Un nuovo teatro nel cuore di Roma

L’impressione che si ha, appena si varca la soglia del teatro Trastevere, è quella di uno spazio accogliente.

E la sua seconda stagione è davvero ricca di eventi: dalle mostre ai laboratori teatrali, dai Lunedì musicali per la regia di Salvatore Santucci alla rassegna di corti teatrali Circuito Corto. Un programma che si snoda attraverso un cartellone quanto mai audace, capace di tenere insieme sperimentazione, giovani autori e attori, promozione di nuove compagnie, con i classici della tradizione teatrale.

Un viaggio quanto mai variegato e carico di nuove e vecchie suggestioni, in grado di spaziare dalla cupa duplicità umana – nell’eterna lotta tra il bene e il male de Lo strano caso del Dott. Jekyll e del Signor Hyde, con cui si inaugura la stagione – alla brillantezza di Camere con Crimini e Simon Suite, una delle più conosciute commedie di Neil Simon, passando per l’intensa analisi dell’angoscia quotidiana di due società lontane eppure così vicine come l’Inghilterra vittoriana di Gaslight (angoscia) e quella contemporanea popolata di antieroi in cerca di redenzione di Suicide Veejay Show, fino ad approdare al realismo “sociologico” di La precaria – una professoressa alle prese con l’odierna decadenza scolastica – e di I lieder di Schumann – in cui l’ansia d’amore intrisa di passione conduce a un’afasia sentimentale difficile da superare. Il direttore artistico Francesco Di Pinto, attore dal 1991 oltre che autore e regista, e l’interprete di Camere con Crimini, Paola Gatti, ci aiutano a capire il perché di questa scommessa teatrale.

Intervista a Francesco Di Pinto


Come è nata l’idea del Teatro Trastevere?

F. Di P.: «Abbiamo creato questa Associazione, denominata Teatro Trastevere, lo scorso anno a novembre, dopo varie esperienze teatrali, sia mie che degli altri soci Tommaso Marrone e Umberto Gregori. Dopo anni di spettacoli sia come attori che come registi, abbiamo preso in gestione questa sala, che era quella dove facevamo le prove, per tentare di darle nuova vita, contribuire a immettere nuova linfa. Lo spazio ci sembrava adeguato per una risposta di pubblico e artistica, col preciso obiettivo di dare possibilità espressiva ad autori e registi, a attrici e attori che hanno poca visibilità e poche occasioni per esprimere il loro talento».


È stato difficile trovare questo spazio, pagare un affitto? Le istituzioni vi ha aiutato a sostenere le spese?

F. Di P.: «No, nessuna. Come Associazione Teatro Trastevere ci auto-sovvenzioniamo. La proprietà è della parrocchia qui accanto. Noi paghiamo la gestione e abbiamo tutti i costi sulle nostre spalle. Naturalmente ci autogestiamo con il tesseramento e gli incassi».

Avete dei modelli o precise indicazioni culturali che vi hanno influenzato?
F. Di P.: «Quando abbiamo preso in gestione il teatro abbiamo deciso che sarebbe stato un spazio aperto a varie espressioni culturali. Infatti, nel nostro cartellone diamo spazio a tutte le ricerche artistiche: dagli atti unici tradizionali ai corti, dai concerti musicali alle più recenti sperimentazioni. Insomma, un contesto libero che dà ampia visibilità a chi vuole mettersi in gioco».

In che modo Il Teatro Trastevere vuole proporsi all’interno della scena romana?
F. Di P.: «Dando innanzitutto occasioni preziose a chi vuole dire qualcosa, a chi vuole proporre un’idea e un progetto teatrale ricco e convincente, carico di storia ma aperto al futuro e togliendo la famosa e quanto mai sfruttata distinzione tra teatro amatoriale e professionistico. Ho notato alcune compagnie amatoriali che sono allo stesso livello di quelle professionistiche, e le prime – secondo me – meriterebbero più spazio e maggiori opportunità per emergere e far valere il loro linguaggio e la loro voglia di fare teatro, comunicando al maggior numero di persone possibili le loro esperienze».

Come pensate di legare la sperimentazione con i testi classici della tradizione?
F. Di P.: «Abbiamo varie compagnie che si occupano di mettere in scena questa sinergia. Nei quattro spettacoli che produciamo come Teatro Trastevere diamo voce ad altrettanti autori molto diversi tra loro, come Sam Bodrick e Ron Clark, Marivaux, Reginald Rose e Giancarlo Loffarelli, proprio per venire incontro alla nostra vocazione pluralistica di tenere insieme la ricerca di linguaggi nuovi con la ridefinizione dei testi classici, su cui si basa e può ripartire la nostra immensa tradizione teatrale. Spaziamo dalla complessa storicità del 1700 ai ritmi avvolgenti della commedia brillante e al realismo dei giorni nostri».

