La bambola diventa donna

franco-parenti-teatro-milano1Al Teatro Franco Parenti, fino al 24 febbraio, Una casa di bambola: il duo riuscito e affiatatissimo Filippo Timi – Marina Rocco viene diretto da Andrée Ruth Shammah in questa rivisitazione del dramma ibseniano che oscilla tra fedeltà al testo e inediti inserti comici (che non stonano col testo). 

Come nei film di Lynch o di Kubrick, quando c’è un’inquadratura domestica che sembra la più normale, placida e tranquilla possibile, lo spettatore ha la consapevolezza che lì dietro è in agguato qualche vicenda atroce imminente o già accaduta. E così sembra in questa regia di Una casa di bambola, nella quale Andrée Ruth Shammah ha trasformato il delizioso salotto borghese arredato con grazia nei toni del rosa cipria, nello scenario di una trama che assume tutti i sentori e le vibrazioni di un thriller. Ma, come affermato dalla regista stessa, la tensione è solo un pretesto per sviscerare ciò che c’è di irrisolto e di incancrenito tra un marito e una moglie, o meglio ciò che c’era di marcio nei rapporti tra uomo e donna in età vittoriana: ma siamo sicuri che per molte donne d’oggi non sia ancora così? Forse in misura minore, forse in maniera più nascosta e subdola? E soprattutto: siamo sicuri che Nora sia totalmente una vittima in questa vicenda?

Marina Rocco nei panni di Nora non poteva essere scelta migliore: il candore, la bellezza infantile dell’attrice, così come la facilità che ha nell’interpretare i ruoli di donna evanescente, allegra e leggiadra, in un primo momento ci fanno pensare che l’attrice non si discosti mai da un certo tipo di personaggio al quale è ormai avvezza; in realtà, la svolta finale in cui finalmente Nora prende in mano le redini della sua vita e decide di diventare adulta ci permette di capire che oltre a una grande vena comica la Rocco sa anche approfondire le corde del dramma e, forse, proprio con questo spettacolo (di cui è protagonista indiscussa) riusciamo a comprendere quanto stia diventando adulta anche nel suo percorso attoriale.
A farle da degno contraltare un Filippo Timi in gran spolvero, che sulle prime sembra ingessato nell’interpretare Torvald, forse perché si confronta con un ruolo molto scritto e poco improvvisato (diversamente da come lo conosciamo da anni con le sue regie istrioniche e rocambolesche), ma qualsiasi dubbio sparisce nel momento in cui vive la prima trasformazione e da Torvald si tramuta nel dottor Rank, con una mimica totalmente diversa e impeccabile e, ancora più impeccabile e credibile quando interpreta l’inquietante e inquieto Krogstad, il motore di tutta la vicenda drammatica. Ma il buon Filippo non perde occasione per (giustamente) personalizzare il carattere dei personaggi maschili e riesce a regalare momenti comici davvero intelligenti, che non stonano mai con il testo e, anzi, alleggeriscono la tensione gettando una luce nuova e più moderna su alcuni passaggi del dramma ibseniano. I due attori in scena riescono perfettamente a esprimere gli antipodi del maschile e del femminile con tutte le loro contraddizioni e debolezze: quello che d’interessante emerge da questa regia della Shammah è che non si può totalmente condannare o assolvere uno dei due, come spesso è capitato nelle tante regie fin’ora realizzate. Da una parte abbiamo Nora che dispone della vita del marito sia quando fa finta di essere inerme nella sua dimensione di bambina viziata, sia quando decide di essere libera e abbandona marito e figli senza possibilità di replica; dall’altra abbiamo degli uomini che sembrano irremovibili e autoritari, ma che rinunciano ai loro propositi appena intravedono il tornaconto personale: Torvald si rimangia ogni parola quando capisce di aver salva la reputazione; Krogstad rinuncia al suo riscatto personale quando decide di accontentarsi della compagnia della sua vecchia amante, la signora Linde – ma capiamo benissimo che lei non lo amerà mai quanto lui e sarà solo una compagnia di comodo per entrambi.

Quello che di nuovo emerge in questa drammaturgia è anche l’energia di una Nora che appare quasi come una sorta di Antigone vittoriana che lotta contro la legge dello Stato per difendere la legge di famiglia: tutte le leggi che le proibiscono di amare ed essere felice sono per lei solo parole scritte che dovrebbero rimanere tali, e nel rivendicare questo la Nora di Marina Rocco non è mai infantile, ma drammaticamente risoluta, con una sicurezza che ci fa già presagire che in lei, il seme del dubbio e della consapevolezza che sta gradualmente crescendo, non è un repentino cambiamento degno della più capricciosa delle bambine viziate, ma un percorso lento e doloroso.

Lo spettacolo è in scena
Teatro Franco Parenti 
via Pier Lombardo 33, Milano
fino al 24 febbraio
Una casa di bambola
di Henrik Ibsen
traduzione, adattamento e regia di Andrée Ruth Shammah
con Filippo Timi, Marina Rocco, Marinella Valentini, Andrea Soffiantini, Marco De Bella, Angelica Gavinelli, Elena Orsini, Paola Senatore
spazio scenico Gian Maurizio Fercioni
costumi Fabio Zambernardi in collaborazione con Lawrence Steele
luci Gigi Saccomandi
musiche Michele Tadini
aiuto regista Benedetta Frigeri
assistente allo spettacolo Diletta Ferruzzi
direttore dell’allestimento Alberto Accalai
pittore scenografo Santino Croci
direttore di scena Marco Pirola
macchinista costruttore Tommaso Serra
elettricisti Domenico Ferrari, Gianni Gajardo
fonico Matteo Simonetta
responsabile sartoria Teatro Franco Parenti Simona Dondoni
sarta Caterina Airoldi
produzione Maria Zinno
assistente di produzione Caterina Floramo
scene costruite presso il laboratorio del Teatro Franco Parenti e FM Scenografia