Il grande romanzo di Jerome K. Jerome rinasce a teatro dopo anni di silenzio con l’intelligente adattamento del regista Matteo Ziglio e la magistrale interpretazione di un cast giovane e pieno di talento.

Chi fortemente ama un’opera letteraria si accosta con naturale sospetto alle sue trasposizioni in altri linguaggi. Ma nei rari, fortunati casi in cui l’esperimento riesce, e consegna nuovo splendore al testo originale, il sospetto si converte in entusiastico plauso. Accade in questo elegante, dinamico allestimento di Tre uomini in barca (per non parlar del cane), che rielabora tutti gli ingredienti principali del romanzo, rispettandone le dosi.

La storia è nota: tre amici, stressati dal lavoro e dalla routine cittadina, progettano una vacanza di due settimane in barca sul Tamigi. Il viaggio diventa occasione narrativa per ricordare aneddoti, descrivere personaggi, attraversare luoghi, e gradualmente distaccarsi dalla frenesia urbana per guadagnare un tempo di riflessione e di quiete. I tre uomini sono accompagnati dal cane Montmorency (interpretato dall’unica donna del gruppo), qui presentato come essere senziente e parlante, che si fa portavoce di speculazioni filosofiche sul senso delle umane azioni e di spensierate digressioni sui buffi comportamenti della combriccola.

Si ride molto, grazie alla verve dell’umorismo inglese di cui il testo è intriso, ma c’è spazio anche per il dramma, che irrompe inatteso, per pochi istanti, ad ammutolire lo spettatore. Come fa la vita vera, che d’un tratto toglie la voglia di sorridere e poi, inspiegabilmente, la restituisce.La forza di questa rappresentazione è il respiro moderno conferito all’opera originaria pur rispettandone la classicità. La lingua, le musiche, i costumi accompagnano il pubblico attraverso l’Inghilterra di fine Ottocento, ma i riferimenti estemporanei a certi fatti e persone, e le volute contaminazioni dialettali – che a tratti emergono nel parlato – evocano con chiarezza l’Italia dei giorni nostri. Ne emerge un senso di straniamento forte e delicato insieme, che quasi non si ha il tempo di cogliere, tanto è serrato il ritmo delle azioni che si susseguono in scena.

Gli attori smontano e rimontano continuamente le quattro panche mobili che, unite insieme, formano una credibilissima barca di compensato, e separate si rifunzionalizzano, diventando ora un pianoforte, ora il bancone di un pub. Sono quattro ma paiono quaranta, per il continuo, inesausto movimento sul palco, per le multiformi interpretazioni di personaggi bizzarri. Sembra davvero di essere lì: nella natura sterminata, sulle rive del fiume, davanti alle porte delle osterie sotto al diluvio – mentre un sapiente gioco di luci scandisce non solo l’alternarsi del tempo cronologico e atmosferico, ma anche il dipanarsi di un tempo interno, che è memoria e meditazione.

Uno spettacolo convincente, reso saldo da una recitazione appassionata e impeccabile. Resta chiara, tra tanto divertimento e scanzonata ironia, la metafora da prendere seriamente: se la vita è una barca, non si ceda alla tentazione di caricarla d’inutili e pesanti cianfrusaglie. Questo non renderà più agevole il viaggio, ma più probabile il rischio di capovolgersi.

Lo spettacolo continua:
Teatro Abarico

via dei Sabelli, 116 – Roma (San Lorenzo)
fino a domenica 14 novembre
orari: da giovedì a sabato ore 21.00, domenica ore 18.30
(durata 1 ora e 20 circa senza intervallo)

Tre uomini in barca (per non parlar del cane)
tratto da un romanzo di Jerome K. Jerome
regia Matteo Ziglio
con Franco Heera Carola, Gianantonio Martinoni, Giordana Morandini e Vincenzo Muià