Al Carcano è di scena La bisbetica domata di William Shakespeare per la regia di Armando Pugliese. La scelta di un cast di grido e di provenienza televisiva mette a dura prova la bellezza e la leggerezza del testo originale

Nella sala del Teatro Carcano gremita di gente il sipario si apre su una delle prime commedie del drammaturgo inglese, La bisbetica domata.

Per i primi minuti tutto sembra rientrare in una lettura piuttosto tradizionale del testo: la scena mostra un interno di locanda con tavoli, sedie e altissime pile di casse di legno e i personaggi indossano costumi d’epoca. Fa da cornice alla commedia vera e propria la vicenda del calderaio Sly che, addormentatosi ubriaco nella taverna, diventa protagonista di uno scherzo ideato da un Lord – di passaggio nell’osteria al ritorno da una battuta di caccia.

L’impatto è sicuramente un po’ spiazzante, con un Edoardo Siravo nella parte del mendicante che enfatizza un po’ troppo il suo stato di ebrezza, quasi da recita scolastica, e un Lord – interpretato da Giulio Farnese, che poi si rifarà con un’ottima interpretazione di Battista – dai modi effeminati e assolutamente frivoli, abbastanza lontani dal carattere amletico ante-litteram che tanti illustri studiosi del Bardo hanno riscontrato nella figura di questo personaggio.

Organizzata alla meglio la beffa in cui il Lord fa credere a Sly di essere, in realtà, un ricco signore, una grandissima moneta che rotola in proscenio da destra verso sinistra segna l’inizio della commedia vera e propria. In questo gioco di scambi di identità, le parti sono velocemente ridistribuite e si è introdotti nell’universo di Battista che deve accasare, al miglior offerente, le due figlie in età da marito: Bianca – fanciulla educata, ma pensata da Pugliese come un’autentica gatta morta con la sua schiera ben nutrita di pretendenti – e Caterina – la dispotica e bisbetica protagonista del titolo.

Quest’ultima andrà in sposa a Petruccio che saprà moderare il caratteraccio della moglie portandola all’esasperazione e facendole patire la fame e il sonno, ma trattandola sempre con infinita dolcezza fino a farla diventare la più “ubbidiente e premurosa” delle mogli.

Allo spettatore viene sostanzialmente presentata la stessa scenografia dell’inizio, se non fosse per uno sfondo che mostra uno sky-line disegnato da fitti grattacieli – del tutto incongruenti – mentre Lucenzio – futuro pretendente di Bianca – si rallegra con il suo servo Tranio dell’arrivo a Padua (ossia Padova che, per dovere di cronaca, ieri come oggi ha ben poco a che fare con un paesaggio in stile newyorkese).

Da questo momento i personaggi vestono in foggia moderna, ma non databile: anni Cinquanta, Sessanta e Settanta si mescolano e, a rendere ancora più difficile l’interpretazione dell’idea registica, ci sono Bianca – che sembra appena uscita dai ruggenti anni Venti – e l’ostessa che, dall’inizio alla fine dello spettacolo, compare sempre con il suo costume cinquecentesco. Inoltre, ogni personaggio indossa o porta con sé qualcosa per connotare il proprio carattere: Battista, il padre che per concedere la mano delle sue figlie si siede a tavolino per calcolare le rendite, maneggia spesso un fazzoletto in cui custodisce oggetti preziosi; Petruccio – pretendente e poi marito di Caterina – sfoggia un look quasi da gangster anni Quaranta con tanto di vistoso brillante all’orecchio; mentre Caterina, la bisbetica, irrompe in scena vestita da amazzone, munita di frustino. Curioso destino della domatrice dalle maniere brutali che verrà domata, o meglio, uccisa dalla gentilezza per dirla con Shakespeare.

Lo spettacolo ha un ritmo velocissimo ma raramente davvero coinvolgente, con degli inserti di comicità quasi cabarettistica, il più delle volte scaturita dalla libera creazione del regista che, purtroppo, non riesce a valorizzare al meglio la comicità insita nel testo, tranne in rari casi. Le musiche di Goran Bregovich sono utilizzate anche durante i dialoghi, rendendo difficile la comprensione delle battute degli attori; inoltre, i suoni di sapore balcanico non facilitano la focalizzazione spaziale e temporale dello spettacolo.

Questo confuso potpourri di epoche, stili e luoghi è appesantito dalla recitazione a volte davvero pedante di Vanessa Gravina nel ruolo di Caterina, la protagonista. I toni forzati sempre e comunque, le smorfie in eccesso che rivelano cliché del teatro ormai superati da una cinquantina d’anni e una mobilità talvolta impacciata sul palco danno vita a una bisbetica senza colore e senza spessore, più fastidiosa per questo che per l’impertinenza del personaggio. Probabilmente il difetto principale di questa messinscena è la scelta registica di cucire la trama e l’intero spettacolo su due attori – forse poco adatti al teatro – come Vanessa Gravina ed Edoardo Siravo che già due anni fa non avevano brillato ne La signorina Giulia di Strindberg.

I protagonisti non riescono a convincere pienamente, oscurando anche la felice intuizione di Pugliese di ripristinare la versione del 1594 del dramma in cui tutto, alla fine, si rivela un lungo e fantastico sogno del povero Sly.

Lo spettacolo continua:
Teatro Carcano

C.so di Porta Romana, 63 – Milano
fino a domenica 24 ottobre
orari: ore 20.30 – domenica: ore 15.30  

La bisbetica domata
di William Shakespeare
Adattamento e regia di Armando Pugliese
con Vanessa Gravina, Edoardo Siravo, Giulio Farnese, Carlo Di Maio, Vito Facciolla, Daniele Gonciaruk, Elisabetta Alma, Emanuela Trovato, Marco Trebian, Marco Zingaro, Maurizio Toamciello, Valentina D’Andrea
scene e costumi Andrea Taddei
disegno Luci Umile Vainieri
musiche originali Goran Bregovich
coproduzione Indie Occidentali – Teatro Stabile d’Abruzzo – La Versiliana Fondazione