Aspettando Gregor Samsa

L’antropologia teatrale dell’Odin Teatret sbarca al Quirino con la seconda parte del Progetto 58° Parallelo Nord, ideato da Lorenzo Gleijeses. Un percorso creativo, intenso e rigoroso, per addetti ai lavori. Uno spettacolo che mette in scena l’urgenza di andare in scena. Ispirandosi liberamente al racconto kafkiano, Gregor Samsa ripete in maniera ossessiva i materiali coreografici del suo imminente spettacolo, la cui data è però imprecisata.

Dopo avere esplorato con Corcovado alcuni aspetti contemporanei dell’esperienza del viaggio e del viaggiare, plasticamente rappresentati all’interno di un non-luogo per eccellenza (la sala di consegna bagagli di un aeroporto), l’attore e performer Lorenzo Gleijeses, in Una giornata qualunque del danzatore Gregor Samsa, si impegna a mettere in forma le aporie del movimento e l’irrisolta dialettica tra umanità e animalità.

L’orizzonte “negativo” che fa da sfondo alla sua ricerca, in cui si è fatto accompagnare dalla formidabile diade registica formata da Eugenio Barba e da Julia Varley, è dato dal concetto di dromoscopia, termine con cui il filosofo Paul Virilio intende raccontare la fine del senso della storia e la trasformazione del presente in un insieme di simultaneità istantanee: «PROGREDIRE, corrisponderebbe ad ACCELERARE… Accelerazione di una Storia dromologica e della sua corsa non più verso l’UTOPIA, ma verso l’UCRONIA del tempo umano. Dopo il secolo dei Lumi, ci sarebbe dunque quello della velocità della luce e, poi, della luce della velocità, il nostro» (L’incidente del futuro).

Un moto rettilineo uniforme, quello che conduce da un punto all’altro in uno spazio e in un tempo newtoniani, è divenuto oggi impensabile, oltre che impraticabile, essendo ogni movimento sempre relativo a punti di osservazione a loro volta transitori, perturbato da continue variazioni, in una sorta di eraclitismo assoluto che finisce per coincidere col più rigido eleatismo perché se tutto si muove, in realtà, niente si muove.

Se in Corcovado l’indagine ha riguardato soprattutto il sex-appeal dell’inorganico e il farsi “cosa” tra le “cose”, in Una giornata qualunque alcuni dei temi più trattati sono quelli dell’arte come necessità interiore e del rapporto Padre-Maestro, del divario tra le tecniche quotidiane ed extra-quotidiane del corpo, dell’intenzionalità pre-espressiva del corpo danzante, dunque del «comportamento fisiologico e socio-culturale dell’uomo in una situazione di rappresentazione» (Anatomia del teatro, Barba).

«Gregorio Samsa, svegliandosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo». Poco oltre, descrivendone il rocambolesco tentativo di scendere dal letto, Kafka aggiunge: «Avrebbe avuto bisogno di braccia e di mani per levarsi, e invece aveva soltanto tutte quelle zampine, che senza interruzione si agitavano in ogni senso e che inoltre egli non sapeva comandare» (La metamorfosi). Il corpo teso di Lorenzo Gleijeses, desublimato nell’orrido scarafaggio kafkiano, ci catapulta nello spazio transizionale di uno spettacolo enigmatico e sorprendente, in cui i confini tra soggetto e oggetto, dentro e fuori, sogno e realtà sono sottoposti a pressioni violentissime, sempre pronti a saltare. A pochi passi dalla scena, il pubblico assiste alla mirabolante performance del danz-attore napoletano, lasciandosi a un tempo coinvolgere e respingere dalle assillanti sequenze dei suoi gesti e dei suoi passi, frastornare da luci psichedeliche e musiche incoerenti, perseguitare da voci fuori campo. Sono le stesse voci che Gregorio Samsa sente dentro la sua mente: la voce del Maestro che lo rimbrotta e lo spinge a migliorare, rinviandolo a provare il giorno seguente; la voce della fidanzata al telefono che si lamenta del poco tempo riservato alla coppia; la segreteria telefonica della psicologa che lo ha in cura e a cui si rivolge durante un crollo psicotico, ma senza esito. La distanza tra il pubblico e la scena è assai ridotta, secondo un’impostazione drammaturgica che fa traballare la tradizionale quarta parete, anche noi siamo parte del flusso di azioni e di pensieri di Gregor Samsa, stimolati dagli oggetti coreografici creati da Michele Di Stefano. Anche noi, convocati nell’angusta stanza in cui Samsa si esercita in vista dell’imminente debutto, abbiamo assunto la consistenza di oggetti mentali (buoni o cattivi?) presenti nella scena psichica del danzatore-insetto.

