Psicologia delle folle

Formidabile, cinico, dirompente. La pièce scritta da Ibsen nel 1882, in scena in questi giorni al Teatro Argentina, mantiene intatta la sua verve critica e ironica nei confronti del potere, portando alla ribalta temi e problemi di scottante attualità: dall’emergenza ambientale alle distorsioni della democrazia, dalla manipolazione dell’informazione alle perverse dinamiche del consenso popolare, dalla contraddizione tra ideale e reale alla sconfitta dei principi etici di verità e giustizia, destinati a soccombere davanti agli interessi delle classi dominanti.

La riuscita dello spettacolo dipende dalla felice combinazione di una molteplicità di fattori: la sapiente regia di Massimo Popolizio, impegnato sul palcoscenico nel ruolo dell’integerrimo dottor Stockmann, la recitazione impeccabile di Maria Paiato, che dà il meglio di sé nel ruolo maschile di Peter Stockmann, fratello del dottore e sindaco della città, la bravura di tutti gli attori che contribuiscono a restituire la polifonia di voci e di punti di vista, con i loro repentini ribaltamenti, di cui si compone la vicenda. Ognuno svolge una funzione esemplare: Kathrine, la moglie del dottore, fedele sostenitrice del marito eppure attenta al benessere economico finalmente raggiunto e agli umori della gente che conta; Petra, la figlia adorante del dottore, erede dell’amore del padre per la verità e per il bene comune; Hovstad, direttore della Voce del Popolo, sempre in cerca di scandali che facciano vendere il giornale; Aslaksen, “moderato” presidente dell’associazione dei proprietari di case e principale azionista del giornale.

Sebbene il luogo e il tempo in cui la trama si snoda – come suggeriscono gli abiti e l’eloquio dei personaggi – siano lontani, non è difficile interpretarla – per dirla con Croce – come una “storia contemporanea”, fortemente legata ai problemi e agli interrogativi dell’uomo di oggi. Che cosa accade, infatti, quando il dottor Stockmann scopre che le terme, il motore economico della città, sono inquinate dai liquami di scarto della conceria, di cui è proprietario il suocero? La sua integrità non dà adito a dubbi: bisogna subito informare la popolazione e chiudere il centro termale per attuare le opportune misure di bonifica. Si dà il caso, però, che il sindaco – politico navigato ed espressione della piccola borghesia che lo ha votato – si opponga, sconfessando la veridicità delle analisi ordinate dal fratello e ingaggiando una lotta all’ultimo sangue per mantenere le cose così come stanno.

A chi è di vantaggio infatti sostenere che le acque e i vapori miracolosi delle terme sono, in realtà, pieni di sostanze nocive per la salute? La chiusura delle terme, lo spettro delle enormi spese da sostenere per la manutenzione delle condutture, la conseguente impossibilità per i piccoli proprietari di affittare ai vacanzieri le loro case sono le argomentazioni che parlano alla “pancia della gente”, con cui il sindaco riesce a convincere l’assemblea cittadina che l’allarmismo del dottor Stockmann è privo di fondamento, trasformandolo in un “nemico del popolo”. Nella lotta tra la pólis e il dottor Stockmann, che rievoca il celebre processo a Socrate, il secondo esce sconfitto: l’imputato è impossibilitato a difendersi, annientato dalle cogenti accuse del fratello, che – da abile sofista – sa come far presa sulla “compatta maggioranza” della popolazione. L’analogia tra Stockmann e Socrate funziona però fino a un certo punto, se è vero che gli attacchi aggressivi ed elitari del primo hanno ben poco a che vedere con la tecnica maieutica del secondo: Stockmann non intende aiutare gli altri a trarre fuori la verità dalle loro anime, con la pazienza del dialogo, ma pretende imporre la sua opinione con l’arroganza dell’uomo di scienza.

Il dispositivo democratico (che affida il “governo” al “popolo”) si trova dinnanzi al bivio rilevato da Foucault: o si intraprende la strada della parresía in cui il dire, il vivere e il pensare sono armonizzati nello stesso soggetto, come in Socrate, o si segue la strada della retorica, che «fornisce al parlante strumenti tecnici per aiutarlo ad avere il sopravvento sulle opinioni dei suoi ascoltatori (indipendentemente dalla opinione personale del retore su ciò che egli sta dicendo)» (Discorso e verità). Sembra che nel dramma ibseniano trovino spazio non uno, ma due modi di essere sophistés: quello del sindaco, incarnazione del relativismo populista, così di moda anche oggi, e quello di Stockmann, il cui amore per la giustizia è altrettanto retorico, animato com’è dal bisogno di affermazione personale. Nessuna parresía socratica, nessuna aderenza tra parola e realtà, ma solo due forme di cinismo: quella di chi manipola la verità in base a precisi interessi economici (il sindaco, il direttore del giornale) o quella di chi smaschera il reale col solo scopo di farsi ammirare da un pubblico più vasto (il dottor Stockmann). In mezzo allo scontro “biblico” tra i due fratelli, il popolo, che si lascia trascinare ora da una parte, ora dall’altra e che – incapace di formulare un giudizio critico – sfogherà alla fine le sue pulsioni regressive e violente, prendendo a sassate la casa del dottore e isolando i membri della sua famiglia.