Credete che il vostro cartellone anticipi o segua i gusti del pubblico?
F. Di P.: «Gli spettacoli che abbiamo messo in cartellone, li avevo in animo da parecchio tempo. E ho notato che tutto ciò che ho proposto in questi ultimi anni ha sempre incontrato i gusti del pubblico. Mi sembra che il nostro programma sia ampiamente in linea con la sua richiesta teatrale e, più in generale, artistica».

Cosa vi aspettate da questa stagione?

F. Di P.: «I primi mesi di lavoro sono stati entusiasmanti. Abbiamo avuto un grande riscontro di pubblico. Continueremo su questa strada, esaminando sempre nuove proposte, nuovi spettacoli, nuovi linguaggi, nuovi artisti: una promozione culturale a 360 gradi».

Pensate che i piccoli teatri abbiano abbastanza spazio per far valere la propria direzione artistica, le proprie scelte culturali?

F. Di P.: «Io non credo ci siamo dei monopoli culturali che dominano integralmente la scena. Certo, non c’è dubbio che l’attore professionista deve stare sempre sul pezzo. Ma è altrettanto innegabile che nel teatro cosiddetto amatoriale c’è altrettanto o forse maggior sacrificio rispetto a quello professionistico. Un sacrificio non solo economico ma anche di tempo sottratto al lavoro, agli affetti, alla famiglia. Ed è proprio nell’impegno per valorizzare il grande talento di attori e compagnie che fanno teatro amatoriale, per evidenziare questa immensa ma sotterranea ricchezza espressiva, che trae origine il Teatro Trastevere».

Dopo aver dialogato con il direttore Di Pinto, la nostra conversazione continua con Paola Gatti, interprete di Camere con crimini di Sam Bodrick e Ron Clark – che andrà in scena dal 28 settembre al 3 ottobre – e regista dell’ultimo spettacolo della stagione, dal titolo I lieder di Schumann, di Giancarlo Loffarelli.

Intervista a Paola Gatti


Come è nata la sua passione per il teatro?

P.G.: «Di Pinto ha comiciato a recitare nel 1991, io invece ho smesso nel ’92 per poi ricominciare dopo la nascita di mio figlio. Ho iniziato molto prima: fin da giovanissima ho sentito la passione del teatro, una voglia che ti porti dentro, coltivandola, nel corso degli anni e che metti in tutto quello che fai. Ma le mie prime esperienze erano legate al teatro gestuale, dato che la mia formazione è clownesca».

Come hai iniziato a recitare al Teatro Trastevere?

P.G.: «È stato molto semplice. Un bel giorno ho incontrato Di Pinto che, vedendomi recitare, mi ha chiesto di lavorare insieme. Da quel momento ho accettato di partecipare a questa avventura. Devo dire che, come attrice, mi sento molto soddisfatta a lavorare con questa compagnia, che è un ottimo ensemble nel quale è sempre possibile costruirsi un proprio spazio. Per quanto riguarda la regia, invece – dato che tutte le regie mi sono sempre state strette – ho deciso che potevo iniziare a dirigere me stessa. Quando Di Pinto mi ha offerto I lieder di Schumann, ho accettato subito».

Come si sente in questo doppio ruolo?

P.G.: «Mi sento molto più completa e soddisfatta. Non vado in conflitto con me stessa. Sono abituata a crearmi personaggi e situazioni. Infatti, quando i registi mi dirigono imponendomi tutto quello che devo fare, soffro perché non posso scegliere liberamente la mia messinscena. Penso che se potessi dirigere quella scena secondo le mie necessità espressive, funzionerebbe meglio e, alla prova dei fatti, ho sempre verificato che è così. Me ne accorgo anche dal giudizio positivo del pubblico».

Pensa che il programma rischi di appiattirsi sulla cronaca oppure sia in grado di costruire un preciso linguaggio in cui il pubblico si riconosca?

P.G.: «Sicuramente questa è la speranza. Essere capaci di costruire un linguaggio inedito, una grammatica estetica autonoma, una qualità artistica da coltivare attraverso un rapporto organico e diretto con il pubblico, divenendo un polo culturale completo e all’avanguardia nel vasto panorama romano, permettendo alle numerose compagnie in cartellone di esprimersi liberamente e lasciando che la domanda del pubblico cresca con la loro offerta».

Cosa si aspetta da questa stagione?

P.G.: «Innanzi tutto delle critiche positive che stimolino il pubblico a seguire, attento e numeroso, il nostro cartellone e le nostre iniziative artistiche e culturali. Anche perché tutte le compagnie che si esibiranno sono molto unite tra loro, lavorano bene e lo dimostreranno sicuramente».