e scattante come il sangue che pare versare a fiumi, danza. E l’aggiunta di sonorità contemporanee non fa che incalzarne il lavoro, originando uno spettacolo che è come un lungo, massacrante procinto di orgasmo senza compimento.

Abbandonando la tendenza all’impersonalità dei danzatori, qui la Casadei rende riconoscibili i vertici del triangolo amoroso – Scarpia, Tosca e Mario. A contornarne le personalità – che saranno rivestite dall’intero corpo di ballo, senza gelosie – il corteo delle “anime nere”, (s)vestite dei vizi del sadomasochismo, così abbondante di latex e fasce lucide. La loro danza è corale, con un che di trattenuto e, al contempo, di irrequieto – come di animale robotico o di dannato in catene. Energia repressa che erompe, in particolare, dal vibrare feroce delle mani. Non vi è tenerezza in questa coreografia, neppure sul tappeto lirico di “Vissi d’Arte, Vissi d’Amore” o di “E Lucevan le Stelle” – dove a un’interpretazione convulsa di bestia moribonda si sostituisce un rapporto di distensioni fisiche sofferenti, qualcosa di simile a quelle di un crocefisso o di un flagellato.

Allo stesso tempo, non c’è spazio per un’autentica narrazione. Tosca X è un’algida, quasi scientifica anatomia del dolore e del rapporto che intercorre tra carnefice e vittima, dove un’eroina pallida e scarnificata è trascinata per la gola, scagliata a terra, sollevata e manovrata come una bambola da uomini e donne lucidi e disumani. Nella violenza s’intesse una tenerezza malata, propria dello stalker. Le sequenze dell’interrogatorio, della tortura, dell’omicidio e della condanna non si svolgono su di un binario definito, ma vagano sbriciolate e discronologiche. In tal senso, l’uccisione di Scarpia non pare mai effettiva; bensì soltanto la chimera di una mente accecata da odio e impotenza, quella di Floria. Ripetutamente, egli muore e rivive. E nella profusione di accenti che ella gli rivolge ossessivamente (“Assassino. Muori. Assassino. Demonio. Muori. Muori“), la sua risposta è laconica, assillante, patologica: “Tosca“.

La potenza del male esercitato si esplica anche in immagini che rimangono impresse, quasi a carattere iconico. È il caso della lenta camminata che la vittima è costretta a eseguire su di un tappeto umano, composto da carnefici che lentamente, uno dopo l’altro, la trascinano per la gola, obbligandola a calpestarli. Un fascio di luce spietato ingloba la preda, mettendone in evidenza lo stato di completa esposizione, non soltanto dinnanzi al persecutore sessuale, ma anche presso Roma intera (non dimentichiamo che Tosca è una diva della Capitale). A contrasto, e dunque esaltazione, di questa raffinata tortura, lo spostamento di questa in primissimo piano, mentre al centro di tutto Mario si scioglie nel commovente E Lucevan le Stelle. Altrettanto d’impatto la scena della supplica, in cui una Tosca più che triplicata domanda il prezzo della vita alla schiena di Scarpia, nuda e guizzante di godimento. Alla conversazione minimalizzata (“Quanto?” “Quanto?” “Il prezzo“), si accavalla una risata cruda che riporta il botta e risposta all’inizio, per sei volte.

Contrariamente all’opera originale, questa si conclude in aria di vittoria, magari unicamente per il fatto che l’azione è limitata al secondo atto e che verso il terzo non allunga che una mano veloce. La Tosca dell’ultima scena, che da sola ricaccia i demoni avviluppata nel pallore del proprio abito, è forse l’universo mentale di colei che ha appena ucciso l’artefice dei suoi mali, narcotizzata da un’ebbrezza di trionfo che la condurrà a sua insaputa verso una rovina ancora maggiore. Non è dato saperlo e neppure c’interessa. A interessarci è unicamente la purezza dell’opera, senza veli né pietà, che getta una luce obliqua sul tema dell’abuso sessuale (e sarebbe potuto mancare un opuscolo da parte dell’Associazione Casa della Donna?), cospargendola però di una perturbante, diabolica attrattiva. In una frase, non possiamo dire se la danza è, come recitano diversi cliché, sesso figurato. Certo è che Tosca X lo è. A cominciare da quella X, immagine di scontro, incontro, compenetrazione.

È accaduto giovedì 14 gennaio, alle ore 21.00, al Verdi di Pisa. E come Monica Casadei, anche noi ripeteremo parole. Queste. Puccini ringrazia: finalmente vivo.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Verdi
Pisa
giovedì 14 gennaio, ore 21.00

Tosca X
Compagnia Artemis Danza / Monica Casadei
coreografia, regia, luci, scene, costumi Monica Casadei
musica Giacomo Puccini
elaborazione musicale Luca Vianini
assistente alle coreografie Camilla Negri
danzatori Francesca Cerati, Francesco Calaleo, Vittorio Colella, Roberta De Rosa, Andrea Dionisi, Gloria Dorliguzzo, Maxime Freixas, Samuel Moretti, Teresa Morisano, Giulio Petrucci, Andrea Rampazzo, Valeria Russo, Emanuele Serrecchia, Filippo Stabile e Francesca Ugolini
con la partecipazione di Anna Giulia Restano, Alessandro Pelosi, Francesca Lastella, Michela Paoloni, Simonetta D’Intino, Leonardo Carletti e Federica Squadroni