Vizi e tabù di una società – lumaca per la parità di genere

teatro-pergola-firenzeCasa di bambola, un classico della letteratura nordeuropea, è andato in scena al Teatro La Pergola di Firenze, con la regia dalla direttrice artistica del Parenti di Milano, Andrée Ruth Shammah.

Il capolavoro di Ibsen, scritto durante un soggiorno in Italia e pubblicato nel 1879, provocò molto scandalo – tanto che l’attrice tedesca destinata al personaggio di Nora, nel 1880, si rifiutò di incarnare una donna così scellerata. Il che obbligò l’autore a cambiarne il finale, tornando in seguito alla stesura originale.

Il dramma dell’autore norvegese, nella coproduzione di Teatro Franco Parenti e Teatro Fondazione Toscana con la direzione della regista Shammah, rititolato Una casa di bambola, è scenograficamente ambientato in un soggiorno a toni pastello, dove il rosa, colore amato anche nella vita da Marina Rocco (l’interprete di Nora), ha un ruolo di spicco.

Rosa è il colore dei sogni e, specialmente, di quel sogno di amore romantico, che proprio nel XIX° secolo ebbe origine insieme alla nascita della borghesia: un nuovo modo di vivere i sentimenti, che rifiutava i matrimoni combinati, per un’ambita relazione di amore passionale. Per le donne inizialmente fu una conquista, ma il nuovo ceto sociale borghese varava anche le sue regole di comportamento e sanciva ufficialmente i diversi ruoli di genere. Un sogno che si svelò in seguito, per la maggior parte dei matrimoni, un bluff clamoroso, a discapito delle donne.

In questo nuovo universo etico, dove il mondo maschile ha un ruolo pubblico, le buone mogli e madri devono in ogni momento esibire e difendere la propria onorabilità. La reputazione che Nora vede minacciata da Krogstad, un oscuro individuo che le ha fatto un prestito monetario, totalmente all’insaputa dal marito Torvald – che mai approverebbe – che lei non riesce a saldare.

Nella prima scena dello spettacolo Nora piange, sola nel soggiorno di casa, appena rientrata dagli acquisti natalizi. Un segno evidente che non sta bene, che c’è qualcosa che non va. Ma cosa? Ha una bella casa, tre figli meravigliosi e uno sposo con in tasca una promozione a direttore di banca. Niente è apparentemente fuori posto, come nelle forme esigeva la vita della classe borghese del tempo.

Seguendo la propria visione dell’opera, Shammah scava nel personaggio femminile, e anche in quello maschile (interpretato dal poliedrico Filippo Timi), da un punto di vista diverso. Se è vero che Nora, nell’inconfondibile tonalità vocale della brava Marina Rocco, dipende economicamente dal marito Torvald – che la sgrida come una bambina quando mangia troppi dolci, poiché sottomessa come conveniva – è altrettanto immediato come sia Nora a manovrare la situazione, per pura sopravvivenza, con le sue moine e con il suo doppio gioco in buona fede. Nora, infatti, non è solo dipendente dal marito, ma altresì una donna insoddisfatta, che non sa trovare una via d’uscita pratica al ruolo di regina della casa, sempre alla ricerca di qualcosa che la faccia sentire e vedere come un cervello pensante.

Nella versione scenica, la regista infrange continuamente la quarta parete – la linea invisibile che separa il pubblico dal palcoscenico. Marina Rocco sale sul palco passeggiando da metà platea e conclude il suo ruolo camminando in mezzo al pubblico, fino a scomparire attraverso un’uscita laterale. Timi, separato dalla scena attraverso un velo nero, si rivolge direttamente al pubblico come un opinionista, ponendo domande e criticando il ruolo maschile: al servizio di una sorta di metateatro ironico, rinchiuso come una scatola cinese dentro al dramma familiare e personale di Nora.

I ruoli dei tre personaggi maschili principali sono interpretati tutti da Filippo Timi, senza nessuna variazione vocale e poche differenze nell’abbigliamento (per i cambi di costume, del resto, non ci sarebbe stato il tempo). Al che l’attore si concentra soprattutto sul linguaggio paralinguistico e prossemico, dando spunti ironici – apprezzati dal pubblico – attraverso la mimica facciale. Ma qui sorge un dubbio: perché Shammah ha fatto proprio questa scelta e non ha affidato a tre diversi interpreti i ruoli maschili?

La rivisitazione del dramma di Ibsen, si può interpretare come una denuncia a entrambi i generi, maschile e femminile: l’interazione e i comportamenti nei ruoli pubblici e privati uomo/donna non sono attribuibili solo a un gruppo, ma entrambi contribuiscono all’evoluzione, anche in negativo, dei rapporti interpersonali e intergenere – che da sempre caratterizzano due mondi così diversi.

Nel complesso, lo spettacolo risulta un genere ibrido di non immediata comprensione: Nora vive un ramma (come da opera di Ibsen) che, nel finale, esplode con la sua presa di coscienza della ersonalità del marito – che decide di lasciare. Un grande salto di qualità nell’emancipazione emminile della seconda metà dell’Ottocento, e anche etico e morale nell’evoluzione del genere mano. In quest’ottica, però, gli interstizi parodiali metateatrali di Timi che scopo dovrebbero aggiungere? Quello di restituirci la superficialità maschile o l’illusoria supremazia sulle donne?

Lo spettacolo è andato in scena;
Teatro La Pergola
via della Pergola – Firenze
sabato 27 febbraio

Una casa di bambola
di Henrik Ibsen
traduzione, adattamento e regia Andrée Ruth Shammah
con Filippo Timi, Marina Rocco, Mariella Valentini, Andrea Soffiantini, Marco De Bella, Angelica Gavinelli, Elena Orsini e Paola Senatore
spazio scenico Gian Maurizio Fercioni
elementi scenici Barbara Petrecca
costumi Fabio Zambernardi in collaborazione con Lawrence Steele
luci Gigi Saccomandi
musiche Michele Tadini
una coproduzione Teatro Franco Parenti / Fondazione Teatro della Toscana