Noi e “l’immondo insetto” ci troviamo collocati all’interno di una relazione di dominio, analoga a quella basata sul senso di colpa e di sottomissione che il danzatore vive nei confronti del Padre-Maestro. Nessuna emancipazione è possibile: significherebbe “uccidere” simbolicamente il padre e pensare di poter vivere indipendentemente dal suo giudizio. La sola via di fuga rimane l’identificazione con l’aggressore (Confusione delle lingue tra adulti e bambini, Ferenczi), per cui la vittima incorpora le pulsioni distruttrici del carnefice, ma anche i suoi adattamenti anti-traumatici interni, come la scissione: l’aggressore non sente la sofferenza che infligge al malcapitato, allo stesso modo in cui l’aggredito finisce per reputare “giusto” considerarsi una nullità. Non a caso, la Lettera al padre si aggira come uno spettro durante lo spettacolo: «Mi è sempre stata incomprensibile la tua assoluta insensibilità al dolore e alla vergogna che suscitavi in me con le tue parole e i tuoi giudizi, era come se non ti rendessi conto del tuo potere… con le tue offese colpivi alla cieca, senza pietà per nessuno, né durante né dopo, di fronte a te si era completamente indifesi».

Ci chiediamo come sia possibile ottenere un controllo così assoluto sul proprio esoscheletro, sulla schiena, sulle gambe e sui piedi, divenuti il dorso e le zampe di una blatta, incredibilmente mobili e flessibili. La padronanza dei principi dell’antropologia teatrale, mostrata da Gleijeses, è indubbia. Il corpo del danz-attore, infatti, non solo è presente a se stesso nell’esecuzione del gesto extra-quotidiano (consapevolezza), ma lo dilata nel tempo e nello spazio – per esempio, con dei salti che divengono dei tonfi (amplificazione) – e sprigiona vitalità, frenando i suoi impulsi con movimenti di forza uguale e contraria (spreco di energia). L’apparente stasi rivela una lotta in atto, allo stesso modo in cui il movimento parossistico rivela una ricerca della stasi assoluta. Il conflitto tra forze cinetiche incoerenti è la sola regola di coerenza del danz-attore, che dispiega i suoi movimenti in direzioni opposte, scardinando così gli automatismi quotidiani e accentuando la dimensione pre-interpretativa del corpo.

Occorre, però, porsi una domanda che reputiamo cruciale e che concerne la filosofia di fondo della rappresentazione: il teatro è solo rito o è anche narrazione? In altre parole, il riferimento a Kafka è più di una semplice associazione di idee? E ancora: come si conciliano l’imponente presenza corporea del danz-attore con la nullità incarnata da Gregor Samsa? Il lavoro sul corpo, certo strepitoso e a tratti virtuosistico, di Lorenzo Gleijeses non rischia forse di inglobare lo spettatore nel suo meccanismo autoreferenziale, trascinandolo sul piano della mera immediatezza percettiva? Come ha osservato Bataille, l’angoscia esistenziale di Kafka consisteva nel provare un irreparabile senso di annientamento di fronte ad ogni autorità che si aspettasse da lui un risultato. Perché, dunque, Gregor Samsa avrebbe voluto debuttare in uno spettacolo, con così tanta pervicacia? Forse perché la danza, per Lorenzo, equivale alla scrittura, per Kafka?

La sola gioia possibile per Samsa consiste, infatti, nel lottare contro ogni attività efficace: «si inchina amando, morendo e opponendo il silenzio dell’amore e della morte a quell’autorità che non potrebbe farlo cedere, poiché quel nulla che, malgrado l’amore e la morte, non potrebbe cedere, è sovranamente ciò che egli è» (Kafka, Bataille).

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Quirino
Via delle Vergini 7, Roma
Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa
regia e drammaturgia Eugenio Barba, Lorenzo Gleijeses e Julia Varley
con Lorenzo Gleijeses
musiche originali o partiture luminose Mirto Baliani
oggetti coreografici Michele di Stefano
consulenza drammaturgica Chiara Lagani
scene Roberto Crea
voci off Eugenio Barba, Geppy Gleijses, Maria Alberta Navello, Julia Varley
assistente alla regia Manolo Muoio
ufficio stampa Rosalba Ruggeri
produzione Teatro Biondo, Gitiesse Artisti Riuniti, Nordisk Teater Laboratorium