La gelida regina del lago

Dopo il concerto inaugurale del 6 luglio scorso, apre la stagione operistica della sessantaquattresima edizione del Festival Puccini di Torre del Lago, Turandot, l’ultima ed incompiuta opera del maestro lucchese. Il 14 luglio, prima assoluta, ore 21.30, Persinsala era in platea ad ascoltare e osservare per i suoi lettori: ecco cosa è successo.

Tra i ronzii delle zanzare e la brezza leggera del fiume, è stata sufficiente una perfetta scenografia e una precisa direzione per immergere gli spettatori nella Pechino, «al tempo delle favole».

Una messinscena in chiaroscuro, quella di Torre del Lago, nella quale, nonostante la situazione all’aperto non fosse perfettamente favorevole alla voce, sono state le eccellenti vocalità e le significaive capacità interpretative dei propri quattro grandi protagonisti (la Turandot del soprano Martina Serafin, la Liù di Lana Kos, soprano, il Calaf del tenore Amadi Lagha e il Timur di Alessandro Guerzoni, basso) a conferire spessore a un impianto altrimenti sospeso tra il pop e il tradizionale.

Sin da subito lo stupore è tanto: ingresso del Maestro Veronesi e … silenzio. Se da sempre l’ingresso del direttore d’orchestra sancisce l’avvio imminente dell’ouverture musicale, per la regia di Signorini, invece, è stato necessario mostrare in scena il popolo intento a terminare le faccende del giorno in attesa del tramonto (momento da cui prende avvio la vicenda pucciniana). Gli spettatori hanno dunque atteso non poco per sentire le prime note (sebbene non si tratti di un’introduzione vera e propria giacché il primo pezzo, Popolo di Pechino, apre l’opera)

Le parole del Mandarino sono racchiuse in una cornice perfettamente tradizionale: le scene di Carla Tolomeo rimandano a quella fatata e lontana Cina che Marco Polo raccontava di ritorno da quei luoghi sconosciuti.

La rappresentazione prosegue con un riuscito uso della massa, vera protagonista del primo concitato quadro, e con l’uso di ballerini sulle note di Gira la cote! del coro del popolo e dei servi del boia attraverso i quali, pur sembrando fuori luogo, conferisce un colore locale (per dirlo alla Verdi) del lontano mondo del qípáo di seta.
L’agitato momento si rilassa (forse troppo) distendendo il clima al momento dell’invocazione Perché tarda la luna?.
In questo tranquillo frangente, per tutta l’arena e tra il pubblico si diffondono delle comparse con in mano delle sfere luminose. Che si tratti di stelle (quelle di cui Calaf invoca il tramonto o semplicemente quelle di una serena notte) o di raggi lunari, poco importa: appaiono incoerenti con il concetto stesso di teatro che Puccini indicava per Turandot, una favola in cui far immergere gli spettatori proprio come voleva Carlo Gozzi, autore della Turandotte fonte dell’opera pucciniana.
Per la prima volta, di spalle e in silenzio compare la protagonista del titolo; o meglio compare il suo mantello grandioso. Non si può non applaudire la scelta registica che si richiama alla raffinata rappresentazione del 1961 alla Staatsoper di Vienna con l’incredibile Birgit Nilsson e il suo fiabesco mantello: una scelta, quest’ultima che garantisce un attimo di sogno. Dopo i toccanti momenti di Liù con la romanza Signore, ascolta!, e Calaf con la romanza Non piangere, Liú!, la musica si tace in attesa del II atto.
L’atto si inaugura con la comparsa di Ping, Pang e Pong. Abiti incredibili (come tutti quelli curati dallo stilista italiano Fausto Puglisi), ma voci non abbastanza precise nella loro coralità nonostante le evidenti capacità interpretative dei tre cantanti e l’impegno nei movimenti della scena (causa questi forse di una ridotta vocalità rispetto agli altri personaggi).

Al loro ingresso segue l’arrivo di Turandot, bella, elegante e precisa, una vera principessa. L’attesissimo momento degli enigmi giunge ed ecco un’altra trovata del regista molto applaudita dal pubblico ma che ha fatto storcere il naso ad alcuni dei presenti (e anche a noi) con il suggerimento della soluzione dell’ultimo indovinello inopportunamente a Calaf da parte della schiava Liù. Un suggerimento poco coerente, dacché, come Ping riferisce nell’atto III, l’unico momento in cui Timur e Liù sono visti parlare con Calaf è solo «ier sera», ossia l’unico momento in cui si sono incontrati e sono stati visti insieme.

Chiusa la scena, la musica si ferma in attesa del III atto, la cui scena si apre con Calaf sotto il terrazzo di Turandot che invoca l’alba nella nota aria Nessun dorma! eseguita con tanta passione e precisione da garantire un bis altrettanto impeccabile.
L’opera sta giungendo verso il termine (quello incompiuto di Puccini) con il suicidio di Liù, un altro grandioso nodo drammatico che il soprano Kos ha interpretato localmente e scenicamente con magistrale capacità.
Si arriva dunque al duetto ed al finale di Alfano nel quale è garantito il trionfo non solo dei protagonisti ma della serata intera.

Precisa nel complesso ed applaudita la direzione di Alfonso Signorini che, con scelte interessanti, anche quando non sempre condivisibili, ha dato personalità all’allestimento (ripresa di quello che nel 2017 ne ha segnato l’esordio come regista).

Lascia le donne!
O prendi cento spose, che, in fondo, la più sublime Turandot del mondo ha una faccia, due braccia, e due gambe, sì belle, imperiali, sì, sì, belle, ma sempre quelle!
Con cento mogli, o sciocco, avrai gambe di ribocco, duecento braccia e cento dolci petti sparsi per cento letti!
(Turandot, Atto I, quadro 1)

Lo spettacolo è andato in scena:
64esimo Festival Puccini

Via delle Torbiere, Torre del Lago Puccini, Viareggio LU
sabato14, sabato 21, sabato 28luglio ore 21.30
venerdì 17 agosto ore 21.30

Turandot
Dramma lirico in tre atti, libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni
Musica di Giacomo Puccini
Maestro concertatore e direttore Alberto Veronesi
regia Alfonso Signorini
scene Carla Tolomeo
assistente alla regia Andrea Tocchio
con
Martina Serafin – La Principessa Turandot
Nicola Pisaniello – L’imperatore Altoum
Alessandro Guerzoni – Timur
Amadi Lagha -Il Principe Ignoto (Calaf)
Lana Kos – Liù
Andrea Zaupa – Ping
Francesco Napoleoni – Pang
Tiziano Barontini – Pong
Claudio Ottino – Un Mandarino
Anna Russo – I Ancella
Marina Gubareva – II Ancella
Luca Micheli – Principe di Persia
costumi Fausto Puglisi con Leila Fteita
disegno luci Valerio Alfieri
coreografie Cristina Gaeta
orchestra del Festival Puccini
coro e coro delle voci bianche del Festival Puccini
maestro del coro Roberto Ardigò
maestro del coro delle voci bianche Viviana Apicella
nella rappresentazione del 28 luglio orchestra e Coro Teatro di Tblisi, Maestro del Coro Chkhenkeli Avtandil
allestimento del Festival Puccini