Al Teatro Sala Umberto, Valentina Lodovini ha riportato in vita il testo di Dario Fo e Franca Rame, per la regia di Sergio Mabellini, che a distanza di quarantuno anni sorprende ancora il pubblico per la sua prorompente attualità.

Il 2 giugno 1946, data in cui per la prima volta in cui le italiane poterono recarsi alle urne per votare, rappresenta la prima tappa del percorso a ostacoli intrapreso dalle donne verso la propria indipendenza e auto-affermazione. Altre tre date furono fondamentali per l’acquisizione di nuovi diritti civili per le donne: il 1970, anno in cui venne introdotto l’istituto del divorzio nel nostro paese, il 1978, anno di promulgazione della legge 194 sull’aborto e il 1981 che sancì l’abrogazione delle leggi riguardanti il delitto d’onore e del matrimonio riparatore. È proprio a cavallo degli anni ’70 e ’80 – più precisamente nel 1977- che Dario Fo e Franca Rame presentarono al pubblico della palazzina Liberty di Milano Tutta casa, letto e chiesa.
Stando al rapporto firmato dall’Eures nei primi dieci mesi del 2018, una donna ogni settantadue ore è stata vittima di violenza da parte di un uomo; mai come ora, quindi, le parole del premio Nobel – che raccontano le storie di quattro donne vessate dai propri compagni – sembrano descrivere i nostri giorni. Nella versione di Sandro Mabellini, regista formatosi con Luca Ronconi e la Societas Raffaello Sanzio di Romeo Castellucci, il compito di sostituire l’attrice milanese spetta a Valentina Lodovini.

Luci bianche e fredde seguono l’ingresso della Lodovini, che entra in scena ballando vorticosamente sulle note di una canzone pop sparate a tutto volume da una radio, avvolta da una vestaglia di seta nera a fiori cangianti: è bella, terrena, sensuale come dovrebbe essere nell’immaginario maschile una moglie perfetta. Il primo monologo ruota intorno a una donna sola che trova come unica interlocutrice la propria dirimpettaia. Dietro un’apparente soddisfazione per la vita che conduce tra le quattro mura domestiche, dovendo badare a un neonato, un cognato ninfomane, con un marito che la tratta come «una rosa in una serra», emerge la disperazione dall’ironia pungente di una persona a cui l’amore vero è stato negato, vittima della persona che dovrebbe amarla ma che invece preferisce adoperarla come un oggetto sessuale, come un corpo senza un’anima. Basta una giacca nera dal taglio maschile per trasformare la protagonista di Benvenuti al sud in una ragazza indipendente che pensa di aver instaurato un rapporto paritario con il proprio uomo, dal quale viene, tuttavia, costantemente delusa per l’incapacità di essere altruista e pensare ad altro oltre che al soddisfacimento dei suoi desideri carnali. Alla condanna della violenza di genere si sostituisce un attacco alla pratica degli aborti clandestini e alla concezione che la donna non possa essere libera di scegliere se essere madre o meno senza sentirsi giudicata dalla società: in un periodo storico in cui si è tornati a parlare della legge 194 e se sia giusto o meno abrogarla e in cui in altri paesi europei come l’Irlanda questa legge è stata introdotta da poco, le parole di Franca Rame strappano un sorriso a denti stretti a chi guarda, facendo riflettere su come viviamo in un mondo che si finge moderno restando incredibilmente retrogrado.
In questo one-woman show, la Lodovini dà probabilmente il meglio di sé quando, smessi i panni della femme fatale, veste quelli di un’operaia sempre in lotta contro il tempo, esasperata per la fatica provocata dal dover rivestire il triplo ruolo di lavoratrice, madre e moglie senza trovare nessun appoggio nella controparte maschile tanto da farle esclamare «io vorrei vivere con te non abitare con te». Era abitudine di Franca Rame variare il contenuto di quest’opera teatrale modificando i tratti e le caratteristiche delle proprie eroine per adattarle al contesto socio-culturale degli anni in cui veniva rappresentato: ecco, dunque, che entra in gioco Mabellini introducendo il personaggio di una Alice in fuga da un paese che di meraviglie non ne ha.

Il regista abbandona in questo atto conclusivo la regia pulita e a tratti didascalica che contraddistingueva l’opera fin dall’inizio per dar vita a uno spettacolo disturbante e metafisico in cui la protagonista cerca una via di fuga da un mondo artificiale creato dai social in cui tutto ciò che serve a una donna – per poter arrivare a ricoprire il ruolo che le spetta nella società e l’attenzione del maschio di turno – è un corpo tonico, una pelle levigata, capelli lucidi e delle labbra plastificate.

Tutta letto, casa e chiesa è uno spettacolo ben diretto e magnificamente interpretato da Valentina Lodovini, capace di dar voce alla frustrazione di tutte le donne in uno spettacolo quantomai attuale e necessario, in cui a essere ritratto è un mondo in cui ieri come oggi a essere il vero protagonista è sempre l’uomo, per cui la donna non è altro che un’entità subalterna da desiderare ma raramente da comprendere e amare.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Sala Umberto

Via della Mercede, 50
11- 16 dicembre

Tutta casa, letto e chiesa
di Dario Fo e Franca Rame
con Valentina Lodovini
regia Sandro Mabellini
costumi Massimo Cantini Parrini
movimento scenico Silvia Perelli
disegno luci Alessandro Barbieri
scenografia Chaira Amaltea Ciarelli
musiche a cura di Maria Antonietta
aiuto regia Rachele Minelli
tecnico audio Gianluca Meda
macchinista Raffaele Basile
organizzazione Arianna Fè
produzione di Pierfrancesco Pisani e TPE-Teatro Piemonte Europa