Il peso della farfalla

Al Teatro di Rifredi torna in scena l’Ubu Roi nella versione, insieme lieve e stralunata, di Roberto Latini. Quando la patafisica incontra la poesia.

“La tragedia e la farsa, la poesia e la volgarità, la commedia e il melodramma, l’amore e l’erotismo, l’happening e la teoria degli insiemi, il cattivo gusto e la raffinatezza estetica, il sacrilegio e il sacro, la condanna a morte e l’esaltazione della vita, il sordido e il sublime”. In breve, Fernando Arrabal, ieri; Roberto Latini, oggi.

Mettere in scena l’Ubu Roi è sempre una scommessa. In pochi ci sono riusciti. Qualche anno fa, alla Compagnia degli Scarti (con Ubu Rex, 2011), e sicuramente a Latini, con questa versione del 2012, nuovamente in scena al Rifredi di Firenze.
Latini fa un lavoro rispettoso di alcuni tra i dettami dell’inventore della patafisica, pur innestando linguaggi e rimandi che accrescono la forza del testo originale, senza disperderne la corrosività di denuncia del potere. Seppure con un tocco clownesco che, in alcune scene, esalta una poesia della vita insieme struggente e malinconica (un solo esempio: l’innocenza del fanciullo/burattino, che gira a cavalcioni della sua bicicletta, come in un gioco, intorno al cadavere/scheletro, vittima dell’ultima Guerra di Piero).
La consonanza tra i due autori si rileva nell’uso dei teli bianchi come scenografia neutra (firmata da Luca Baldini, e ottimamente valorizzata dal disegno luci puntuale e suggestivo di Max Mugnai), in linea con quella tela non dipinta o il rovescio di una scena, prescritto da Jarry in De l’inutilité du théâtre au théâtre (Dell’inutilità del teatro a teatro). Mentre la profusione degli oggetti, astratta e surreale, rimanda a quell’ambientazione “perfettamente esatta” della prima messinscena del 1896. Anche l’uso della maschera è in perfetta consonanza con la visione teatrale di Jarry (e, tra l’altro, è oggetto metaforicamente interessante nell’Ubu Roi, in quanto permette di distanziare anche a livello di immagine il momento comunitario – da giardino dell’Eden – in cui si è tutti uguali e in pace con sé e gli altri, dall’affermazione dell’io individuale, che produce bisogno di affermazione e volontà di sopraffazione). La distorsione vocale e l’utilizzo del microfono, più che esaltare la macchina attorale che Latini mutua da Bene, seguono i dettami del patafisico. Così come la scelta recitativa antinaturalistica e la gestualità da marionetta, che si sposano particolarmente bene con il Pinocchio interpretato dallo stesso Latini, e con la regina Rosmunda dell’eccellente Sebastian Barbalan (altrettanto bravo nel ruolo dello zar Alessio in versione Toshirō Mifune).

Tornando agli oggetti, la sintonia di Latini con Jarry permette al primo di giustificare, all’interno di una creazione poetica complessivamente efficace, l’uso di quell’universo simbolico intriso di erotismo e tenerezza fanciulla, sado-masochismo e amore per la vita, che contraddistingue il suo fare teatro. La catena che Pinocchio porta al collo, come quella che lega Pozzo a Lucky, è insieme reale e metaforica; l’en travesti duetta con l’antinaturalismo; la moltiplicazione dei segni restituisce quella sarabanda circense che è questo nostro folle mondo nelle mani dei vari Mandrake e Stranamore.
Anche le dissonanze tra Latini e Jarry contano nel rendere questa versione di Ubu Roi un piccolo capolavoro. Gli innesti testuali di Latini provocano un cortocircuito insieme straniante e ammiccante. Come non riconoscere le battute di Eduardo? Quel “Te piace o’ presepe?”, tormentone tenero del vecchio Luca Cupiello. O i passaggi shakespeariani (che, del resto, si giustificano anche con la derivazione parodistica dello stesso testo di Jarry dal Macbeth). L’intero palcoscenico e il testo, asciutto eppure debordante di significati, mostrano persino una nota inedita di Latini, che pare ispirarsi alla visione strehleriana del Re Lear (targata ’72): “un grande teatro di pazzi, un grande circo-mondo”. Ma perché la sarabanda funzioni in maniera talmente impeccabile, la mano registica deve essere stata di una precisione svizzera.
Applausi per il lavoro di Gianluca Misiti, e per i costumi barocchi e surreali di Marion D’Amburgo. Oltre che per l’intero cast, con un Ciro Masella Mamma Ubu all’ennesima potenza.
Un grande momento di teatro.

Foto di Simone Cecchetti

Lo spettacolo continua:
Teatro di Rifredi

via Vittorio Emanuele II, 303 – Firenze
fino a sabato 19 novembre, ore 21.00

Fortebraccio Teatro presenta:
Ubu Roi
di Alfred Jarry
adattamento e regia Roberto Latini
con Roberto Latini
e con Savino Paparella, Ciro Masella, Sebastian Barbalan, Marco Jackson Vergani, Francesco Pennacchia, Guido Feruglio e Fabiana Gabanini
musiche e suoni Gianluca Misiti
scena Luca Baldini
costumi Marion D’Amburgo
luci Max Mugnai
un progetto realizzato con la collaborazione di Teatro Metastasio Stabile della Toscana