Il testo originale è composto da cinque atti; lo spettacolo a cui abbiamo assistito li condensa magistralmente in uno solo, della durata di circa due ore, mantenendo alta la tensione e alternando continui colpi di scena. La scelta della traduzione di Squarzina (1948), ancora oggi pregnante (sebbene ve ne siano di più aggiornate: per esempio, quella di Sandra Collella, in H. Ibsen, Drammi moderni, a cura di R. Alonge, Rizzoli, 2009), la sceneggiatura per certi aspetti “cinematografica” di Popolizio e la recitazione degli attori bene si accordano alla varietà di registri della pièce ibseniana che alterna l’intensità del genere tragico con l’ironia della commedia tradizionale. Già Croce si era chiesto se Ibsen avesse voluto «ritrarre, nel dottor Stockmann, un eroe o un fanatico, uno spirito profondo o uno spirito ottuso, un personaggio che tenda verso il sublime o verso il grottesco» (Note sulla poesia italiana e straniera nel secolo XIX, 1921). Il medico delle terme, che deve il posto al fratello, è davvero un idealista senza macchia? O piuttosto un ambizioso megalomane, disposto a tutto pur di mettersi in evidenza, anche a disgregare la comunità che disprezza, pur facendone parte? È davvero amico del popolo, o piuttosto un nemico di esso, chi dichiara davanti all’assemblea cittadina: «Quelli che vivono nella menzogna dovrebbero essere sterminati come animali nocivi, tutti! Alla fine appesterete tutto il paese; vi spingerete a tal punto che tutto il paese meriterà di essere annientato. E se si arriverà così lontano, allora vi dico dal più profondo del cuore: che venga pure annientato l’intero paese; che venga pure sterminato l’intero popolo!».

La democrazia è in pericolo, ci ricorda Ibsen, sia se si è persuasi che la maggioranza abbia sempre ragione sia se si crede – come fanno le minoranze elitarie – che abbia sempre torto: in un caso, come nell’altro si presuppone che la verità sia proprietà esclusiva di qualcuno, molti o pochi che siano. L’autistica conclusione a cui perviene il dottor Stockmann lascia lo spettatore ancora più perplesso: lui, screditato da tutti, ma irremovibile nelle sue convinzioni nonostante i tentativi di corruzione del suocero, reputa di essere “l’uomo più forte al mondo” e, proprio per questo, “il più solo”. Ma a che serve avere ragione, se non si convincono gli altri e non si costruisce insieme ad essi un progetto comune? Forse Ibsen può essere considerato il promotore di un nuovo ecologismo, basato non più sull’elencazione delle catastrofiche conseguenze dell’inquinamento globale, ma sulla necessità di accendere il desiderio di un mondo migliore?

Prima di intervenire sulla realtà per trasformarla, occorrerebbe allora intervenire sul nostro immaginario.

Lo spettacolo è in scena
Teatro Argentina

Largo di Torre Argentina, 52 – Roma
fino al 28 aprile
martedì e venerdì h 21.00; mercoledì e sabato h 19.00; giovedì e domenica h 17.00.

Un nemico del popolo
di Heinrik Ibsen
Traduzione di Luigi Squarzina
Regia di Massimo Popolizio
Con Massimo Popolizio, Maria Paiato, Tommaso Cardarelli, Francesca Ciocchetti, Martin Chishimba, Matia Laila Fernandez, Paolo Musio, Michele Nani, Francesco Bolo Rossini, Dario Battaglia, Cosimo Frascella, Alessandro Minati, Duilio Paciello, Gabriele Zecchiarioli
Assistente alla regia Giacomo Bisordi
Direttore di scena Osvaldo Cattaneo
Scene Marco Rossi
Costumi Gianluca Sbicca
Luci Luigi Biondi
Suono Maurizio Capitini
Video Lorenzo Bruno e Igor Renzetti
Realizzazione scene Laboratorio di scenotecnica del Teatro di Roma
Costumi Sartoria Farlani, Sartoria Tirelli
Una produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale