La tragedia di un popolo con il lieto fine per tutti (o quasi)

Il Teatro genovese giunge alla conclusione della sua straordinaria stagione e chiude il sipario della lirica con un titolo tra i più conosciuti dal pubblico internazionale: Turandot.

«Popolo di Pekino! La legge è questa: Turandot la Pura sposa sarà di chi, di sangue regio,
spieghi i tre enigmi ch’ella proporrà. Ma chi affronta il cimento e vinto resta porga alla scure la superba testa!»

Questo l’incipit pronunciato dal Mandarino di Pechino, subito dopo l’overture a sipario chiuso, in cui è annunciato il nocciolo della trama dell’opera e tutta l’atmosfera che la caratterizza. È infatti questo clima, ricreato con la massima precisione da regia e scene, a rendere questo finale di stagione davvero incredibile. A partire dal grandioso cast e dai loro personaggi, il pubblico è proiettato in uno scenario magico, da favola. La storia della crudele regina, tratta dalla fiaba teatrale omonima di Carlo Gozzi, grazie al maestro Puccini e alle sue note, partitura scheletro del libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, conquista una platea colma di spettatori curiosi.
La grandiosa regia di Giuliano Montaldo, ripresa da Fausto Cosentino, si presenta coerente e complice del testo poetico, grazie anche alle incredibili e maestose scene di Luciano Ricceri. Un panorama tutto orientale, con alti palazzi, lanterne cinesi, gong e imperatori, un ensemble mantenuto vivo dalla direzione musicale del Maestro Giuseppe Acquaviva, a cominciare dall’overture in cui il maestro impeccabilmente fonde i suoni degli ottoni e dei legni, proiettando gli astanti in terre lontane.
A partire dal primo atto, la presenza del coro acquista assoluta centralità: è questa un’opera in cui il popolo parla all’unisono, chiede la salvezza e un governo illuminato, mette in guardia i cechi innamorati davanti al pericolo della crudele regina. Immediatamente i singoli personaggi appaiono e si prendono il loro spazio: pur avendo l’opera il nome della regina per titolo, Turandot non appare che nel II atto. Sino alla sua comparsa è la voce di Liù (una grandiosa e acclamatissima Serena Gamberoni, soprano), schiava di Timur (profonda voce di Mihailo Šljivić, basso) che si presenta con una vocalità precisa per la sua prima romanza Signore, Ascolta!, seguita poi dagli interventi di Calaf ( la voce e la presenza teatrale di Rudy Park, Tenore).
Ad alleggerire tutta la tragedia, le tre maschere di Ping, Pang e Pong che, intervenendo con il terzetto Olà Pang! Olà Pong!, si presentano come coloro che meglio conoscono la ferocia di Turandot, coscienze personificate che tentano di convincere il buon Calaf a non cimentarsi nell’impresa.
Ma è l’arrivo di una maestosa Turandot, nell’interpretazione precisa di Norma Fantini, soprano perfettamente formato per i ruoli pucciniani e non solo, che smuove le corde dei presenti; terrore e ammirazione i sentimenti che accompagnano gli ingressi della crudele sovrana a partire dall’aria In questa reggia e i successivi indovinelli di Straniero, ascolta!.
Nel III atto il Tenore protagonista si esibisce nella nota romanza Nessun Dorma che, nonostante a noi di Persinsala non abbia colpito più del resto della sua performance, conquista il fragoroso applauso del pubblico tanto che, ahinoi, il maestro Acquaviva è costretto ad interrompere le ultime note della sinfonia ma in totale equilibrio e precisione rispetto alle note successive.
Dà dunque l’addio alla scena. al termine della perfetta aria Tu che di gel sei cinta (e qui il lavoro di Puccini si interrompeva per il sopraggiungere della morte del compositore), Liù, l’innamorata di Calaf, che per amore non pronuncia il nome dell’amato e per questo soccombe.

Conclusa l’opera con il lieto fine per la regina e Calaf (nonostante la morte di Liù), Turandot diretta da Giuliano Montaldo rappresenta, dunque, la degna chiusura della splendida stagione lirica del Teatro Carlo Felice.
Plauso per le capacità recitative di Vincenzo Taormina, Blagoj Nacoski e Marcello Nardis (Ping, Pang e Pong) che dalla loro prima apparizione accompagnano l’ingranaggio scenico con perfette abilità canore e recitative.
E se Rudy Park emoziona per la sua perfetta dizione italiana e la sua presenza scenica, difficile dare un primo posto unico alle figure femminili.
Norma Fantini e Serena Gamberoni infatti calpestano il palco con una grandiosa capacità interpretativa e fanno emozionare tutti, come dimostrano gli applausi scroscianti conclusivi.
Coro e corpo di ballo, diretto da Giovanni di Cicco, si presentano come parte integrante ed imprescindibile per la messinscena, perfetto equilibrio di movimento delle masse sia numerose (il popolo) che ridotte (le guardie).
La parola chiave è colore, quello degli splendidi abiti di Elisabetta Montaldo, delle scene di Luciano Ricceri e quelli perfetti delle luci scelte da Luciano Novelli.
Nel complesso uno spettacolo sotto tutti i punti di vista ben confezionato e impacchettato dai nodi musicali annodati dalla perfetta direzione del Maestro Acquaviva.

«Padre augusto, conosco il nome dello straniero!
Il suo nome è… Amor!»
Turandot, scena ultima Atto III

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Carlo Felice
passo Eugenio Montale 4, Genova
venerdì 16, martedì 20 e mercoledì 21 giugno, ore 20.30
sabato 17 e domenica 18 ore 15.30

Turandot
dramma lirico in tre atti e cinque quadri
libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni (dall’omonima fiaba di Carlo Gozzi)
musica di Giacomo Puccini (completamento di Franco Alfano)
regia di Giuliano Montaldo
Direttore d’Orchestra Giuseppe Acquaviva
con
Norma Fantini – Turandot
Rudy Park – Calaf
Serena Gamberoni – Liù
Mihailo Šljivić – Timur
Alessio Cacciamani – Mandarino
Vincenzo Taormina – Ping
Pang, Blagoj Nacoski – Pang
Marcello Nardis – Pong
Max Renè Cosotti – Altoum
Alberto Angeleri – Principe di Persia,
Annarita Cecchini, Simona Marcello – due ancelle
scene Luciano Ricceri
costumi Elisabetta Montaldo
coreografo Giovanni di Ciccio
luci Luciano Novelli
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice
Maestro del Coro Franco Sebastiani
allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice
durata circa 180 min. con intervallo