Ombre d’Ambra

Il tema del tradimento amplifica la finzione scenica nel testo di Pinter riletto da Placido. Ambra Angiolini attraversa i colori della seduzione, ma resta l’impermeabile il travestimento più adatto per sconfessarsi.

C’è qualcosa di cinematografico in Tradimenti, andato in scena ieri sera all’Eliseo di Roma.
Non solo per la regia di Michele Placido o per la formazione attoriale dei suoi protagonisti.
Affiora un che di cinematografico e fuori fuoco proprio nella recitazione, sorprendentemente asciutta, senza sbavature, ineccepibile, da saggio conclusivo, patinata fino al sospetto del doppiaggio, del playback. Qualcosa di stonato, di falso.
Emma, un’incrinata Ambra Angiolini, e Jerry, un istrionico Francesco Scianna, sono amanti da anni, con piena consapevolezza da parte del marito di lei, un Francesco Biscione perfetto nella parte del coniuge tradito e pur capace di destreggiarsi nel triangolo con naturalezza e anglosassone aplomb.
Se siamo abituati a veder sfiorire e annacquarsi matrimoni, meno consueta la carrellata di scene da interno attraverso cui ci viene fatto assistere qui allo sgretolarsi del rapporto dei due amanti che, quasi per crudele par condicio, patisce al pari lo scorrere del tempo.
Che cosa segna un rapporto di coppia? La leggerezza, la consuetudine fedifraga, sprazzi di follia, incarnati dall’agente letterario Jerry, ma anche il cortocircuito singolare tra un desiderio di stabilità volto alla costruzione d’un nuovo nido e l’attrazione per l’atto trasgressivo, covato, inatteso, espresso da Emma. Verrebbe da chiedersi di quale trasgressione in fin dei conti si parli, dal momento che la protagonista è così ansiosa di rivelare il suo adulterio al marito, confessione assolutamente non richiesta.
Harold Pinter, come è noto, ebbe buon agio nel rielaborare artisticamente la sua lunghissima frequentazione della presentatrice Joan Bakewell, relazione adulterina cui s’ispirò per scrivere questo testo. Piuttosto scontato allora che l’autobiografia si coniughi con l’ironia e la crudeltà, in uno scambio di parti dove i confini del tradimento evaporano, dove il tradito appare vincente e i traditori, più che carnefici involontari, vagolano tra i chiaroscuri esistenziali e sentimentali del loro fantasticato ménage raccontato a ritroso, dal 1977 al 1968. Il fantasticato è un’ottima chiave di lettura dell’amore, mette a nudo le trappole delle relazioni umane, siano sancite o no da contratti: il fantasticato, il sognato, sono terreni fertili per riplasmare recite e ruoli, per le falsificazioni in agguato. Per quel perfezionismo misurato e elegante di cui dicevamo pocanzi. Non è un po’ forzato l’entusiasmo di Jerry? Non suona un po’ falso, come il suo pentimento tardivo, spiattellato al marito di lei per ristabilire l’irrinunciabile, virile amicizia? La stessa acquiescenza dell’ingannato non è un separé troppo abusato, dietro cui celarsi e bearsi sgravati da colpe? Non imbraccia forse l’arma dell’ipocrisia più tagliente questo Robert nemmeno equidistante (preferisce apertamente Jerry a Emma!), che lascia la moglie all’amico, selezionando buoni e cattivi solo per le sue maschilistiche partite di squash?
La morale, se c’è una morale per l’a-morale, è che tutti tradiscono tutti, impegnati come sono a tradire se stessi.
Ambra è molto concentrata, rende benissimo l’interiore disastro della sua Emma, gallerista non esente da bovarismo, in quanto tale del tutto incapace di lasciarsi andare dunque davvero. In lei un’eco di quel rivoluzionario Sessantotto non emerge neppure nella scena d’incipit, dislocata nella pièce a finale, se si eccettua il rosso che la avvolge come seconda pelle rutilante e leggiadramente aerea, facendo crollare ai suoi piedi Jerry, testimone di nozze e futuro amante. Un rosso che non seduce il pubblico, né fa vibrare d’erotico trasporto: viene semmai alla mente il porpora cardinalizio dei prelati eternati da Velasquez e sbugiardati da Bacon. Un colore ardito indossato per entrare nella parte dell’oggetto del desiderio, per assumerne il potere, allo stesso modo in cui s’indossa una stola o una sottoveste, tanto la mise non c’appartiene, come in fondo la passione non appartiene a Emma, che l’ha relegata a qualcosa d’artefatto e puerile, giusto per restare ai feuilleton tardo ottocenteschi.
L’amore è tra le recite la più virtuosistica del resto.
Quella che fragile, intermittente, mutevole, ravvisa da sempre la sua peggior minaccia nella possibilità del tradimento appunto. E poiché i tradimenti sono potenzialmente infiniti, non meravigli se l’eroina di Pinter sfoggia lo stesso nome dell’eroina di Flaubert.

Lo spettacolo continua:
Teatro Eliseo

via Nazionale, 183 – Roma
fino al 20 dicembre
martedì, giovedì, venerdì, ore 20.00
mercoledì e domenica ore 16.00
sabato ore 16.00 e ore 20.00

Tradimenti
testo Harold Pinter
regia Michele Placido
con Ambra Angiolini, Francesco Scianna, Francesco Biscione
traduzione Alessandra Serra
scene Gianluca Amodio
costumi Mariano Tufano
musiche originali Luca D’Alberto
light designer Giuseppe Filipponio
produzione GOLDENART PRODUCTION