Le lenti magiche di Emma Dante

Roma si emoziona con Trilogia degli occhiali, che la drammaturga palermitana ha riportato al Palladium dal 20 al 22 dicembre, dopo il successo di marzo. Un marinaio innamorato del mare, un uomo intrappolato nell’infanzia, una dolcissima vecchia che danza a ritroso nel tempo con lo sposo perduto. Un trittico su un mondo interiore di visioni, che solo gli occhi “miopi” dei sognatori colgono

Per fortuna Emma Dante è tornata nella capitale, al Teatro Palladium. La regista siciliana era in platea tra il pubblico, la sera della prima di Trilogia degli occhiali, il 20 dicembre. Lo spettacolo, applauditissimo e rimasto in scena al teatro della Garbatella fino al 22 dicembre, aveva già replicato qui per un mese, a marzo, dopo il debutto nazionale a gennaio. Travolge, commuove, diverte questa antologia di tre spettacoli, Acquasanta, Il castello della Zisa e Ballarini: messinscene concluse, ma legate dal filo poetico del sogno come fuga dalla solitudine, dalla malinconia, dalla morte.
‘O Spicchiato, l’occhialuto mozzo di Acquasanta, attracca a prua di una nave immaginaria, agganciato per le gambe a tre lunghi fili ai quali sono appese tre ancore. È lui a manovrare loro, o viceversa lui è il burattino? Il marinaio (un Carmine Marangola di bravura e presenza scenica incredibili) si affatica a caricare una miriade di sveglie bianche, pure discendenti da lunghissimi fili e da una ruota, come un acchiappasogni a orologeria. Saranno il tempo del suo racconto. ‘O Spicchiato si è imbarcato a quindici anni e non è più sceso. Perché è un tutt’uno, carnalmente, con il mare. La saliva che spruzza copiosa dalle labbra è «schiuma di mare», un’anomalia animalesca, un corto circuito tra spirito e corpo che ricorda la lacrima del pirandelliano Zi’ Scarda. Per lui, dice ai compagni, è la terraferma «’n’illusione che sta dint’a testa vostra». E quando loro vanno a donne, lui aspetta che la nave salpi di nuovo per vedere «il mondo che si stacca e se ne va». L’amore grande, struggente, non corrisposto di o’ Spicchiato è il mare, per cui ha rinunciato a tutto. Lui, esclama ispirato, è «fidanzato con l’infinito». Il suo è un atto d’amore e di epica. «Aggio visto», ricorda, o immagina, «‘a barriera corallina, e ‘u sole dirimpetto alla luna ca si lanciavano i raggi, li annodavano e li facevano scennere dintra‘o mare… E ‘na medusa gigantesca… ‘O Giappone, a ro steveno ‘i pisci cu l’occhi a mandorla…. E n’iceberg enorme, ca si scioglieva in lacrime di cristallo…». Mentre parla, e sputa, e suda, ‘o Spicchiato si salva dalle burrasche che lui stesso inscena, in un ballo forsennato sul ponte. Come un pupo siciliano, il mozzo oscilla, si avvita, si ribalta, si schianta. Per non vomitare si piazza a prua, ruttando e cantando Maruzzella a squarciagola. Le voci della ciurma e del capitano rimbalzano nella sua testa. Ma gli inesorabili contaminuti trillano, e finisce il sogno. La nave è salpata senza di lui, lasciandolo solo sul molo. Il mozzo si lascia schiaffeggiare dal mare ingrato, cantandogli Indifferentemente, in un’attesa senza fine, fino a diventare, scrive Emma Dante, «di legno come polena di un vecchio galeone».
Il secondo episodio, Il castello della Zisa, è un irresistibile esercizio di stile, che evolve in toccanti accenti lirici. Quattro croci, agganciate a interminabili fili, incombono su tumuli di lenzuola, e sotto il primo si rivela Nicola (Onofrio Zummo): un ragazzo cieco e in stato catatonico, appollaiato su una sedia. Nell’istituto in cui vive, è accudito da due esilaranti suore-giullari (Claudia Benassi e Stéphanie Taillandier), che esprimono preghiere, bisbigli e litigi in un buffo gramelot francese-italiano. Parte della cura è il tentativo di stimolare il malato con i giocattoli, tra cui due bamboline rosse a molla. Ad un tratto, palle, birilli e hula-hoop – e un paio di occhiali – fanno il miracolo di un risveglio breve «come un fiammifero». Nicola urla di dolore, come il neonato del De rerum natura. E racconta: da bambino viveva con la zia alla Zisa, davanti a un castello «d’argento cu tutti ‘i stedduzzi che ci facevano da coroncina». Nelle sue fantasie lui ne era il guardiano, con maschera di drago, e si incantò per sempre quando fu strappato da qui. Ma ora, appresa la realtà inaccettabile – la zia non c’è più -, Nicola si contrae orribilmente, e torna (volontario?) prigioniero del suo corpo e del suo estasiato tempo interiore.
Intenso d’emozione, tra riso e pianto, il terzo atto unico, Ballarini. Una vecchia donna, spezzata dall’artrite, apre il baule dei ricordi e accende un firmamento di lampadine aggrappate a fili delicati. Da un altro baule, spunta il suo sposo perduto. Ballano, in abiti eleganti. È capodanno, e i due innamorati vacillanti, con maschere da vecchi, si baciano, fanno l’amore. A mezzanotte avviene la magia, al suono di un vecchio carillon. Gli sposi (i due sorprendenti attori e ballerini Manuela Lo Sicco e Sabino Civilleri) scoprono il viso, inforcano gli occhiali e sono di nuovo giovani. Sulle note di vecchie canzoni italiane, ballano vorticosamente, sempre più belli e scattanti, in un viaggio a ritroso nelle “danze” di un grande amore. La maturità complice, le nevrosi per il figlio neonato, le doglie “rock” di lei, la prima notte di nozze, le nozze con il caro velo da sposa, la dichiarazione di lui sugli scogli e il dono di un carillon. Ma è veloce ora la moviola verso il presente. Lo sposo sparisce, il carillon tace. La sposa infila la maschera e accenna da sola i piccoli rituali dell’amore senile. Poi ripone tutto, e spegne le stelle.
In tutti gli atti, il sogno è vitale, “attivo”, turbolento. I fili a cui si attaccano i feticci dell’illusione (ancore, croci, luci) e gli oggetti “a tempo” (le sveglie, le bambole, i carillon) parlano di sogni evanescenti, “appesi a un filo”, ai quali occorre dare continua carica. Nel teatro di Emma Dante, fisico e selvaggio, carnale e tenero, persino l’abbandono del mondo si fa poesia. E migra verso una finzione voluta, una miopia visionaria, una messinscena di consapevoli burattini.

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Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Palladium
piazza Bartolomeo Romano, 8 – Roma (zona Garbatella)
da martedì 20 a giovedì 22 dicembre, ore 20.30

Sud Costa Occidentale, Teatro Stabile di Napoli, CRT Centro di Ricerca per il Teatro con la collaborazione di Théâtre du Rond-Point presentano
Trilogia degli occhiali
di Emma Dante
regia Emma Dante
scene Emma Dante, Carmine Maringola
con Carmine Maringola, Claudia Benassi, Stéphanie Taillandier, Onofrio Zummo, Manuela Lo Sicco, Elena Borgogni, Sabino Civilleri
costumi Emma Dante
disegno luci Cristina Fresia